• Non ci sono risultati.

La criminalità femminile in Piemonte nelle sentenze di condanna alla pena capitale dalla Restaurazione al Regno d’Italia (1814-1861).

Nel documento Donne ristrette (pagine 171-175)

attraverso le sentenze degli organi giudiziari (1802-1861)

3. La giustizia penale in Piemonte dalla Restaurazione al Regno d’Italia (1814-1861).

3.1. La criminalità femminile in Piemonte nelle sentenze di condanna alla pena capitale dalla Restaurazione al Regno d’Italia (1814-1861).

Nel contesto legislativo delineato, l’analisi di casi di criminalità femminile è stata effettuata sulle sentenze di condanna alla pena capitale emanate prima dal Senato di Piemonte e poi dalla Corte d’appello di Torino.

Il primo reato che si può individuare è quello di infanticidio. La pena pre- vista era sempre quella della morte, da applicarsi non solo alle madri ma a tutti coloro che si rendessero complici di questo crimine26. Otto sono le pene capitali applicate dal Senato di Piemonte per questa fattispecie tra il 1815 e il 1832.

Margarita Peretto Manzino (nubile), «riputata di infanticidio», fu condannata il 9 maggio 1815 ad essere «pubblicamente appiccata per la gola»27.

Stessa pena fu inflitta a Maddalena Frigenio28 il 18 maggio 1816.

Lucia Cordero29, imputata di infanticidio per avvelenamento, avendo fatto tran- gugiare materie velenose al proprio figlio di quattordici mesi circa, fu condannata all’impiccagione con la pena accessoria delle tenaglie infuocate, la quale fu poi condonata da Sua Maestà con Regie Patenti del 29 febbraio 1820, «debitamente interinate il 3 marzo».

Maria Domenica Balocco, accusata di infanticidio per avere annegato il figlio ap- pena nato, fu condannata all’impiccagione ma la sua pena fu commutata nella pri- gione perpetua dalle Regie patenti del 29 febbraio 182030.

Il 14 gennaio 1823, Maddalena Valenza31 (contumace) fu «imputata di infanticidio, avendo ucciso “con barbarie” un figlio da poco dato alla luce; considerata, inoltre, persona disonesta e di depravati costumi perché aveva già partorito alcuni anni pri- ma pur essendo nubile», fu condannata all’impiccagione e «mandata ad iscriversi tra i banditi di secondo catalogo».

Il 29 marzo 1824 Catterina Poggia vedova Piemontese e la figlia Lucia Piemonte- se32 (contumaci) furono «imputate di complicità nell’infanticidio della neonata data alla luce da Lucia Piemontese». Esse furono condannate «ad essere pubblicamente appiccate per la gola e mandate ad iscriversi tra i banditi di secondo catalogo». Margarita Ceruti-Miletti (contumace)33 fu «imputata dell’infanticidio del proprio figlio maschio, nato settimino, per averlo gettato in una latrina»; inoltre era accusata «di esse- re dedita al malcostume per avere, dopo la separazione dal marito, dato alla luce un altro figlio illegittimo oltre a quello di cui si rese infanticida». Venne condannata alla pena della morte e «mandata ad iscriversi tra i banditi di secondo catalogo il 20 agosto 1832». Definito da Giuseppe Maria Regis (1816, p. 379) tra le modalità più bar- bare e crudeli di cagionare la morte, il crimine di veneficio era sempre punito 27 Minutario 1814-1815, Sentenza 29 maggio 1815. Nella sentenza non manca una detta- gliata quanto raccapricciante descrizione dell’esecuzione del fatto di reato: «[…] schiaccia- to con colpi di pietra la testa di un infante di sesso mascolino, nel momento stesso in cui lo diede alla luce, con aver quindi tentato di strangolarlo con le mani, a quali atti gli restarono quattro unghie impresse nel collo, con aver poscia sepolto detto fanciullo vivo, coperto di terra, paglia e di altre immondizie e di una pietra: per quali atti e ferite suddette si rese detto infante qualche ora dopo estinto e d’averlo perciò privato dell’acqua battesimale e della sepoltura per mano del Parroco ed in conseguenza rea d’infanticidio».

28 Minutario 1816, Sentenza 18 maggio 1816. 29 Minutario 1820, Sentenza 26 febbraio 1820. 30 Minutario 1820, Sentenza 22 aprile 1820. 31 Minutario 1823, Sentenza 14 gennaio 1823. 32 Minutario 1824, Sentenza 28 marzo 1824. 33 Minutario 1832, Sentenza 20 agosto 1832.

dalle Regie Costituzioni «colla pena della morte, accompagnata da quell’e- semplarità, che si stimerà più adatta all’enormità di un sì atroce delitto»34. Il codice penale albertino qualificava il venefizio come omicidio volontario punibile con la morte35. La condanna alla pena capitale fu applicata a tre imputate dalle magistrature piemontesi nel periodo considerato.

Il 20 maggio 1823 Rosa Pantone vedova Gorla e Giacomo Scaglione36 furono im- putati di veneficio per aver ucciso il precedente marito della donna al fine di potersi unire in matrimonio tra loro e di pratica adulterina e scandalosa. Essi furono con- dannati «ad essere pubblicamente appiccati per la gola, l’applicazione delle tena- glie infuocate e fatto il corpo cadavere», il Senato «mandava spiccargli la testa dal busto ed affiggersi al patibolo».

