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Considerazioni conclusive.

Nel documento Donne ristrette (pagine 175-183)

attraverso le sentenze degli organi giudiziari (1802-1861)

4. Considerazioni conclusive.

Il primo dato che risulta evidente riguardo alla criminalità femminile dal periodo dell’annessione del Piemonte alla Francia (1802-1814) agli anni pre- cedenti l’Unità d’Italia è l’estremo divario che sussiste tra questa e la crimi- nalità maschile.

Sulle ragioni di questa forte discrepanza hanno di certo influito motivi di carattere sociale, altri strettamente giuridici, altri ancora che esulano dall’og- getto del presente lavoro. La società del tempo, esasperatamente maschilista, attribuiva all’uomo, in ogni contesto, la figura di protagonista della vita quoti- diana, relegando la donna ad un ruolo di completa subalternità.

Quanto descritto appare perfettamente aderente all’affermazione di Malleville (1801, p. 486)45, uno dei quattro artisans del Code Napoléon, che considerava la figura paterna come “ausiliaria” dello Stato e garante del buon andamento della famiglia nella cui compagine coloro che amministravano la giustizia preferivano, di norma, non intromettersi. È inoltre da evidenziare come, conformemente alle disposizioni del codice civile improntate sull’auto- rité paternelle, i delitti in ambito famigliare fossero assai raramente perseguiti. Sottratta dai centri decisionali e relegata al lavoro ed alla cura dei figli tra le mura domestiche, la donna riceveva scarsi stimoli e aveva poche opportunità, anche per la commissione di delitti. Oltre a ciò, essendo i reati commessi dalle donne in genere di piccola entità (furti, pratiche disoneste e scandalose, ecc.), difficile era la loro individuazione, con la conseguenza di un ampio divario tra il numero di quelli perseguiti e quello dei reati effettivamente compiuti.

Nelle ipotesi di concorso di persone nel reato, poi, le donne vennero pun- tualmente considerate semplici complici beneficiando delle attenuanti del caso46. Si legga, a questo riguardo, la sentenza del 4 febbraio 1854 relativa all’accusa rivolta a Giovannina Mauro47, con altre cinque persone, di resi- stenza e rivolta a mano armata nei confronti dei carabinieri reali. Lorenzo e Giovanni Billò furono condannati al carcere; Tommaso e Pietro Billò alla reclusione; per Giovannina Mauro, invece, si dichiarò «il sofferto carcere ba- stante, comandando l’immediata scarcerazione». Esemplificativa è la sentenza nella causa contro Anna Gioda 48 in cui si dichiarò non doversi procedere nei

45 J.A. De Mallville (1801, p. 486) riteneva «impossible à l’État de maintenir l’ordre

sans le secours des pères de famille».

46 L’art. 109 C.P. 1839 afferma che la pena dei complici sarà diminuita secondo le circo- stanze, da uno a tre gradi.

47 A.S.T., Sez. Riunite, Magistrato d’Appello di Torino, Mazzo 2290, Sentenza del 9 gennaio 1860.

confronti della donna in quanto non si riconobbe la sua partecipazione al reato. Le fattispecie criminali ascritte alle donne si individuano per lo più in furti di piccola entità: beni domestici, alimenti, vestiario, biancheria e denaro. Si vedano, ad esempio, la sentenza del 10 dicembre 1848 contro Teresa Romio49, condannata a otto mesi di carcere oltre all’indennizzazione essendo accusata del furto di lenzuola e biancheria intima per un valore di lire 59 oltre a lire 7 in denaro, o quella nella causa contro Maria Allasia 50, condannata ad un anno di carcere e all’indennizzazione per il furto di «lenzuola, coperte, vestiario e alimenti per un valore totale di 64 lire e 80 centesimi».

L’atteggiamento di particolare benevolenza della magistratura nei confron- ti di quasi tutte le forme di criminalità femminile51 è più evidente per i reati di pratica disonesta scandalosa. È il caso di Pietro Fazio di anni 36 e Maria Balbo, ventenne, del 10 gennaio 186052. Accusati di pratica disonesta con pub- blico scandalo, il primo fu condannato a tredici mesi di carcere oltre ad un’in- dennizzazione da pagare alla propria moglie. Maria Balbo a soli sei mesi di detenzione53.

anni ventidue, chiodaiuolo, Dupaul Carlo di anni diciotto, tessitore, Barberis Augusto di anni sedici, senza professione, Bellino Giovanni di anni dodici, chiodaiuolo e Raimondi Stefano di anni dodici, senza professione, accusati di associazione allo scopo di commet- tere reati oltre al furto di una quantità di tela del valore di lire 50». Tutti furono condannati fuorchè Anna Gioda.

