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Le pratiche di sviluppo dei processi e strutture “interne” Mediazione culturale e materiale tradotto multilingua

RISULTATI ANALISI INTRACASO DELL’ORGANIZZAZIONE 3 (PIEMONTE)

7.2 Livello manageriale

7.4.2.1 Le pratiche di sviluppo dei processi e strutture “interne” Mediazione culturale e materiale tradotto multilingua

L’utilizzo della mediazione durante i colloqui è descritto come pratica centrale e si parla delle mediatrici come parte integrante dell’équipe, anche se disponibili a chiamata facendo riferimento al servizio aziendale. Le mediatrici, oltre ad avere una funzione di supporto nella pratica clinica, hanno svolto attività di formazione e di traduzione del materiale scritto.

Si valorizza l’intervento della mediatrice per la capacità di creare connessioni fra le diverse rappresentazioni culturali e si sottolinea l’importanza della loro formazione specifica per la sensibilità dei temi; per questo si predilige l’intervento di alcune mediatrici che hanno sviluppato esperienza di collaborazione con il servizio.

E però appunto ripeto le mediatrici formate, cioè non ci vuole la mediatrice così, ci vogliono delle mediatrici che siano abituate a parlare di violenze e di maltrattamento che non è semplice, un conto è spiegare che certi esami verranno fatti legati al tipo di violenza e poi secondo me anche riceversi come mediatrice tutta questa descrizione di violenze efferate etc o sei abituata, e non dico che ti fai il callo perché partecipare in parte a quel dolore lì, se no è durissima…(I.7)

Si valorizza la produzione da parte del servizio di materiale multilingue: materiale in lingua di presentazione dei servizi offerti sul sitoweb e una brochure tradotta in 5 lingue sui sintomi del disturbo post-traumatico, che soprattutto con l’esperienza migratoria possono manifestarsi a distanza di tempo. Il materiale è stato creato a seguito di una formazione (vedi par. successivo) e ha visto la collaborazione congiunta e il “gran lavoro” della psicologa del servizio e delle mediatrici.

Tabella 18. Sintesi delle pratiche CC sviluppate

Le pratiche di sviluppo dei processi e strutture “interne” 1. Mediazione culturale

2. Servizio ad accesso programmato per richiedenti asilo 3. Materiale multilingua tradotto presente sul sitoweb aziendale 4. Formazione

Le pratiche di sviluppo di collaborazioni interdipartimentali e integrazione fra i servizi 1. Collaborazioni non formalizzate per l’accesso

Le Pratiche di partecipazione e collaborazioni interoganizzative nella comunità 1. Interventi di alfabetizzazione sanitaria

2. Collaborazioni con Centri d’accoglienza per RTP 3. Collaborazione con Dipartimenti universitari

Accesso Programmato

Il servizio ha sviluppato negli ultimi anni un servizio di accesso e referral per le donne richiedenti asilo, funzionale alla richiesta d’asilo, in collaborazione con le istituzioni e

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organizzazioni del territorio coinvolte nel sistema dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. L’accesso è programmato sulla base delle segnalazioni provenienti dai centri di accoglienza. Il percorso, che prevede un’iniziale visita di 4 ore effettuata sempre con un mediatore, è finalizzato a raccogliere la storia della violenza e il percorso migratorio e attuare il repertamento di tutte le cicatrici e gli accertamenti medici (es. la visita, il prelievo per le malattie sessualmente trasmissibili etc). Generalmente, a seguito della presa in carico, l’assistenza psicologica viene “demandata” ad altre organizzazioni o servizi del territorio.

Si sottolinea come la visita abbia un forte impatto emotivo per le persone e si racconta come nel tempo si sia deciso di cambiare il modo di condurre il colloquio, non chiedendo aspetti della storia traumatici se già raccolti in precedenti occasioni.

Formazione

È data molta importanza alla possibilità di creare esperienze di formazione per le operatrici del servizio, i dipendenti dell’ospedale e occasioni di scambio con gli altri stakeholder. Mensilmente sono organizzati incontri (riunioni formative di équipe) con docenti esterni e colleghi della “rete” su tematiche definite, fra le quali sono in programmazione due giornate specificatamente dedicati alla salute delle donne straniere. Nell’anno precedente, in aggiunta, è stato organizzato un corso di formazione per le operatrici del servizio, durante il quale ogni mediatrice (araba, nigeriana, peruviana, cinese) ha affrontato il tema della violenza secondo la propria “cultura di provenienza”, le particolarità dei flussi migratori e le caratteristiche geografiche e politiche dei paesi di provenienza.

