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L’esercizio della responsabilità genitoriale da parte delle madri ri strette con i figli in un istituto penitenziario.

Nel documento Donne ristrette (pagine 122-127)

Essere madre dietro le sbarre

3. L’esercizio della responsabilità genitoriale da parte delle madri ri strette con i figli in un istituto penitenziario.

24 L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ha espressamente sollecitato gli Stati a registrare il numero, l’età e il collocamento dei figli minori della persona detenuta al momento dell’ingresso di questa nella struttura penitenziaria: Parliamentary Assembly of the Council of Europe, Res. 1663 (2009), 28.4.2009, Women in Prison, pt. 8.3. La necessità di tale registrazione è prevista anche dalle c.d. “Bangkok Rules” (n. 3).

In Italia l’esigenza di avere dati certi sul numero di questi minori è sottolineata dall’art. 6 della Carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti («Le statistiche, suddivise per età, sul numero dei minorenni che hanno uno o entrambi i genitori in carcere saranno rese acces- sibili sul sito istituzionale del Ministero»). Nel nostro Paese in effetti il dato sul numero di minori figli di donne ristrette dipende dalle dichiarazioni fatte dalle detenute al momento dell’ingresso in carcere nel corso di un colloquio di conoscenza e della compilazione di un questionario che riporta, tra le altre, la domanda sull’esistenza e sull’identità di figli.

Il dato biologico della gravidanza e del parto, unitamente al dato sociale che nella quasi totalità dei casi la madre detenuta era il caregiver principale della prole prima della detenzione, fonda il riconoscimento alla stessa da par- te del legislatore della possibilità di tenere con sé il figlio, purché di età non superiore a tre anni, presso l’istituto penitenziario ordinario, in un’apposita sezione nido, od – ove esistenti – presso un istituto o una sezione a custodia attenuata (ICAM) e, in quest’ultimo caso, il limite d’età per i figli s’innalza a sei anni nella sede cautelare e a dieci nella fase dell’esecuzione della pena (v. Monetini, 2012, p. 93)25. Come già accennato, il limite d’età per i figli è stabilito nella convinzione che a partire da una certa età prevalga per il minore, sull’interesse al mantenimento della relazione con la madre, l’esigenza di vita e soprattutto di socializzazione in un contesto che non sia quello carcerario o comunque “ristretto”, ai fini di un adeguato sviluppo della personalità.

Al 31 ottobre 2018 erano presenti negli istituti penitenziari italiani 42 detenute madri e 50 bambini (DAP, 2018). Le realtà numericamente più si- gnificative sono gli ICAM di Lauro (12 madri e 14 bambini) e di Torino (5 mamme e 8 figli) e il nido di Rebibbia a Roma (7 mamme con 8 bambini).

Non necessariamente le donne detenute con la prole hanno commesso gravi reati. Spesso sono in carcere perché senza il domicilio necessario per l’ottenimento della detenzione domiciliare. Ciò spiega peraltro perché sono nella grande maggioranza dei casi donne straniere e/o rom e sinti (Forcolin, 2016, p. 13; Sarti, 2012, p. 489). I reati commessi dalle donne con figli pres- so gli ICAM sono per la maggioranza furto, rapina, truffa, violazione della legge sulla droga, sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitù (Forcolin, 2016, p. 13; Sacerdote, 2011, p. 184).

In una minoranza di casi l’esercizio della responsabilità genitoriale da parte della madre ristretta con i figli in un istituto penitenziario è limitato da una misura penale o civile di ablazione o limitazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale (per l’individuazione delle stesse v. infra, § 5.2)26. A

25 Alle problematiche che incontrano le madri ristrette con i figli in un istituto penitenzia- rio sono almeno in parte assimilabili quelle che affrontano le madri accolte in una casa fa- miglia protetta (v. infra, Le case famiglia protette). Sebbene sia certamente vero che le case famiglia protette presentano meno criticità rispetto agli istituti penitenziari (tradizionali o ICAM) per la coppia madre-figlio, è comunque evidente che la madre è pur sempre limitata, di fatto, nell’esercizio del suo ruolo genitoriale dal divieto di allontanamento dal domicilio (tale limite è più o meno significativo a seconda dei casi perché è comunque prevista la possibilità di autorizzazioni all’allontanamento per determinate esigenze). Si tratta peraltro di un discorso comune anche alla detenzione domiciliare eseguita presso un luogo diverso dalla casa famiglia protetta (come può essere l’abitazione della donna).

tali limiti può aggiungersi, ma è infrequente, perché nel caso di madri e bimbi in ICAM di solito il padre non c’è o è anch’egli detenuto e sospeso o decaduto dalla responsabilità genitoriali, l’esigenza di rispetto dei diritti del padre.