49 A.S.T., Sez. Riunite, Magistrato d’Appello di Torino, Mazzo 2279, Sentenza 10 di- cembre 1848.

50 A.S.T., Sez. Riunite, Magistrato d’Appello di Torino, Mazzo 2282, Sentenza del 7 maggio 1850.

51 V., a tal proposito, A.S.T., Sez. Riunite, Magistrato d’Appello di Torino, Sentenze d’accusa, Mazzo 2282, Sentenza del 23 marzo 1850: Tommaso Avena, Giuseppe Pierino, Francesca Viola, Mario Bonamico, accusati di questua, di oziosità e di vagabondaggio, fu- rono tutti condannati a 6 mesi di carcere, fuorché Francesca Viola, per la quale si dichiarò il carcere sofferto bastante. La sentenza del 17 novembre 1854, in A.S.T., Sez. Riunite, Magistrato d’Appello di Torino, Sentenze d’accusa, Mazzo 2290: Giovanni Dherin di anni 28, soldato, e Maria Peaquin di anni 27, contadina, entrambi di Montjovet, furono accusati del reato di pratica disonesta e scandalosa e dell’assassinio del marito della donna; il sol- dato fu condannato alla pena di morte, all’indennizzazione e alla perdita dei diritti civili, Maria Peaquin ai lavori forzati per 15 anni, all’interdizione dai pubblici uffici, alla sorve- glianza speciale di polizia per 10 anni e all’indennizzazione. La sentenza del 3 marzo 1849, in A.S.T., Sez. Riunite, Magistrato d’Appello di Torino, Sentenze d’accusa, Mazzo 2280: Marianna Filera, di anni 51, contadina di Flecchio, per aver percosso e maltrattato una vici- na fu condannata a 15 lire di ammenda e all’indennizzazione.

52 A.S.T., Sez. Riunite, Corte d’Appello di Torino, Mazzo 2302, Sentenza 10 gennaio 1860.

È da sottolineare, però, come pochissime tutele avesse la donna nel mo- mento in cui diveniva vittima di reato. Nella quasi totalità dei casi di stupro, ad esempio, il giudice non riconobbe il fatto o riscontrò solamente una pratica disonesta o scandalosa. Si veda a tal proposito la sentenza del 31 agosto 1848 relativa a Giovanni Deambrogio di anni 20 e Giovanni Barrera di anni 25, en- trambi garzoni falegnami di Torino, accusati di violento stupro e assolti perché non sufficienti le prove di reità (la perizia aveva al contrario riscontrato nume- rose contusioni per il corpo della giovane ragazza) e la causa, dell’11 maggio 1850, contro Badino Guglielmo, contadino di Vico di 24 anni, accusato di tentato stupro violento e assolto perché il fatto compiuto non costituiva reato (si noti che alcuni testimoni, accorsi alle grida della giovane vittima, avevano confermato la violenza)54.

Rinveniamo due sentenze di condanna per violenza sessuale solo in età na- poleonica. Esse furono emesse dalla Corte speciale e straordinaria di Casale: in entrambi i casi, secondo disposizione di legge, gli imputati furono condan- nati alla pena dei lavori forzati perpetui ed al marchio delle lettere TF sulla spalla destra. Era infatti stabilita, agli artt. 331 e 333 del Codice penale del 1810, la pena della reclusione nel caso di reato di violenza sessuale tentata o consumata o di reati contro il pudore. La pena dei lavori forzati perpetui era invece prevista nel caso in cui il colpevole di tale delitto fosse insegnante, domestico, funzionario pubblico, ministro di un culto o avesse agito con la complicità di una o più persone55.

Nella prima sentenza esaminata, François Mogliotti56, pastore venticinquenne, resi- dente a Rocchetta Tanaro, fu riconosciuto colpevole di aver violentato, con l’aiuto di Maria Gaveglio, sua complice, Marianne Giacomo, di 19 anni, mentre questa stava rincasando.

del 13 febbraio 1855: Giovanni Occhiena, di anni 62, nato a Castelnuovo e residente ad Asti, e Angela Duretti, di anni 35, nata e residente ad Asti, furono accusati di eccitamento al libertinaggio, di corruzione e di pratica disonesta con pubblico scandalo. Occhiena fu condannato a cinque anni di reclusione, Angela Duretti a 3 anni di carcere.

54 A.S.T., Sez. Riunite, Magistrato d’Appello di Torino, Mazzo 2279, Sentenza 31 agosto 1848; Mazzo 2282, Sentenza dell’11 maggio 1850.

55 Code pénal 1810: «Quiconque aura commis le crime de viol, ou sera coupable de tout

autre attentat à la pudeur, consommé ou tenté avec violence contre des individus de l’un ou de l’autre sexe, sera puni de la réclusion» (art. 331). «La peine sera celle des travaux for- cés à perpétuité, si les coupables sont de la classe de ceux qui ont autorité sur la personne envers laquelle ils ont commis l’attentat, s’ils sont ses instituteurs ou ses serviteurs à gages, ou s’ils sont fonctionnaires publics, ou ministres d’un culte, ou si le coupable, quel qu’il soit, a été aidé dans son crime par une ou plusieurs personnes» (art. 333).

