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I colloqui visivi.

Nel documento Donne ristrette (pagine 69-73)

Il diritto all’affettività tra norme e prassi penitenziarie

2. Il mantenimento delle relazioni affettive in regime intramurario.

2.2. I colloqui visivi.

Tra gli strumenti predisposti al fine del mantenimento dei legami affet- tivi, il colloquio de visu gioca evidentemente un ruolo di primo piano, con- sentendo il contatto fisico – seppure entro i limiti di cui si dirà infra – e la riproduzione di dinamiche relazionali almeno in parte assimilabili a quelle che si giocano in ambiente libero.

In forza di quanto previsto dall’art. 37 reg. o.p., le detenute cosiddette “comuni” (v. infra, § 2.5) hanno il diritto di usufruire di sei incontri al mese, nei giorni e nelle fasce orarie stabilite dal regolamento di istituto, la cui con- creta determinazione, come già accennato, non ha scarso rilievo rispetto alla piena fruizione del diritto. Se, infatti, è espressamente prescritto (art. 37 co. 13 reg. o.p.) che sia favorito lo svolgimento degli incontri nei giorni festivi per le persone ristrette impegnate in attività lavorativa «articolata su tutti i giorni feriali», nessuna considerazione si rinviene nella legge per le esigen- ze dei visitatori, in particolare dei minori impegnati in attività scolastica. Si tratta di una lacuna vistosa, alla quale, come si è detto, l’amministrazione

penitenziaria ha tentato di far fronte attraverso l’emanazione di circolari che raccomandano, in particolare, l’adozione di accorgimenti organizzativi volti a consentire l’effettuazione di colloqui nella giornata domenicale: obiettivo non ovunque compiutamente raggiunto, a causa di difficoltà logistiche, e spesso solo a turnazione.

In alcune situazioni tassativamente indicate possono essere concessi colloqui supplementari rispetto al limite indicato: quando la detenuta (o anche il suo congiunto, secondo alcuni Autori: Corso, 1981, p. 180) sia affetta da una grave infermità, quando i visitatori siano i suoi figli di età inferiore a dieci anni oppure qualora ricorrano «particolari circostanze» relative al caso concreto (art. 37 co. 9 reg. o.p.). Quest’ultima locuzione comporta amplissimi margini di discrezionalità in capo all’autorità con- cedente, determinando l’instaurazione di prassi anche molto variegate sul territorio nazionale.

Ai sensi dell’art. 37 co. 10 reg. o.p., la durata dei colloqui non può di regola eccedere un’ora, a meno che non ricorrano «eccezionali circostanze» che giustifichino, ancora una volta del tutto discrezionalmente, un prolun- gamento dell’incontro con congiunti e conviventi. La legge dispone che il colloquio debba «comunque» potersi protrarre fino a due ore nel caso di fa- miliari che risiedano in un comune diverso da quello in cui ha sede l’istituto, qualora nella settimana precedente la detenuta non abbia ricevuto visite e a condizione che «le esigenze e l’organizzazione dell’istituto» lo consentano; precisazione, quest’ultima, che finisce per rivestire di discrezionalità quella che dovrebbe costituire una regola.

Ad ogni incontro possono prendere parte fino a tre visitatori, limite de- rogabile, ancora una volta, nel caso di congiunti e conviventi; si tratta di un’ulteriore previsione volta a favorire i contatti con i familiari più stretti.

Le persone autorizzate vengono identificate all’ingresso e sottoposte a controlli, al fine di impedire l’introduzione clandestina di oggetti pericolosi o vietati dalla legge o dal regolamento di istituto. Possono essere invece consegnati alle detenute capi di vestiario, oggetti di uso personale e gene- ri alimentari consentiti dal regolamento, confezionati in quattro pacchi al mese, per un peso totale non eccedente i venti chili; le ricerche evidenziano, tuttavia, come la ricezione di cibo ed abbigliamento, preziosa per il mante- nimento di legami con la vita domestica, sia più rara per le donne che per gli uomini ristretti, dal momento che la preparazione dei pacchi è incombenza tipicamente femminile8.

