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La decisione del distacco: a) l’affidamento familiare e b) il colloca mento o l’affidamento esclusivo al padre.

Nel documento Donne ristrette (pagine 127-131)

Essere madre dietro le sbarre

4. L’esercizio delle responsabilità genitoriali nel caso di separazione dai figli.

4.1. La decisione del distacco: a) l’affidamento familiare e b) il colloca mento o l’affidamento esclusivo al padre.

Qualora la madre non possa accedere a misure cautelari diverse dalla cu- stodia in carcere o, nella fase dell’esecuzione della pena, a misure alternati- ve alla detenzione intramuraria, il distacco tra figlio minore e madre ristretta costituisce – per legge – la regola34. Come già ricordato, la permanenza in istituto penitenziario con la madre è infatti limitata ai minori di età inferiore ai tre anni (si potrebbe arrivare fino ai dieci anni per l’accoglienza nell’I- CAM dei figli delle condannate). Spesso poi è la mamma stessa che preferi- sce affidare il minore all’esterno, come già accennato talvolta anche tacendo la sua stessa esistenza all’Amministrazione penitenziaria.

Poiché nella maggioranza dei casi in cui la madre è detenuta lo è anche il padre oppure la madre è legalmente l’unico genitore, l’affidamento del figlio è alla famiglia allargata, di solito nonni, zii, sorelle o fratelli maggiorenni o, ove ciò non sia possibile, a una famiglia affidataria o, spesso su richiesta de- gli stessi genitori che intendono così evitare il rischio della loro sostituzione da parte di un’altra famiglia, in una comunità di tipo familiare35. Gli opera- tori rilevano peraltro come la rete familiare e sociale intorno alla madre sia fondamentale e di solito riesca a evitare l’affido eterofamiliare che intervie- ne essenzialmente per madri rom e/o straniere prive di rete in Italia. Così, per esempio, il Tribunale per i minorenni di Milano affidava al Comune di Milano otto fratellini rom figli di genitori entrambi tratti in arresto con la nonna per concorso in riduzione in schiavitù e lesioni personali gravi ai dan- ni di alcuni figli con collocamento prima in struttura e poi in famiglie affida- tarie (Trib. min. Milano, 18.8.2014). Nello stesso senso si esprime un altro provvedimento del medesimo giudice che affidava al Comune di Milano cinque fratellini cileni figli di madre detenuta individuando come miglior collocamento quello comunitario, al fine di non separare i minori (Trib. min. Milano, 1.12.2009).

A favore dell’affido a parenti, che costituisce usualmente la prima scelta per la donna detenuta che debba separarsi dalla prole, si sottolinea in par- ticolare come esso possa costituire un positivo anello di congiunzione tra giunta alcuna segnalazione da parte di un’Amministrazione penitenziaria circa la situazione di potenziale pregiudizio di un minore “ristretto” con la madre: intervento durante il semi- nario “Genitorialità e detenzione” (Università di Torino, 30 marzo 2017).

34 Gli operatori sottolineano come la separazione costituisca nei fatti la regola anche nel caso di arresto in flagranza (Sacerdote, 2011, p. 171).

la madre incarcerata e il bambino da lei separato36. La giurisprudenza ha tuttavia avuto modo di precisare come i nonni che non mostrino la capacità di assumere una reale e significativa posizione critica o di riflessione ed elaborazione in ordine ai reati commessi dalla figlia non possano costituire una risorsa per il minore: una posizione di acritica alleanza con la prole, se è comprensibile nel rapporto tra genitore e figlio, costituisce grave ostacolo alla possibilità di uno sviluppo di una sana capacità genitoriale sostitutiva oltre ad essere foriera di gravi fatiche per il minore, che si troverebbe ine- vitabilmente esposto al pensiero assolutorio della nonna nei confronti del figlio/a, divenendo uno strumento consolatorio del genitore nelle mani della nonna (un’argomentazione di merito così formulata è stata avallata da Cass. civ., Sez. I, 19.1.2018, n. 1431). Nel caso di reati attinenti alla criminalità organizzata poi spesso è lo stesso ambiente familiare nel suo insieme a costi- tuire per facta concludentia un modello educativo che rischia concretamente di compromettere lo sviluppo dei minori «esponendoli […] a un futuro in cui la carcerazione appare – nella migliore delle ipotesi – come un destino ineluttabile» (Trib. min. Reggio Calabria, 26.4.2016). Da qui, per esempio la scelta di un co-affidamento ai servizi e alla nonna materna e poi alla madre che aveva intrapreso un percorso di ripensamento del proprio ruolo genito- riale (Trib. min., Reggio Calabria 26.4.2016).