Per poter individuare il titolare del potere di adottare decisioni inerenti al minore, l’Amministrazione penitenziaria dovrebbe ovviamente avere un quadro chiaro della situazione (e quindi conoscere il contenuto dei provve- dimenti penali e civili adottati). Pensiamo alla stessa scelta che il minore rimanga con la madre ristretta, ma anche al consenso a trattamenti sanitari non ordinari (es. un intervento chirurgico) o alla decisione di far frequentare al minore “ristretto” con la madre un servizio esterno27, o alla decisione della madre detenuta di chiedere il trasferimento in un altro istituto penitenziario. Si tratta infatti di decisioni che dovrebbero essere adottate o concordate con il padre28, rispettivamente se la madre sia stata dichiarata decaduta/sospesa dalla responsabilità genitoriale oppure se entrambi i genitori conservino la responsabilità genitoriale29. Dovrebbero invece essere adottate dal tutore se la madre è stata privata dell’esercizio della responsabilità genitoriale e il padre manca o è anch’egli privo dell’esercizio della responsabilità genito- riale. Peraltro, il padre avrà poi il diritto-dovere di essere informato sulle condizioni di vita o di salute del figlio e sulle decisioni “straordinarie” da prendere nell’interesse del figlio (es. richiesta della madre di trasferimento presso altro istituto penitenziario, inserimento del bambino presso un nido esterno). Paiono invece attribuibili alla discrezionalità della madre ristretta con la prole decisioni “ordinarie” quali la somministrazione di farmaci, la scelta di portare con sé il figlio in udienza se autorizzata dal giudice o vice- versa di non portare il figlio con sé in udienza anche se autorizzata dal giu- dice (Monetini, 2012, p. 110 s.) e anche la scelta della compagna detenuta o dell’operatrice di polizia penitenziaria cui affidare il bambino nel caso in cui essa stessa si trovi nell’impossibilità temporanea di prendersi cura del mi- nore (ad es. perché impegnata in un colloquio o in un’udienza)30. Corollario

condannata per reati contro la persona del figlio (per esempio per maltrattamenti).

27 Esistono diversi protocolli d’intesa e convenzioni a livello nazionale per l’erogazione di servizi all’esterno per i minori che vivono negli istituti penitenziari con le madri (Galletti, 2015, p. 59; Monetini, 2012, p. 81).

28 Secondo uno studio internazionale nel caso di detenzione della madre i minori trascor- rono con il padre il 25% del tempo, contro il 90% nella situazione opposta (The Rebecca Project for Human Rights and National Women’s Law Centre, 2010).

29 In caso di contrasto decide il giudice: cfr. art. 316 c.c.

30 Altri casi sono invece dubbi: per esempio il consenso della madre alle perquisizioni sulla persona del figlio minore ospitato con lei in carcere: mentre per i detenuti le perquisi- zioni sono normate, per i minori – ospiti e non detenuti – non lo sono, con la conseguenza che dovrebbe essere necessario il consenso della madre. Non si può tuttavia negare che

necessario dell’autorizzazione alla convivenza tra la madre ristretta e la pro- le è infatti il riconoscimento alla stessa di una sufficiente idoneità all’accu- dimento della prole e quindi alla gestione della vita quotidiana di questa.

Nella pratica tuttavia l’Amministrazione penitenziaria non ha spesso con- tezza del contenuto e dei limiti della responsabilità genitoriale della madre, soprattutto di quelli posti dal giudice civile, con la conseguenza che an- che per ragioni di efficienza pratica tende a considerare la madre detenuta con il figlio l’unico riferimento educativo sostanzialmente e formalmente (Monetini, 2012, p. 116). Del resto, in questo senso, e in netto contrasto con i principi del diritto minorile, si esprime la previsione di cui all’art. 19 co. 6 d.P.R. 30.6.2000 n. 230 (reg. o.p.) nel quale si rimette alla volontà della sola madre la decisione in materia di accesso ai servizi educativi esterni all’istitu- to (nel senso che si tratti di previsione «incongrua, se non illegittima» anche Monetini, 2012, p. 118).

