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L’implementazione di pratiche culturalmente competenti: quali evidenze d’efficacia?

1.5 Implementare le strategie organizzative di competenza culturale

1.5.1 L’implementazione di pratiche culturalmente competenti: quali evidenze d’efficacia?

partecipative. Tali temi sono analizzati in relazione alle barriere e ai facilitatori, individuati in letteratura, che li sostengono o al contrario li inibiscono.

1.5.1 L’implementazione di pratiche culturalmente competenti: quali evidenze d’efficacia?

Nonostante un’abbondante letteratura che indica la necessità di uno sviluppo organizzativo dei servizi, il focus primario degli studi è rimasto quello della formazione professionale o universitaria e quello delle iniziative di promozione della salute (McCalman et al., 2017), mentre solo più di recente sta crescendo attenzione sull’analisi delle strategie di sviluppo organizzativo (Cherner et al., 2015). La capacità di tradurre il concetto in pratica e ricerca, soprattutto in termini di dimostrazione di efficacia viene, pertanto descritto come un processo complicato (Troung et al., 2014; Suphanchaimat et al., 2015).

La ricerca si sta interessando alla valutazione d’efficacia dell’implementazione di pratiche CC per comprendere in che modo i servizi sanitari possano sviluppare strategie capaci di ridurre disuguaglianze sanitarie nell’accesso e nella qualità delle cure ricevute. Si ritiene che lo sviluppo di pratiche culturalmente competenti e sensibili alle differenze a livello professionale e organizzativo possa ridurre le disuguaglianze sanitarie migliorando a livello clinico la comunicazione e la relazione fra medico-paziente, favorendo la compliance e aumentando la fiducia dei clienti nel servizio, facilitando così il percorso di cura, e l’utilizzo dei servizi.

Diversi studi hanno valutato l’efficacia delle strategie di competenza culturale (Weech- Maldonado et al.,2018; Jogen et al., 2018; Brach & Fraser, 2000; Anderson et al., 2003; Beach et al., 2005; Lie et al., 2011; Handtke et al., 2019), in particolare Troung et al., (2014) hanno condotto una review delle review già presenti in letteratura, mentre McCalman e colleghi (2017) una revisione degli studi su strategie implementate con un approccio sistemico.

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Le ricerche mostrano alcuni esiti positivi della CC, ma la comprensione dei meccanismi di efficacia rimane limitata soprattutto a causa dell’assenza di un ampio consenso sul modo migliore per sviluppare, implementare e valutare la competenza culturale: “There is little guidance for healthcare organisations about how to identify what mix of cultural competence strategies works in practice; when and how to implement them properly” (McCalman et al., 2017 p.13).

In particolare, Troung e colleghi (2014) hanno valutato studi relativi all’implementazione di pratiche formative per il personale medico e interventi di tipo organizzativo quali programmi di educazione sanitaria CC, utilizzo del servizio di interpretariato, peer education e utilizzo del patient navigator. In relazione agli interventi valutati, nonostante le criticità per la disomogeneità di interventi, contesti, e strumenti di valutazione, si sono trovati alcuni effetti positivi in diverse review: le evidenze più consistenti riguardano gli outcome dei professionisti (per es. livello di CC dei professionisti dopo la formazione), mentre si sono riscontrati effetti in modo debole sugli esiti dell’esperienza dei pazienti (per es. soddisfazione per il servizio) e in modo moderato sull’utilizzo dei servizi (per es. numero degli accessi). Rispetto alla formazione dei professionisti, che appare essere l’intervento più diffuso e maggiormente studiato, le evidenze sull’effetto dei processi clinici e degli outcome in termini di salute restano, tuttavia, poco chiare, soprattutto a “lungo- termine” (Jogen et al., 2018). L’efficacia della formazione appare più evidente se essa è inserita all’interno di un processo di cambiamento più ampio, come rivela un recente studio in cui gli interventi formativi per i professionisti sono stati sviluppati in connessione con interventi nella leadership e nella pianificazione strategica (Weech-Maldonado et al., 2018).

