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Commitment organizzativo e principi a sostegno della CC e sensibilità alle differenze

RISULTATI ANALISI INTRACASO DELL’ORGANIZZAZIONE 1 (EMILIA ROMAGNA)

5.2.1 Commitment organizzativo e principi a sostegno della CC e sensibilità alle differenze

5.2.1.1 Priorità attribuita alla CC, leadership, piano strategico

Il tema della salute dei migranti è affiancato alle strategie organizzative orientate all’equità ed è sentito come un orientamento prioritario che ha disegnato strutture, responsabilità e la pianificazione dei servizi. In particolare, si presenta come critico, in termini di commitment dell’azienda, un cambiamento di direzione avvenuto tre anni prima, che ha reso le strategie volte a promuovere l’equità in azienda strutturali, istituendo l’unità operativa di “Equity management” e di “Strategie di partecipazione attiva” in Direzione. Non si presentano ruoli di responsabilità formali sul tema della salute delle persone di origine immigrata, ma il direttore della struttura dedicata all’equità e la direzione socio-sanitaria sono riconosciute come strutture con esperienza e responsabilità sul tema. Si valorizza l’organizzazione a matrice che permette alla struttura di Equity management di essere in comunicazione con il personale che di volta in volta è interessato dagli interventi di Equity assessment, considerati strategie centrale e livello organizzativo. Inoltre, il piano strategico aziendale (con numerosi obiettivi specifici della Direzione), e tutta la programmazione dei servizi che discende dalle politiche regionali ha un orientamento all’equità. Si riconoscono alcuni servizi ed aree su cui c’è stato maggior investimento da parte dell’organizzazione per sviluppare servizi CC (materno-infantile o pediatria) e la presenza di dipartimenti meno sensibili per un minor accesso e contatto con l’utenza di diversa origine. Il consultorio in particolare è descritto come “avanguardia” sul tema CC.

5.2.1.2 Significati attribuiti alla CC: approccio alla diversità e approccio strategico e professionale

Diversità e problemi di salute dei migranti

Gli sforzi dell’organizzazione sono diretti ad una popolazione percepita come molto differente rispetto all’origine e alle condizioni di vita nei diversi territori di riferimento dell’azienda e ai problemi e priorità a cui l’azienda deve rispondere. I problemi di salute e le condizioni di disuguaglianza sono percepiti in modo diverso in base al tipo di gruppo, e un’intervistata sottolinea la necessità di distinguere i sottogruppi, evidenziando la presenza di disuguaglianze

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all’accesso solo per alcune categorie specifiche. Si fa in particolare riferimento ai dati raccolti dall’azienda.

In effetti poi i migranti da noi vengono, specialmente quelli che non sono di ultimo arrivo, poi se parliamo dei migranti degli ultimi flussi perciò richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale è un altro discorso, però insomma non abbiamo grosse difficoltà… e comunque sono abituate da sempre, per esempio quando abbiamo fatto il percorso nascita devo dire le donne immigrate prese in carico da servizi dedicati hanno sempre seguito tutto il percorso, tutto, non hanno mancato ad un test, ad un esame ad una ecografia, unica cosa che mancano è i corsi preparto, loro non ci vanno. (I.1)

Particolarmente vulnerabile è vista la fascia d’utenza dei rifugiati e richiedenti asilo, per i bassi livelli di scolarizzazione e alfabetizzazione sanitaria, nonché per le condizioni di vulnerabilità psicologica legate al trauma e all’esperienza migratoria, insieme ai gruppi di migranti “più marginali” quali gli stranieri irregolari STP per i quali si riconoscono maggiori barriere all’accesso. Differenti problemi d’accesso e condizioni di salute si riferiscono rispetto alle “badanti” e alla popolazione di “prima generazione” per cui sono diventate rilevanti le patologie legate all’invecchiamento (“stanno invecchiando anche loro”). Un problema sentito è quello del ricorso tardivo alle cure, citato sia per le malattie croniche quali il diabete, che per le malattie oncologiche a cui si collegano stili di vita “scorretti” e un minor accesso agli screening per una differente rappresentazione delle pratiche di salute e della prevenzione.