Cioè noi qua facciamo un sacco di riunioni di équipe e sulla migrazione abbiamo fatto dei lavori molto interessanti con le nostre mediatrici culturali, perché io ho voluto fortemente che tutte le operatrici del centro partecipassero a un corso, che abbiamo organizzato con la mediazione, nella quale ogni mediatrice culturale ci parlasse della violenza nel proprio paese, cioè quali erano gli stereotipi nel proprio paese, quali erano le accettazioni tra virgolette della violenza nel proprio paese per cui abbiamo fatto un lavoro bellissimo. (I.7)

7.4.2.2 Le pratiche di sviluppo di collaborazioni interdipartimentali e integrazione fra i servizi

La collaborazione con altri reparti dell’azienda è descritta come una relazione stabile, finalizzata all’accesso delle pazienti al servizio e alla presa in carico psicologica e sociale, ma non sembrano esserci specificità per il tema della salute delle persone di origine straniera. I reparti e gli altri servizi dell’ospedale hanno un ruolo nel segnalare i casi che necessitano della presa in carico del servizio.

Ci conoscono perché lavoriamo dentro l'azienda e un po’ una collaborazione anche costruita nel tempo, perché come dico sempre, quando uno non si occupa quotidianamente di questi argomenti può far paura, allora il fatto di sapere che c'è un centro che in qualche modo ti toglie un po’di castagne dal fuoco, funziona e questo secondo me, no?....eh veniamo chiamati da un reparto, dicendo..c'è una donna migrante in gravidanza che parla di maltrattamenti. (I.7)

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7.4.2.3 Le pratiche di partecipazione e collaborazioni interorganizzative nella comunità

Il servizio ha sviluppato un’attività di rete con organizzazioni esterne, mentre le attività di partecipazione dell’utenza di origine straniera o degli stakeholder sembra meno formalizzata. Rispetto a quest’ultimo caso, si riporta la partecipazione del servizio al coordinamento cittadino di associazioni e ulteriori attività di collaborazione con alcune associazioni per i casi presi in carico dal servizio o per alcune attività specifiche (es. finanziamento brochure). Come attività di outreach e di promozione della salute, da alcuni anni, su richiesta del CPIA (Centro per l’apprendimento della lingua), personale del servizio svolge una lezione sulla salute femminile durante il corso di insegnamento della lingua italiana.

Il servizio ha sviluppato nel tempo diverse forme di collaborazione con organizzazioni esterne (es. Prefettura, Procura, Forze dell’Ordine, UMS, Centri d’accoglienza, Università), necessarie al coordinamento dell’assistenza medica e sociale delle donne vittime di violenza, della formazione interna al servizio ed esterna, e alla ricerca. In relazione a quest’ultima, si valorizza la collaborazione con alcuni dipartimenti universitari per svolgere attività di ricerca e di formazione universitaria “far sì che il tema della migrazione, sotto tutte le proprie sfaccettature diventi tema di studio”.

Un ruolo particolare è attribuito alla collaborazione con i centri di accoglienza o comunità alloggio, costruita attraverso attività di coordinamento, per l’assistenza delle persone richiedenti asilo, poiché il personale delle comunità contribuisce ad identificare e segnalare i casi di donne che necessitano di supporto (“il ruolo di far emergere il sommerso”), mette a disposizione il mediatore della comunità per le visite svolte nel servizio e si occupa, dove presente la figura dello psicologo, del supporto psicologico per i casi presi in carico. L’intervento delle mediatrici delle comunità, descritte quale parte dell’“équipe allargata”, è valutato positivamente per la preparazione acquisita nel tempo. Se da una parte la collaborazione è attuata, perché sostiene la possibilità di massimizzare e non duplicare l’offerta dei servizi e migliorare la qualità del servizio, dall’altra emerge la difficoltà, definita come una delle maggiori difficoltà nell’implementazione, di sostenere la continuità nell’assistenza.

7.4.3 Supporto organizzativo all’implementazione di pratiche di CC e di equità

La formazione è considerata la pratica per fornire supporto agli operatori ma anche per diffondere sensibilità e sviluppare competenza nell’organizzazione. L’investimento nella formazione che ha supportato lo sviluppo di una competenza specifica nel personale del servizio, insieme alla “sensibilità” delle operatrici, sono considerati facilitatori per le pratiche CC del servizio. Una funzione importante è attribuita inoltre alla coesione del gruppo di lavoro, sia interno al servizio che esterno, per ridurre la sensazione di solitudine.