Charles Sodero57, contadino di 54 anni, fu invece condannato per abusi sessuali su una ragazza quattordicenne, della quale era tutore.

Quale ideale conclusione, ci sia consentito di “uscire” dal Piemonte – re- stando però nei confini del Regno di Sardegna – citando un ultimo caso, giu- dicato dal Magistrato d’appello di Genova il 25 luglio 1849, a due anni quindi dall’istituzione della corte di Cassazione, la cui creazione aveva sancito so- stanzialmente la fine dei Senati sabaudi.

La vicenda riguarda Antonietta Camicia58, di anni 22, di S. Pietro di Vara (prov. di Chiavari), la quale, la sera del 13 novembre 1848, aveva ucciso con un colpo di pistola nella pubblica via Giuseppe Calliada, d’anni 19. Fu accu- sata del reato d’omicidio, contemplato dall’art. 582 del Codice penale. Circa le cause del delitto, dall’atto d’accusa e dai dibattimenti risultavano le seguenti circostanze. Il Calliada aveva giurato “eterno amore” alla donna, l’aveva resa incinta e aveva promesso di sposarla. Viste però le resistenze della sua fami- glia al matrimonio con la Camicia, aveva desistito dal proposito, innamoran- dosi peraltro di un’altra donna. Antonietta Camicia, la sera del delitto, essendo “fuori di sé”, pedinò il Calliada mentre usciva con l’amante, quindi lo fermò chiedendogli di mantenere la promessa fatta. Alla risposta di Calliada di non importunarlo, ella replicò sparandogli un colpo di pistola.

L’avvocato difensore citava un passo del noto medico legale François- Emmanuel Fodéré tratto dal Traité de médécine légale nel quale, descrivendo la gelosia di una donna incinta, affermava: «je la regarde comme un véritable Délire». In quel passo il medico savoiardo distingueva la «gelosia fisica, che nasce da un’aberrazione dei sensi provocata dai loro bisogni», dalla gelosia morale, «che nasce da un desiderio esaltato di preferenza». Riferendosi in particolare a quest’ultima aggiungeva: «elle est toujours cruelle; elle se replie de cent manières pour inventer des nouvelles embûches où elle tombe avec sa victime; ses jouissances sont dans les maux qu’elle sent, et bien loin de naître d’un extrême amour, elle s’accompagne très-souvent de la haine. C’est une véritable erreur de l’âme, fixe, permanente, exigeant un traitement comme les autres délires, ne se dissipant pas d’elle- même, et ne pouvant s’éteindre que longtemps après la destruction de ce qui en faisait l’objet» (Fodéré, 1813, p. 234 s.).

Tutte queste cause si erano, secondo l’avvocato difensore, «riunite nel- la Camicia a cagionarle quel furore di cui parla l’art. 99 del Codice penale albertino».

Il Magistrato d’appello non accoglieva la tesi del difensore riguardo allo stato di morboso furore e pazzia in cui si sarebbe trovata la donna al momento 57 Séance 19 mars 1813 in Jugements, ordonnances, délibérations. Reg. 124.

di commettere il delitto, stato che avrebbe addirittura escluso la sua imputa- bilità. Il giudice applicava invece l’art. 605, che prevedeva, per l’omicidio mosso da un eccesso d’ira e causato da una grave provocazione, la diminuzio- ne dalla pena di morte alla reclusione o alla relegazione. Per questi motivi la Camicia era condannata alla pena di un anno di carcere59.

Come si può notare, questa sentenza, oltre a presentare teorie tratte da Fodéré, uno dei padri della medicina legale, pare preludere a quell’attenzione per la donna vista nel “codice penale e nel contesto della vita sociale” che avranno, una quarantina di anni più tardi, i giuristi della scuola positiva (v. in- fra, “Eva delinquente”), i quali, come noto, sposteranno la lente della dottrina penalistica dal reato al reo (Ferri, 1885, p. 2160).

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Camicia in tre atti di Antonio Stacchini. Un anno dopo Carlo Benvenuti ne diede una sua

nuova versione, in cinque atti, con medesimo titolo.

60 «La scuola positiva considera […] il reato come un fenomeno naturale […] determina- to da molteplici cause naturali e quindi invece del reato studia il reo, a questo soprattutto adattando i provvedimenti difensivi, e tenendo il reato commesso come solo indice della

dell’aquila imperiale. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori sabaudi in età napoleonica (1802-1814). Atti del Convegno, Torino, 15-18 ottobre 1990, vol. I, Roma, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi, 28, 1994, p. 369 ss.

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Note sulla detenzione femminile in Piemonte dall’antico

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