Se conserva l’esercizio della responsabilità genitoriale, la madre può de- cidere il collocamento all’esterno del minore, che pur potrebbe condividere con lei l’istituto penitenziario, o del minore che non possa più stare con lei per raggiunti limiti di età. Ovviamente, nel caso in cui il padre ci sia ed eser- citi la responsabilità genitoriale, la donna deve concordare la sua decisione con lui37.

36 La vicenda concerneva una donna detenuta, madre di due figli, che proponeva ricorso contro una sentenza dichiarativa dello stato di adottabilità del figlio più piccolo. Nei pri- mi due gradi di giudizio era stata esclusa l’idoneità della nonna materna a prendersi cura del bambino sebbene la donna fosse già affidataria della figlia maggiore della detenuta. Il ragionamento della Corte di cassazione si conclude dicendo che, «in una situazione nella quale alla temporanea assenza della madre del bambino, sia pure destinata a protrarsi per un periodo di non breve durata, a causa dello stato di detenzione della stessa», ben poteva far fronte la nonna materna, doveva escludersi la possibilità di rinvenire uno stato di abbando- no e favorirsi invece l’affidamento del minore alla nonna stessa, «proprio a tutela delle esi- genze del minore di non perdere definitivamente il contatto con la famiglia di origine ed il calore che questa era in grado di offrirgli» (Cass., Sez. I, 14.5.2005, n. 10126). In letteratura se ne evidenzia l’importanza soprattutto nei casi di separazione conseguente al compimento dei tre anni: A. Luzzago, W. Bolognesi, G.L. De Fazio, W.C. Donini, S. Pietralunga, 2003, p. 316.

37 In senso contrario dispone tuttavia la lettera dell’art. 19 co. 7 reg. o.p., che rimette alla volontà della sola madre la decisione in materia di affidamento definitivo del bambino

L’affidamento da parte della madre può avvenire in via informale: come già ricordato infatti la legge consente ai genitori di affidare i figli a tempo indeterminato a parenti entro il quarto grado e, fino a sei mesi, anche ad estranei, senza che sia necessario richiedere l’intervento di alcuna autorità pubblica (art. 9 co. 4 legge 184/1983)38. Per ragioni pratiche (es. gestione dei rapporti ordinari con la scuola e le autorità sanitarie39) sono tuttavia spesso gli stessi affidatari a chiedere la formalizzazione dell’affidamento familiare tramite un atto amministrativo del servizio sociale territoriale, atto che è comunque sempre necessario nel caso in cui vi sia il consenso materno ma l’affido venga fatto per un periodo superiore a sei mesi a parenti oltre il quar- to grado o a estranei (cfr. il combinato disposto degli artt. 4 co. 1 e 9 co. 4 e 5 legge 184/1983). Ove possibile l’affidamento consensuale dovrebbe costi- tuire la scelta preferenziale, in modo da promuovere la responsabilizzazione della madre e anche favorire una sinergia tra la stessa e il servizio sociale responsabile del progetto di tutela del minorenne.

Può tuttavia avvenire che l’affidamento all’esterno sia deciso contro la volontà della madre.

Nei casi di urgenza, e comunque nelle more di un intervento giudiziale, l’allontanamento può eccezionalmente avvenire con atto amministrativo ai sensi dell’art. 403 c.c.: come già illustrato, a disporlo possono essere i ser- vizi sociali territoriali o la stessa Amministrazione penitenziaria se accerta grave maltrattamento del minore a opera della madre detenuta e situazione d’urgenza40. Un esempio è quello dell’arresto della madre in flagranza: in tale ipotesi, occorrerebbe che l’autorità valutasse prioritariamente un collo- camento presso familiari o terzi estranei conosciuti dal minore, sebbene la prassi paia piuttosto essere il collocamento tout court in comunità. È da rile- vare poi che, sebbene questi provvedimenti debbano essere giustificati solo dalla strettissima contingenza e essere rigorosamente provvisori, essi spesso producono i loro effetti per un lungo tempo, rimanendo in vigore fino a un (eventuale) provvedimento dell’autorità giudiziaria.

all’esterno a familiari o ad altre persone una volta superato il limite d’età stabilito per la permanenza del minore nell’istituto penitenziario.

38 In senso contrario Monetini, 2012, p. 104 (Dirigente dell’Amministrazione penitenzia- ria) il quale addirittura afferma che la mancata segnalazione da parte della madre detenuta potrebbe rilevare ai fini dell’osservazione e del trattamento penitenziario della madre dete- nuta da parte dell’Amministrazione penitenziaria (art. 13 o.p.).