Quale difficoltà nel servizio si riporta il tema del sovraccarico in relazione al numero di accessi programmati, mentre si ritengono barriere alle pratiche CC le possibili resistenze del personale, esito sia di una responsabilità individuale che di carenze nel supporto organizzativo.

Dove non c'è sensibilizzazione, secondo me è un problema più che altro personale, cioè del diverso che fa paura, non so come dire e anche quindi il fatto che se il diverso mi fa paura, io metto una bella barriera, così almeno, cioè non devo neanche star tanto lì perché magari la

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persona se ne va, ecco detto proprio francamente, qua ….eh dove non c'è sensibilità è un po’ dura, lì le barriere si formano però mi vien da dire che le barriere si formano anche con le persone italianissime, cioè non c'è necessità di essere migrante… se non hai a disposizione delle persone che ti facciano da filtro come le mediatrici diventa difficilissimo…..è anche la mancata collaborazione che ti fa alzare quel muro di cui parlavamo prima, perché dato che non so dove mandarla io alzo il muro così almeno il problema mi si elimina e sono apposto. (I.7)

La percezione di supporto organizzativo viene associata in modo prevalente alla disponibilità della mediazione culturale e si valorizza quale forma di supporto alla pratica clinica la reperibilità h24 della mediazione culturale; allo stesso tempo si evidenzia il rischio di sovraccarico per le mediatrici (“le vedi correre”) dovuto al numero ridotto di personale. Per sostenere le pratiche del servizio si descrive l’importanza di svolgere un’azione di advocacy per coinvolgere le direzioni attraverso la partecipazione alle attività di coordinamento.

7.4.4 Il sistema regionale e il contesto sociale e politico

Il ruolo della Regione è sentito quale facilitatore all’implementazione di pratiche di contrasto alla violenza di genere e alla salute delle persone straniere per la priorità attribuita al tema e per il dispositivo di coordinamento regionale. Si riconosce una particolare attenzione da parte dell’assessorato alle pari opportunità e dai gruppi dedicati nei vari assessorati (gruppo tratta, gruppo sulla migrazione). A supporto dell’azione delle realtà locali nel coordinamento regionale contro la violenza di genere si è lavorato, in prima persona, per includere nel percorso formativo per il personale socio-sanitario di tutta la regione, un gruppo dedicato alla tratta e alla migrazione.

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7.5 Livello professionale

Sono presentati i dati raccolti tramite intervista faccia-a-faccia, svolta con due operatrici del servizio, facenti parte dell’équipe fissa del servizio: una psicologa e una ginecologa.

7.5.1 Commitment organizzativo e principi a sostegno della CC e sensibilità alle differenze

7.5.1.1 Priorità attribuita alla CC, leadership, piano strategico

Le intervistate percepiscono differenze nella priorità attribuita alla salute degli stranieri fra il livello manageriale e quello operativo. Riconoscono all’organizzazione un’attenzione a livello formale sul tema della salute degli stranieri e sui temi dell’umanizzazione, ma non sembra esserci la percezione di un impegno costante e visibile, a causa dell’investimento su altre priorità (es. la nuova riorganizzazione aziendale). Le azioni intraprese dall’organizzazione non sono percepite come davvero capaci di incidere sulla pratica clinica o rispondere ai bisogni “diversi”, mentre al servizio si riconosce maggior esperienza.

Ci sono un sacco di prodotti di umanizzazione molto friendly, dove ci sono gli artisti che vengono a dipingere. Io sono molto critica… umanizzazione che cosa è? Un fiore alle pareti o il fatto che la persona possa, in un momento di vita che è un ricovero, perché sta partorendo o non sta bene, mangiare del cibo che le vuol dire qualcosa?...ci sono quella che io chiamo la manovalanza, cioè noi, molto, nel senso che chiunque lavori in questo ospedale sa che la percentuale di persone straniere è altissima e sa che può essere una fatica e che bisognerebbe interrogarsi. (I.8)

7.5.1.2 Significati attribuiti alla CC: approccio alla diversità e approccio strategico e professionale

Diversità e problemi di salute dei migranti

L’alta percentuale di utenza straniera afferente al servizio, e nell’ospedale di riferimento, rende per le intervistate la diversità una dimensione costitutiva della pratica professionale. Le partecipanti distinguono, per i differenti problemi di salute e le modalità di accesso al servizio, fra “stranieri” e “migranti” da una parte, e i richiedenti asilo e rifugiati, provenienti dall’Africa subsahariana, dall’altra. Le intervistate parlano della diversità e del suo impatto sulla pratica clinica e sull’uso dei servizi facendo riferimento a molteplici fattori legati alle “caratteristiche” dell’utenza, ma anche alle pratiche organizzative che possono riprodurre condizioni di limitato accesso.