Butler e colleghi (2016) hanno analizzato le prove di efficacia di interventi di formazione, di interventi a favore della comunicazione medico-paziente (utilizzo di brochure, matching paziente- operatore, interventi collaborativi o interventi di empowerment dei pazienti) e di interventi “adattati culturalmente” (es. interventi di promozione della salute, interventi di supporto psicologico). Gli studi nei primi due casi riportano, nonostante la disomogeneità relativa agli strumenti di valutazione, evidenze a favore delle strategie implementate. Per gli interventi adattati culturalmente, però, si sono trovati risultati contrastanti, ma soprattutto, gli autori, mettono in risalto la poca chiarezza sulle dimensioni degli interventi che li rendono “culturalmente adattati”.

Il lavoro di McCalman e colleghi (2017), ha incluso la valutazione di interventi “sistemici”, distinti in: a) interventi di audit e “quality improvement” b) studi di valutazione o sviluppo di strategie a livello dei servizi (es. l’adozione del servizio di interpretariato, la traduzione dei materiali informativi, il reclutamento di personale di diversa origine, la formazione, lo sviluppo di un ambiente organizzativo accogliente), definendo outcome non solo a livello clinico, ma anche a livello di sistema sanitario. Pur non potendo giungere ad una valutazione complessiva dell’efficacia degli interventi a causa della disomogeneità delle pratiche e delle pratiche di valutazione, lo studio riporta un miglioramento della soddisfazione dei pazienti e della famiglia, esiti positivi sui comportamenti di salute come la compliance al trattamento, e outcome positivi a livello organizzativo e anche di sistema (politiche nazionali). In particolare, la loro analisi mette in luce non solo le potenzialità dei processi di miglioramento della qualità per innovare le pratiche di CC, ma rileva anche tre principi di implementazione che si basano sulla promozione della partecipazione dei pazienti, del commitment organizzativo e dell’implementazione in differenti setting.

Nell’insieme le review offrono, quindi, alcune evidenze per favorire l’implementazione della CC nelle organizzazioni e aiutano a comprendere alcuni limiti che permangono nella letteratura esistente.

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In riferimento ai limiti degli studi esaminati, le ricerche identificano alcuni gap nella letteratura per sostenere prove di efficacia e direzioni per le ricerche future, come la necessità di maggiori studi di valutazione dei costi, dell’impatto delle strategie sull’esperienza dei pazienti, superando il focus sulla sola valutazione delle conoscenze dei professionisti sanitari e l’utilizzo di misure multilivello e mixed-method per integrare l’analisi dei dati self-report con misure “oggettive” come l’analisi dei documenti aziendali. Le review hanno, infatti, messo in evidenza come gli outcome collegati alle pratiche CC siano differenti e valutati in modo eterogeneo e con strumenti di misura spesso non validati in letteratura.

Riguardo alle evidenze per favorire l’implementazione, gli studi indicano l’importanza di un approccio organizzativo e sistemico alla CC che riconosca le specificità dei contesti organizzativi, della loro relazione con l’utenza considerando nell’implementazione la relazione fra “contesto” e intervento. L’implementazione nelle organizzazioni, secondo Troung e colleghi, (2014) è da considerarsi relativa alle particolarità della singola organizzazione, in termini di cultura organizzativa e relazioni con i gruppi di utenza, e ai processi relativi al cambiamento organizzativo cioè i fattori di facilitazione e le barriere alla realizzazione degli interventi che incidono sul loro successo.

Appare importante il commitment organizzativo e la coerenza tra i diversi livelli organizzativi, per garantire stabilità dei cambiamenti e la presenza di risorse a supporto del cambiamento. Più l’organizzazione supporta in modo formale e informale la CC e attiva processi di valutazione e sviluppo della qualità dei servizi, più i professionisti tenderanno a mostrare pratiche professionali culturalmente competenti.

La partecipazione degli utenti risulta essere un ulteriore principio di implementazione poiché lo sviluppo di pratiche di competenza culturale a livello di sistema sembra dipendere dalla collaborazione precoce con l’utenza (MaCalman et al., 2017).

Infine, per sostenere l’efficacia della CC, ed evitare effetti “dannosi”, appare importante il riferimento ad approcci non categoriali che rischiano di creare stereotipi e sopravvalutazione dei fattori culturali (Troung et al., 2014). Browne e colleghi (2016), suggeriscono infatti nel loro modello organizzativo di equità, di valutare le possibili conseguenze negative degli interventi come l’essenzializzazione dell’“altro”, mentre Jogen (2018) raccomanda un maggior investimento a favore di esperienze formative capaci di trattare i bias impliciti nella relazione operatore - paziente.

1.5.2 Implementare e sostenere la CC nell’organizzazione: il ruolo del commitment

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