39 Tali rapporti sono di competenza degli affidatari a norma dell’art. 5 co. 1 legge 184/1983. 40 Prefigura tale possibilità di utilizzo dell’art. 403 c.c. Monetini, 2012, p. 98, 103: in caso di utilizzo dell’art. 403 c.c., è opportuno che l’Amministrazione penitenziaria si coordini con i servizi sociali territoriali per l’individuazione di collocazione esterna appropriata per

Altrimenti, il provvedimento d’allontanamento è disposto con provvedi- mento giudiziario e prende la forma di un affidamento giudiziale a persona diversa dalla madre (un familiare, raramente il padre, o un terzo) oppure di un affidamento al servizio sociale locale il quale effettuerà poi il colloca- mento presso gli affidatari o la comunità di tipo familiare (evidenziano tutte le criticità di tale seconda soluzione Dissegna e Arnosti, 2014, p. 26 ss.). Il tribunale ordinario può infatti disporre il collocamento presso il padre o presso terzi in sede o nelle more della decisione sull’affidamento in occasio- ne della scissione della coppia genitoriale (art. 337-ter co. 2 c.c.). Il tribunale per i minorenni ha invece la competenza “ordinaria” (cioè eccettuato il caso in cui tra i genitori sia in corso un procedimento per l’affidamento della prole) per il caso di sospetto pregiudizio del figlio a causa della condotta del genitore (art. 336 co. 3, artt. 330 e 333 c.c. e art. 10 co. 3 legge 184/1983).

Si tratta in effetti di casi assai poco frequenti, che avvengono di solito perché la madre è indagata o imputata o condannata per reati a danno del figlio, oppure interdetta per infermità di mente o comunque con gravi pro- blemi psichici.

Ancora più raro è poi che l’allontanamento avvenga alla nascita e quindi in presenza di un giudizio astratto e prognostico di completa e irreversibile inidoneità genitoriale. Tale eccezionale situazione si è per esempio verificata nella già descritta vicenda giudiziaria di una madre e un padre arrestati in flagranza per concorso in lesioni personali gravissime ai danni di un uomo con cui la donna aveva in passato avuto sporadici incontri sessuali: il giorno dopo la nascita il procuratore minorile chiedeva l’allontanamento e l’apertura del procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità del bambino e il Tribunale per i minorenni, cinque giorni dopo la nascita, accoglieva la domanda, incaricando il Comune in quanto tutore provvisorio «ai fini del suo collocamento in idonea comunità per soli minori anche di tipo familiare, con regolamentazione dei rapporti con i genitori ed i nonni con modalità protette ed osservate, tali da privilegiare le sue esigenze, tenuto conto della sua tene- rissima età» (Trib. min., Milano 20.8.2015). Secondo i giudici, le peculiarità della situazione giustificavano infatti tale drastica misura: il reato era stato sì commesso a danno di soggetto diverso dal minore, ma le condotte erano di particolare gravità, commesse con modalità crudeli e con sostanze pericolose (potenzialmente dannose per il feto), premeditate nel loro dettaglio e inserite in un disegno criminoso che aveva al suo centro la filiazione e che fondava, in assenza di ravvedimento della donna la quale aveva commesso il reato già incinta e incurante delle ricadute dei propri agiti sulla vita futura del figlio, il sospetto della sua definitiva e completa inidoneità genitoriale, con conseguen- te grave pregiudizio per l’accudimento e lo sviluppo psicofisico del neonato.

figli siano affidati da lei stessa o dal giudice al padre, evidentemente non detenuto41. Ciò potrebbe avvenire nel quadro di un procedimento de pote- state davanti al tribunale per i minorenni iniziato su ricorso del padre, di un parente o del pubblico ministero per la limitazione della responsabilità genitoriale oppure davanti al tribunale ordinario nel quadro di un procedi- mento per l’affidamento della prole in occasione della scissione della coppia genitoriale (cfr. infra, § 5.3). Nei pochi casi in cui ciò avvenga l’esercizio della responsabilità genitoriale è esercitato da entrambi i genitori, salvo il caso in cui la madre sia stata esclusa in sede civile o penale dall’esercizio della responsabilità genitoriale (cfr. infra, § 5). Non pare infatti a chi scrive che lo stato detentivo della madre possa essere di per sé equiparato allo stato di “impedimento” di cui all’art. 317 co. 1 c.c. («Nel caso di lontananza, di incapacità o di altro impedimento che renda impossibile ad uno dei genitori l’esercizio della responsabilità genitoriale, questa è esercitata in modo esclu- sivo dall’altro»). E ciò in virtù di una lettura costituzionalmente orientata, in conformità con i principi di diritto minorile illustrati supra (§ 1), in primis il diritto del minore alla bigenitorialità e il principio del superiore interesse del minore in forza del quale la condizione soggettiva del genitore assume rilevanza solo nella misura in cui sia fonte di oggettivo pregiudizio per la prole, pregiudizio che comunque deve essere bilanciato alla luce del diritto del minore a crescere in famiglia42.

Nel documento Donne ristrette (pagine 127-131)

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