Casi gravi con amputazione che non vedevamo più, magari isolati ma gravi. Sono persone che non hanno la rappresentazione della continuità delle cure. Non è che non vogliono, ma non sanno. (I.2)

Tali problemi sono citati in riferimento anche alla salute delle donne, che oltre ad aver un minor accesso ai corsi pre-parto, maggior rischio di diabete gestazionale, possono vivere con maggiore difficoltà la gravidanza e l’esperienza del parto per ragioni culturali o per il minor supporto sociale. La differenza culturale emerge come una delle dimensioni salienti per spiegare le differenze di accesso ai servizi. Importanti barriere d’accesso, in relazione alla “chiusura” della comunità, si riscontrano per l’utenza di origine cinese.

Approccio strategico e alla pratica clinica

Gli approcci dell’azienda per ridurre le disuguaglianze e migliorare i servizi per l’utenza sono presentati secondo due linee strategiche, percepite da un intervistata come approcci in integrazione: a) un approccio all’equità, non specifico per il target migranti, che riguarda la programmazione dei servizi b) un approccio che mira ad un modello diffuso di competenza dell’organizzazione per rispondere ai bisogni specifici dell’utenza straniera e alle differenze, contrapposto ad un modello che centralizza l’assistenza agli stranieri attraverso servizi dedicati (es. ambulatori). L’orientamento all’equità dell’organizzazione è presentato come obiettivo dell’azienda nel garantire accesso equo ai diversi gruppi di popolazione, analizzando, attraverso i dati a disposizione, i processi organizzativi e i gap che possono causare disuguaglianze nell’accesso. Si enfatizza un approccio che tuteli tutte le vulnerabilità e diversità, in

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contrapposizione ad un approccio “per target” che pianifica e programma i servizi per gruppi di popolazione considerati vulnerabili.

L’equità in questa azienda è vista in maniera non prettamente esclusiva sui migranti. Inostri lavori sull’equità utilizzano fondamentalmente degli strumenti, che sono strumenti tipici utilizzati dal panorama inglese utilizzati dalla scuola di Marmot14 che sono utilizzati nel equity impact assessment (..) e per equity management noi intendiamo esattamente quello che intende Marmot, io sono una sua seguace da sempre, ho praticamente applicato quel modello, cioè lavorare su tutte le variabili, anche perché lui insegna che lavorare solo sui vulnerabili ci lavorano tutti, se tu vuoi lavorare sull’equità devi andare a vedere effettivamente chi viene escluso dai tuoi servizi e andare ad indagare i gap organizzativi….(I.1)

L’approccio che l’azienda ha sviluppato per rispondere ai bisogni di salute della popolazione straniera che viene definito come di “accoglienza diffuso” è finalizzato a creare le condizioni affinché tutti i servizi siano in grado di accogliere persone straniere, di qualsiasi origine, ma in generale anche tutte le differenze. In questo caso si fa riferimento allo sviluppo di competenze multiculturali, intese come competenze riflessive e di messa in discussione delle pratiche. Per questo uno degli assi è la formazione degli operatori e la scelta di non creare servizi dedicati. L’orientamento descritto è un’“alta attenzione e una continua sensibilizzazione.” Le strategie orientate all’equità e alla salute degli stranieri e alla qualità dell’assistenza sono considerate di supporto al miglioramento della qualità delle cure e dell’accesso ai servizi di tutta l’utenza, in un’ottica di “centratura sui bisogni dell’utenza” e individualizzazione dell’assistenza, considerando la cultura nelle sue dimensioni “soggettive”.