La procedura di identificazione, certo irrinunciabile, costituisce un pro- blema per i visitatori stranieri che risultino privi di documenti di identità o di un valido titolo di soggiorno. Se, come accennato, all’impossibilità di 8 AA.VV., La detenzione al femminile, 2015.

fornire tali documenti nella fase autorizzativa l’amministrazione penitenzia- ria consente di far fronte attraverso un’autocertificazione della detenuta che richiede il colloquio, resta dunque il problema dell’accesso all’istituto per i soggetti privi dei titoli necessari. Nell’intento di facilitare i contatti con i congiunti, il Dipartimento dell’amministrazione ha provveduto a precisare che il personale di Polizia Penitenziaria non è tenuto a richiedere ai visita- tori stranieri l’esibizione di alcun documento attestante la regolarità della presenza sul territorio dello Stato, dal momento che l’accesso alla struttura penitenziaria per effettuare un colloquio non costituisce erogazione di un servizio pubblico ai sensi dell’art. 6 co. 2 t.u. imm., bensì esercizio di un diritto del detenuto e del suo congiunto in visita (Circolare GDAP-0410314- 2009). Nonostante ciò, la mancata uniformazione delle prassi sul territorio nazionale e la persistente diffidenza delle donne ristrette, comunque restie ad esporre a rischi di segnalazione i propri congiunti in posizione di irrego- larità, costituiscono spesso ragioni sufficienti per disincentivare le richieste di colloquio da parte delle detenute straniere che possano contare su riferi- menti affettivi in Italia; per la maggioranza, peraltro, la distanza geografica dalla famiglia, rimasta nel Paese di origine, preclude di per sé la possibilità di contatti.

Analogo problema si pone, del resto, più frequentemente ma non in via esclusiva per le straniere, rispetto ai colloqui con i figli che siano affidati informalmente a congiunti o a terzi (evenienza non rara visto che, quando è detenuta la madre, molto spesso lo è anche il padre): si registra infatti una diffusa tendenza a non richiederne l’accesso in istituto e a non dichiararne neppure l’esistenza agli operatori penitenziari – sebbene il numero di figli debba essere oggetto di specifica indagine all’ingresso – per evitare di sti- molare segnalazioni ed interventi dell’autorità giudiziaria che possano por- tare al collocamento dei minori in comunità o all’affidamento a terzi estranei (Giacobbe, 2014, p. 100).

I colloqui devono svolgersi in locali interni all’istituto, privi di mezzi di- visori, a meno che non sussistano esigenze sanitarie (in presenza delle quali l’incontro può aver luogo in infermeria) o di sicurezza (v. infra, § 2.5.), op- pure in spazi all’aperto a ciò destinati; per «speciali motivi», il direttore può inoltre autorizzare che l’incontro avvenga in un locale distinto.

L’assenza di barriere che impediscano il contatto fisico tra le detenute ed i visitatori riveste, ovviamente, un’importanza cruciale per il mantenimento delle relazioni affettive, ma non si può tacere come fino a pochissimi anni fa, in alcuni istituti penitenziari, il dato normativo contrastasse con quello strut- turale ed i vetri divisori non fossero stati rimossi dalle sale9. Al di là di queste

macroscopiche e fortunatamente isolate violazioni, peraltro, gli spazi adibiti agli incontri risultano in molti casi carenti ed inadeguati: spesso le donne ristrette ricevono la visita di figli e familiari in sale anguste dove l’affolla- mento e la carenza di tavoli e sedie pregiudicano la serenità dei colloqui10. Anche la disponibilità di spazi all’aperto non è assicurata ovunque e non di rado, ove presenti, le aree non sono sufficientemente attrezzate e risultano prive di quelle caratteristiche minimali di accoglienza che possano farne dei luoghi adeguati per ospitare gli incontri, in particolare con i visitatori più piccoli (Pajardi e altri, 2018, p. 157 s.). Sul punto, il d.lgs. 123/2018 è inter- venuto imponendo che i locali destinati ai colloqui con i familiari, collocati preferibilmente «in prossimità dell’ingresso dell’istituto», debbano favorire, «ove possibile, una dimensione riservata del colloquio» ed essere a tal fine articolati – precisa la Relazione illustrativa – in modo da limitare il disturbo causato dal rumore e «l’eccessiva visibilità fra i diversi gruppi familiari». Si tratta tuttavia di una previsione che ben difficilmente potrà essere concretiz- zata, in assenza di interventi strutturali importanti nella maggior parte degli istituti di pena.