Vengono riconosciuti alcuni aspetti di disuguaglianze nell’accesso e nell’uso del servizio e particolari barriere d’accesso per le persone di origine cinese (di cui si percepisce una bassissima percentuale di accessi) e barriere d’accesso per le persone richiedenti asilo ai servizi di salute

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mentale. Si fa riferimento alla difficoltà di navigare fra i servizi sia per minori livelli di health literacy, sia per i vissuti di “spaesamento” dovuti al trauma e alla violenza e alle barriere legali che rendono più complesso l’accesso al SSN. Sono riconosciute differenze in base a dimensioni che richiamano la diversità linguistica, culturale, le condizioni di vita, il vissuto migratorio e l’età, fra le quali la ridotta rete sociale e la solitudine.

Sicuramente adesso mi viene in mente, provo a fare dei capitoli a parte anche se non esistono tanto compartimenti stagni… sicuramente rispetto alla violenza: la storia di vita, il percorso migratorio, la cultura di appartenenza fa molto la differenza rispetto a come le persone accedono qui e a come si relazionano a noi ecco… ehm… c’è in qualche modo, mi viene da pensare, a un nucleo grande, di persone che sono venute qui a lavorare.. mi vengono in mente le donne che sono venute qua a lavorare che poi hanno avuto la ricongiunzione ad esempio con i figli e poi arrivano qua e che per esempio rispetto alla violenza poi davvero dicono spesso solo a noi (I.8)

In aggiunta, per le persone richiedenti asilo, i bisogni di salute sono collegati a condizioni vissute come molto sensibili, quali l’esperienza del trauma, della tortura e dell’essere vittima di tratta o sfruttamento.

La diversità linguistica viene descritta da un’intervistata come la barriera più evidente, ma “risolvibile” all’interno del servizio attraverso il ricorso della mediazione. Con maggior difficoltà è avvertita la “gestione” della differenza culturale nella relazione clinica:

Cioè una delle, poi non so tu, però una delle difficoltà che io sento proprio a livello di pelle dentro, nel relazionarmi con date persone, soprattutto con le donne straniere, è il sentire una lontananza proprio fisica legata alla differenza proprio culturale, di storia… cioè io non ho idea di quello che è la tua storia, il tuo mondo… ehm do per scontate tante cose che però con te magari non c’entrano niente (I.9)

Approccio strategico e alla pratica clinica

Nel descrivere le proprie pratiche professionali e le strategie organizzative le intervistate pongono al centro dell’approccio la personalizzazione degli interventi e la necessità di avere un atteggiamento di apertura e di accoglienza per tutti i pazienti. L’organizzazione per rispondere ai bisogni delle persone straniere e agire in termini di equità dovrebbe sviluppare apertura e curiosità verso la diversità, piuttosto che agire in termini di standardizzazione. Si riconosce, infatti, come l’intervento con le persone di origine straniera, in particolare, richieda al professionista un “di più”. C’è inoltre il richiamo alla necessità di far riferimento al proprio senso etico e alla dimensione dell’equità come condizione affinché tutti possono usufruire dello stesso livello di servizio senza discriminazione. In particolare, la pratica clinica si fonda, a partire dalla comprensione degli effetti emotivi dell’esperienza traumatica legata alla violenza, sul riconoscimento e la cura del paziente attraverso lo sviluppo di un ambiente emotivamente sicuro.