Questione ulteriore ma connessa alla precedente è se sull’Amministra- zione penitenziaria gravi un compito di protezione dei figli della donna ri- stretta e, in caso positivo, come tale funzione si esplichi. Il recentissimo d.l. sicurezza rende esplicito tale obbligo precisando che «i pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica ne- cessità [...] debbono riferire al più presto al direttore dell’istituto su condotte del genitore pregiudizievoli al minore medesimo. Il direttore dell’istituto ne dà immediata comunicazione al procuratore della Repubblica presso il tribu- nale per i minorenni» (art. 15-bis co. 3 d.l. 113/2018, così come modificato con la legge di conversione 132/2018). Più in generale, nel senso che l’Am- ministrazione penitenziaria sia tenuta a indirizzare la propria azione anche a protezione dei soggetti minorenni mi pare deponga l’art. 3 Conv. ONU sui diritti dell’infanzia: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche […], delle autorità amministrative […], l’interes- se superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente [...]. Gli Stati parti vigilano affinché il funzionamento delle istituzioni, servizi e istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle autorità competenti in particolare nell’ambito della sicurezza e della salute e per quanto riguarda il numero e la competenza del loro personale nonché l’esistenza di un ade- guato controllo». Mi pare peraltro evidente che l’esistenza di una funzione protettiva in capo al personale penitenziario non altera ovviamente i doveri genitoriali di cui agli artt. 30 co. 1 Cost., 147 e 316 c.c.: è la madre, e non ci possano essere ragioni di tutela della sicurezza che inducano a ritenere opportuno che l’amministrazione penitenziaria debba poter procedere a perquisizioni anche sul minore (ad es. per evitare che la madre nasconda negli indumenti del minore oggetti che non potrebbe

l’Amministrazione penitenziaria, a essere responsabile in prima persona per la cura e la protezione del minore (Monetini, 2012, p. 121). Una delega all’Amministrazione penitenziaria comporterebbe invece una deresponsa- bilizzazione che potrebbe essere valutata dal giudice ai fini dell’adozione di provvedimenti di limitazione della responsabilità genitoriale della madre, ivi compreso dell’allontanamento della prole.

Ma quid iuris dunque nel caso in cui l’Amministrazione penitenziaria riscontri un pregiudizio o sospetti un pregiudizio per il minore presente in un istituto penitenziario con la madre?

In casi d’urgenza, qualora abbia verificato una situazione di grave pre- giudizio per il minore a causa della condotta materna e non ci sia il tempo di seguire le procedure ordinarie, può essere la stessa Amministrazione pe- nitenziaria a intervenire a protezione del minore allontanandolo dalla madre anche contro la volontà di quest’ultima e collocandolo in un luogo “sicuro” (art. 403 c.c.), per esempio con la collaborazione dei servizi sociali che in- dividuino una famiglia affidataria o una comunità di tipo familiare che lo possa accogliere nell’urgenza.

Le procedure ordinarie per la limitazione della responsabilità genitoriale sono invece, com’è noto, giudiziali e iniziano con la segnalazione da parte dell’Amministrazione penitenziaria che osservi durante la detenzione mal- trattamenti da parte della madre a danno del figlio o comunque ritenga che il minore “ristretto” con la madre possa essere oggetto di un pregiudizio31. La segnalazione va fatta al tribunale per i minorenni perché adotti provve- dimento d’urgenza d’ufficio (art. 336 co. 3 c.c.) o, come esplicitato dall’art. 15-bis d.l. 113/2018, al pubblico ministero minorile affinché presenti ricorso per un provvedimento di limitazione o decadenza dalla responsabilità geni- toriale (art. 336 co. 1 c.c.) o per la dichiarazione dello stato di adottabilità (art. 9 co. 2 legge 184/1983)32.

Sconcerta peraltro sapere che a oggi i provvedimenti ex art. 403 c.c. ri- sultino per lo più sconosciuti agli operatori penitenziari e che, comunque, le procure minorili non ricevono dagli istituti penitenziari segnalazioni su situazioni di potenziale pregiudizio di minori presenti in istituto con la madre33.

31 L’Amministrazione penitenziaria dovrebbe quindi segnalare prontamente al pubblico ministero minorile per esempio la situazione di un minore che sia prossimo al compimento dell’età massima per la permanenza nell’istituto penitenziario e rispetto al cui affidamento ai nonni o al padre la madre abbia manifestato la sua ferma contrarietà motivata con gravi accuse nei confronti della cerchia familiare.

32 Sugli specifici indicatori di rischio per il minore che portano all’obbligo di segnalazione cfr. Monetini, 2012, p. 101 ss.

Nel documento Donne ristrette (pagine 122-127)

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