I colloqui si svolgono sotto il controllo a vista – ma non uditivo – del personale di polizia penitenziaria, che ha il compito di controllare che i par- tecipanti tengano un comportamento corretto e non disturbino gli altri (art. 37 co. 4 e 5 reg. o.p.); eventuali condotte «scorrett[e] o molest[e]» determi- nano l’immediata sospensione dei loro autori dal colloquio e devono essere riferite al direttore, affinché valuti se escluderli. Tra i profili di correttezza comportamentale richiesti alle detenute ed ai loro visitatori vi è quello, par- ticolarmente delicato, concernente le effusioni e i contatti fisici consentiti, il cui monitoraggio è rimesso alla discrezionalità del personale (quanto alla possibilità, de iure condendo, di prevedere colloqui senza controllo visivo per consentire alle persone ristrette una piena espressione della loro sessua- lità v. infra, § 4).

Nonostante il particolare favore riservato dal legislatore al mantenimento dei contatti tra le madri detenute ed i figli specialmente se in tenera età, per i quali sono consentite deroghe rispetto a frequenza, durata e modalità degli incontri, i colloqui costituiscono spesso un’esperienza difficile per i bambi- ni, per molteplici ragioni. In primo luogo la sottoposizione ai controlli all’in- gresso riguarda anche i minori e la perquisizione personale, pure inevitabile alle date di effettuazione delle visite – erano ancora presenti vetri o banconi divisori nelle sale colloqui dell’istituto penitenziario di Palermo “Ucciardone” (alla data del 26.8.2014) e di quello di Lucca (alla data del 2.8.2012).

10 Si veda, in proposito, quanto emerge dal 9° Rapporto di aggiornamento sul monito-

raggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 2015-2016,

per ovvie ragioni di sicurezza, può costituire di per sé un’esperienza trauma- tica o comunque sgradevole, soprattutto laddove il personale operante non vi proceda con la necessaria sensibilità. A ciò si aggiungono i tempi d’attesa, spesso anche molto lunghi, l’affollamento delle sale, l’inadeguatezza degli spazi, la familiarità perduta o mai acquisita con il genitore che si trova in carcere, la reticenza nel comunicare al figlio la propria condizione detentiva: elementi che, tutti insieme, possono rendere il colloquio tanto sgradito al bambino da indurre la madre detenuta a rinunciarvi.

Di fronte a questo sconfortante scenario, la scelta, ad opera del d.lgs. 123/2018, di esplicitare in seno all’art. 18 o.p. la necessità di dedicare «par- ticolare cura […] ai colloqui con i minori di anni quattordici» non pare de- stinata a produrre significativi mutamenti, non essendo accompagnata né da disposizioni di dettaglio né, soprattutto, dalla previsione di oneri a carico della finanza pubblica per la sua attuazione concreta.

L’amministrazione penitenziaria, sulla scorta di una crescente attenzione al tema, si preoccupa del resto già da tempo di garantire condizioni privi- legiate alle detenute che incontrano i figli in carcere, nei limiti (purtrop- po non inconsistenti) delle possibilità logistiche e delle risorse disponibi- li: anche grazie al prezioso supporto della rete territoriale, sono numerosi i progetti attivati negli istituti penitenziari dell’intera penisola al fine di ren- dere più accoglienti le stanze e le aree verdi destinate alle visite e di indi- viduare ed attrezzare aree gioco in cui i bambini, intrattenuti da volontari, possano attendere il loro turno per entrare in istituto (cfr. in particolare la circolare DAP 10.12.2009 ed il Protocollo d’Intesa tra il Ministero della Giustizia, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e l’Associazio- ne “Bambinisenzasbarre Onlus”, da ultimo rinnovato in data 20.11.2018. In argomento v. Baldassarri, 2018, p. 234 ss.).

Nel documento Donne ristrette (pagine 69-73)

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