Anche perché l’aspetto interessante è che, secondo me, nel momento in cui si lavora con gli stranieri, che è solo elemento di maggiore differenza rispetto alla popolazione italiana, che può avere degli aspetti diversificati, è che fa luce immediatamente sui processi di accoglienza e quelli che sono anche i gap, e questo secondo me si riesce a lavorare su questo, per vedere, aumenta anche la nostra capacità di accogliere gli italiani nelle loro differenze e nelle loro diversificazioni, poi è un lavoro complesso, però questa è la premessa, la cornice organizzativa e strategica che azienda si è data. (I.2)

Emergono diversi atteggiamenti e prospettive sugli approcci organizzativi fra i partecipanti, in particolare sull’enfasi posta al target migranti e sulla possibilità di implementare servizi dedicati all’utenza straniera, legati anche a differenze nella percezione delle disuguaglianze. Si ritiene l’approccio per target superato e si valorizza l’approccio “orientato all’equità” perché permette di riconoscere eventuali processi discriminatori dell’organizzazione e la variabilità che esiste nella categoria “migrante”, citando le seconde generazioni ma anche la variabilità dovuta allo status socio-economico. Il rischio dell’approccio per target è di favorire in termini di risorse dedicate alcuni gruppi in modo non equo rispetto ad altri e di non rispondere ai bisogni della comunità nel suo insieme.

Per un’intervistata l’idea di sviluppare interventi e servizi dedicati è vista molto negativamente, sia per ragioni di immagine, in quanto la tensione politica attuale sul tema della

14 Marmot, M., Friel, S., Bell, R., Houweling, T. A., Taylor, S., & Commission on Social Determinants of Health. (2008). Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health. The lancet, 372(9650), 1661-1669.

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migrazione rende il tema oggetto di polemiche, che per il rischio di creare, attraverso i servizi dedicati, processi di ghettizzazione dell’utenza.

Inoltre, si sottolineano le conseguenze negative in termini di processi di integrazione organizzativa come lo sviluppo di controculture e conflitti intra-organizzativi.

Mettere dei target tutti da soli, mi viene l’orticaria… perché parliamo... fra poco succederà con il panorama politico in cui ci troviamo ...non vorrei che succedesse quello che in alcune situazione è già successo, che va tutto a quelli e poi si scordano gli altri [..]assurdo, e non lo dico io, lo dice una voce più autorevole di me, che concentrandoti sull’immigrato tu ti scordi la nonnetta che in casa da sola non ha parenti, italiana che vive della sua pensione che magari inizia un po' di demenza senile…[…] Però poi che succede, che gli operatori stessi, parlo anni 90, dove andava di moda il fenomeno immigratorio e la gente si sentiva bella a lavorare su questa cosa, che poi la gente si àncora a quella cosa e ostacola l’integrazione nei servizi di questa gente, perciò noi ci siamo trovati a dover lavorare in maniera tale che fosse un modello diffuso (I.1)

Un’altra fra le intervistate riconosce alcuni svantaggi e criticità nell’implementare un modello diffuso: richiede uno sforzo continuo all’organizzazione di diffondere e integrare pratiche di CC e comporta rischi maggiori per la continuità delle cure, presupponendo un buon livello di autonomia e consapevolezza dell’utenza, non sempre presente, soprattutto nei casi più complessi.

Gli interventi per target sembrano essere giustificati per casi specifici: quando le patologie e i problemi sono di “nicchia” come le mutilazioni genitali femminili o c’è una grave condizione di vulnerabilità, come nel caso degli irregolari. I servizi dedicati sono pensati come “momentanei” per favorire col tempo l’accesso “autonomo a tutti i servizi”.

5.2.1.3 Le strategie di implementazione di cambiamenti organizzativi: strategie di planning e monitoring

Il tema dell’equità è legato a quello dell’accessibilità ai servizi e della ricerca e raccolta dati. La strategia centrale a livello di management per garantire equità nell’organizzazione è il coordinamento e la programmazione degli interventi di Equity Assessment, che integrano processi di analisi dei dati sull’accesso ai servizi con la partecipazione degli “stakeholder”, insieme all’utilizzo degli strumenti di Equity impact Equity Audit e Equity impact assessment. Tali strumenti sono descritti come parte della cultura organizzativa e sono utilizzati come strumenti di programmazione e pianificazione dei servizi.