Me lo ricorderò sempre, S., appunto, diceva “si ma non ti preoccupare, perché credo che la cosa, come dire, più importante per le signore, a prescindere poi da tutte le cose che tu concretamente puoi fare per loro, sia il modo in cui tu le accogli e questo tempo, questo spazio che tu dedichi loro in modo esclusivo, con un approccio appunto che cerca di essere accogliente, non giudicante, appunto un po’ personalizzato” ehm.. E sono assolutamente convinta di questo,

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insomma questo è ciò su cui cerchiamo proprio un po’ di lavorare ehm.. E questo cerchiamo di farlo, appunto come dire, con le italiane e con le straniere, un pò con chiunque ecco... (I.9)

Alla base del proprio agire si riconosce lo sviluppo di un atteggiamento di “dubbio” e di consapevolezza dei propri stereotipi basati sulla “generalizzazione” della provenienza.

7.5.2 Le pratiche nell’erogazione dei servizi e nella promozione della salute

7.5.2.1 Le pratiche di sviluppo dei processi e strutture “interne” Mediazione culturale e materiale scritto multilingua

La mediazione viene valorizzata, in primis quale pratica che permette di ridurre la barriera linguistica e culturale, dando supporto all’intervento dell’operatore. Un’intervistata sottolinea l’importanza dei momenti di confronto, anche informale, che avvengono con il mediatore culturale.

L’altro aspetto che, come dire, mi viene subito in mente, sono i dialoghi, ecco, che tante volte abbiamo con le mediatrici in modo informale a volte, appunto, magari alla fine di un incontro, di un colloquio ehm… ecco che ogni volta, un pezzettino per volta, ti danno magari quell’elemento in più che tu appunto magari metti così nel tuo bagaglio che ti aiuta a costruire il puzzle (I.9).

Imparare a lavorare con il mediatore è descritta come una capacità che si acquisisce nel tempo, e le intervistate sottolineano l’importanza della formazione stessa del mediatore, in riferimento alla sensibilità e al carico emotivo dei temi trattati durante il colloquio. Si racconta, inoltre, la difficoltà di poter usufruire talvolta della mediazione, quando questa è percepita come un vincolo dalle pazienti e una minaccia alla propria privacy. Mentre è valorizzata la presenza delle mediatrici nell’organizzazione e la possibilità di un loro intervento, anche nelle situazioni di emergenza, si cita tuttavia, la loro ridotta disponibilità negli orari notturni. Si presenta l’uso del materiale tradotto come un supporto, soprattutto nei casi in cui non è immediatamente disponibile la mediazione (es “se arriva la signora alle tre di notte”), per far conoscere il servizio alle pazienti, il tipo di assistenza offerta, e per fornire informazione sugli aspetti psicologici legati al trauma e alla violenza. La traduzione e la formulazione dei contenuti da parte delle operatrici e delle mediatrici è descritta come un’attività che ha richiesto grande sforzo.

Accesso programmato

Alcune pratiche sono riferite alla presa in carico delle persone richiedenti asilo e rifugiate e specificatamente alla modalità di accesso e di presa in carico sviluppata. Le intervistate descrivono come la prima visita sia stata pensata anche come attività di referral funzionale alle pratiche per la richiesta d’asilo e in continuità con essa. In particolare, per la parte sanitaria c’è un’attenzione a documentare eventuali lesioni e cicatrici e a verificare la presenza di mutilazioni genitali femminili. Le interviste sottolineano gli aspetti di sensibilità della visita e la loro attenzione, ma anche difficoltà nel trattare gli aspetti traumatici. In particolare, le intervistate

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parlano dell’attenzione a programmare l’intervento secondo tempi che rispettino i bisogni delle pazienti e, nel momento della visita, dell’attenzione a non elicitare o “far ripetere” aspetti traumatici.

E questo di solito viene programmato con calma nel momento in cui la donna, come dire, si senta poi anche di affrontare un percorso come questo che è una visita che richiede alcune… di tornare un pochettino proprio sulla loro storia, sul perché sono scappate dal loro paese, ciò che hanno subito durante il viaggio, quindi come dice sempre P1 “tanta roba” (I.9)

Inoltre, come pratica rivolta a tutti i pazienti, le intervistate raccontano lo sforzo di garantire continuità nella presa in carico, attraverso la stabilità di un operatore di riferimento, anche se ciò non sempre è possibile in base ai turni. In modo critico si presenta la difficoltà di prevedere un percorso psicologico per alcune barriere quali la numerosità dei casi, le risorse limitate per la mediazione e l’accessibilità geografica del servizio.

La Formazione

Le intervistate citano la formazione con le mediatrici, avvenuta nell’anno precedente, come un’importante occasione di apprendimento e di riflessione sui diversi bisogni delle pazienti, sulle

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