Il 27 giugno 1837 venne ordinato il procedimento ex abrupto nei confronti di Mad- dalena Grappiolo vedova Robba37, imputata di veneficio del marito, avendogli som- ministrato una minestra preparata con erba cicuta considerata causa della morte di questi avvenuta poche ore dopo; la Robbia era inoltre «reputata di essere persona facilmente irritabile ed in continue discussioni ed alterchi col marito». Essa fu con- dannata alla pena della morte.

Il 17 dicembre 1855 Francesco e Matilde coniugi Alessio38 furono «imputati di veneficio di Luigi Alessio figlio del coaccusato Francesco» e condannati alla pena della morte in base agli artt. 570, 577, 20 e 23 del codice penale albertino.

Segue poi il reato di omicidio.

Il 17 aprile 1820 Luigi Mondino e Teresa Ferrero39 furono imputati di barbaro e proditorio uxoricidio commesso ai danni della moglie del Mondino e di condotta scandalosa e adulterina tenuta da parte dei due da quattro anni circa. Essi furono condannati alla pubblica impiccagione previa l’applicazione delle tenaglie infuoca- 34 RR. CC. 1770, Lib. IV, Tit. XXXIV, cap. VII, par. 4.

35 Art. 570 Codice penale per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna: «L’omicidio volontario quando è commesso col mezzo di sostanze venefiche, in qualunque modo siano state ado- perate o somministrate, è qualificato “venefizio”. Sono riputate materie venefiche non solo quelle che sono tali di loro natura e così atte a portare prontamente la morte, ma anche le altre naturali od artefatte, che per la loro maligna qualità alterando insensibilmente la salute conducono pure alla morte».

36 A.S.T., Sezioni Riunite, Senato di Piemonte, Sentenze, Minutario 1823, Sentenza 20 maggio 1823.

37 Minutario 1837, Sentenza 27 giugno 1837.

38 A.S.T., Sez. Riunite, Corte d’Appello di Torino, Mazzo 2293, Sentenza 17 dicembre 1855.

te. Con Regie patenti del 21 aprile 1820, S.M. si “degnò” «di condonare ai suddetti detenuti Luigi Mondino e Teresa Ferrero la pena dell’applicazione delle tenaglie infuocate, fermo del resto rimanendo il disposto della sentenza».

Il 22 settembre 1827 Maria Gaj40 fu «imputata dell’omicidio proditorio e barbaro del marito e della qualità di donna collerica e vendicativa essendo già stata detenuta e con- dannata con sentenza Senatoria del 31 marzo 1821 per le ferite causate allo stesso ma- rito». Fu condannata all’impiccagione previa l’applicazione delle tenaglie infuocate. Il 1° aprile 1842 Anna Serra vedova Chiavazza, Matteo e Guglielmo Marengo41 (quest’ultimo contumace) furono imputati del barbaro omicidio del marito della Serra e, inoltre, «il Matteo Marengo e la Serra di pratica scandalosa e adulterina». Essi furono condannati alla pena della morte in base agli artt. 572, 577, 108 n. 3, 109 n. 1, 437, 115, 20, 23, 80 e 77 del codice penale e «il Guglielmo Marengo mandato ad iscriversi nel catalogo dei banditi». Con Regie Patenti del 27 settembre 1842 al Matteo Marengo ed alla vedova Chiavazza venne commutata la pena di morte in quella della detenzione a vita.

Il 5 gennaio 1859 Giovanna Borula42 fu imputata dell’assassinio del marito e di incendio volontario. Essa fu condannata alla pena di morte in base al combinato disposto degli artt. 572, 577, 700, 20 e 23 del codice penale. Con Regio Decreto del 14 maggio 1859 venne fatta commutazione della pena di morte in quella dei lavori forzati a vita.

Il 17 maggio 1859 Maria Bonino, vedova Costa43, fu «imputata dell’assassinio del proprio marito per avergli gettato un secchio d’acqua bollente mentre dormiva». Essa fu condannata alla pena di morte in base al combinato disposto degli artt. 572, 577, 20 e 23 del codice penale albertino.

Uno solo è il caso di furti reiterati che conducono alla pena capitale. Il 30 aprile 1819 Teresa Mosso44 era imputata di furto domestico di diciotto pezzi d’argenteria ed altri effetti, di una serie di appropriazioni indebite di somme di denaro e di una pistola d’argento e «della qualità di donna dedita alle truffe, solita ad appropriarsi delle cose affidatele e a servirsene e recidiva in tal genere di delitti essendo già stata condannata dai Tribunali di Polizia Correzionale di Genova ed Alessandria nel novembre 1812 e nell’aprile 1813». Fu condannata ad essere «pub- blicamente applicata per la gola». La pena di morte le fu commutata in quella del carcere perpetuo con regie Patenti di grazia del 17 maggio 1819.

40 Minutario 1827, Sentenza 22 settembre 1827. 41 Minutario 1842, Sentenza 1 aprile 1842.

42 A.S.T., Sez. Riunite, Corte d’Appello di Torino, Mazzo 2300, Sentenza 5 gennaio 1859.

43 A.S.T., Sez. Riunite, Corte d’Appello di Torino, Mazzo 2300, Sentenza 17 maggio 1859.

44 A.S.T., Sez. Riunite, Senato di Piemonte, Sentenze, Minutario 1819, Sentenza 30 apri- le 1819.

Nel documento Donne ristrette (pagine 171-175)

Outline

Documenti correlati