Prima prendevi la scheda, organizzavi l’EQUIA, facevi le riunioni e poi rispondevi a tutti i quesiti, ora non fai più così perché EQUIA è già in testa… fra di noi quando facciamo delle robe sui servizi ..dici eh però non hai tenuto conto dei disabili, qui non hai tenuto conto però del fatto che ci possono essere degli stranieri STP, che non hanno medico di medicina generale quindi qua non possono andare quindi che cosa facciamo per questo?..Però non solo per gli immigrati. (I.1)

Gli strumenti di Equity audit sono valorizzati in quanto permettono una programmazione ancorata ai dati sia qualitativi (raccolti attraverso focus group, interviste semi-strutturate, questionari brevi, osservazione partecipata) che quantitativi, e la possibilità di migliorare i servizi,

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rispondendo ai bisogni dell’utenza. L’equity audit è presentato come un percorso “faticoso” che, ove è stato utilizzato (es.: sono stati realizzati negli ultimi anni interventi sui percorsi del materno- infantile e del diabete, su due percorsi oncologici) dura in media 2/3 anni. Esso si avvale dell’apporto dell’epidemiologia, della statistica e del personale dei servizi e prevede la partecipazione degli stakeholder nel processo, sia all’avvio che nella fase finale per progettare azioni di miglioramento.

5.2.1.4 Le strategie al sostegno della partecipazione dell’utenza e della comunità

L’altro asse strategico associato allo sviluppo della CC è la partecipazione della comunità: “lavorare su questi temi è un grande lavoro di rete con il territorio e con la realtà organizzativa. È un grande lavoro di comunità”. La partecipazione è vista come un valore chiave dell’organizzazione, in sintonia con la cultura della città in cui l’organizzazione è situata, sostenuta dalle politiche regionali sull’integrazione socio-sanitaria. La partecipazione è sentita come necessaria per rendere i servizi centrati sui bisogni dell’utenza ed è associata al concetto di equità e alla realizzazione degli strumenti di equity audit che prevedono una fase di confronto con l’utenza. C’è una struttura dedicata che si occupa di coordinare le attività di promozione della partecipazione intesa come “Customer exeperience” fra le quali si riconoscono le attività di ricerca (interviste, osservazioni) realizzate da un team dedicato e la partecipazione ad eventi della comunità. In termini di coordinamento e strutture organizzative, il direttore di distretto è descritta come figura di presidio organizzativo che facilita il contatto con il territorio, avendo una funzione di interfaccia con il territorio, i cittadini e anche le organizzazioni. Un’ulteriore struttura dedicata allo sviluppo di processi partecipativi è il comitato di partecipazione aziendale, di cui però si riconoscere la poca rappresentatività, poiché composto principalmente da associazione di malati. La partecipazione è descritta maggiormente in termini di coinvolgimento e di empowerment della comunità, piuttosto che di partecipazione del paziente. Una delle logiche espresse per favorire la partecipazione è quella di “uscire dal servizio”: l’idea è quella di andare ad eventi di aggregazione già strutturati e inserirsi lì, e non creare aggregazione ad hoc per le nostre attività… tu vai dove c’è la gente, dove la gente si incontra”. Un’intervistata descrive il coinvolgimento delle persone di origine straniera come un’attività di scouting a sottolineare la necessità di entrare in relazione con gruppi non facilmente raggiungibili e visibili. Le attività di coinvolgimento relative alla popolazione di origine immigrata non sono viste come un’azione strutturale, ma ancora piuttosto frammentata.

Io penso che questa roba qua richiede una funzione di scouting, nel senso che, perché se no, allora bisogna essere veramente dentro il territorio, per scovare delle realtà non note, e con i migranti tanto più, perché ad esempio li poi secondo me se li chiami, ci sei, loro vengono e rispondo molto volentieri è anche un riconoscimento sociale. Sarebbe da sistematizzare, perché abbiamo diverse realtà… sono situazioni un po’ a macchia di leopardo, mentre meriterebbero di essere messe a regime. Rispetto a queste campagne o azioni bisognerebbe sempre avere un’area dedicata agli stranieri, questo sarebbe il salto. Quello che è stato fatto ha aiutato a creare un rapporto. (I.2)

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