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Implementare e sostenere la CC nell’organizzazione: il ruolo del commitment organizzativo, barriere interne ed esterne

1.5 Implementare le strategie organizzative di competenza culturale

1.5.2 Implementare e sostenere la CC nell’organizzazione: il ruolo del commitment organizzativo, barriere interne ed esterne

La difficoltà di implementazione per le organizzazioni spinge a guardare agli ostacoli e ai facilitatori al cambiamento organizzativo e all’innovazione. Le pratiche culturalmente competenti possono essere considerate un'innovazione perché la loro implementazione richiede un coordinamento attivo tra molti membri dell'organizzazione e non sono parte delle pratiche routinarie dei contesti sanitari (Guerrero et al., 2017).

Barriere e facilitatori per l'implementazione di pratiche innovative o di cambiamenti sono presenti a più livelli di erogazione dell'assistenza sanitaria: del paziente, del gruppo di lavoro, del livello organizzativo o di sistema e politico (Ferlie e Shortell, 2001). Tuttavia, gli sforzi per indagare in modo sistematico facilitatori dell'implementazione di pratiche innovative culturalmente competenti in ambito sanitario sono limitati (Guerrero et al., 2017). Alcuni studi

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hanno studiato il ruolo delle strategie di commitment organizzativo, come la leadership per sostenere la CC nelle pratiche professionali.

Come già accennato un ruolo importante al sostegno della CC risiede nelle pratiche di commitment organizzativo, che può essere considerato come l’impegno e l’investimento del management dell’organizzazione e include l’integrazione della CC nei sistemi di gestione strategica (pianificazione, monitoraggio, valutazione) e l’individuazione di staff e risorse dedicate che promuovono CC nell’organizzazione sostenendo i servizi e il personale.

Alcune ricerche hanno studiato il rapporto tra la competenza culturale delle organizzazioni e la competenza culturale del personale (Darnell e Kuperminc, 2011; Paez, Allen, Carson e Cooper, 2008). Lo studio di Darnell e Kuperminc (2011) in servizi sanitari di salute mentale ha dimostrato che i dipendenti avevano percezioni significativamente più elevate della competenza culturale organizzativa in presenza di dichiarazioni mission e requisiti per il personale CC. Soprattutto, lo studio di Paez e colleghi (2008) relativo ai servizi di cure primarie ha trovato che i medici che avevano riferito che i servizi in cui lavoravano avevano adottato le raccomandazioni fatte negli standard CLAS (Cultural and Linguisticamente Appropriate Services) avevano più probabilità di mostrare atteggiamenti e comportamenti culturalmente competenti. In particolare, la relazione fra CC organizzativa e CC dei professionisti può essere intesa come una relazione reciproca (Troung et al., 2014) che genera circoli virtuosi di miglioramento della qualità. La qualità della leadership è riconosciuta come un’importante leva per rendere i servizi CC e per mettere a disposizione le risorse per l’adattamento dei servizi, evitando che la CC sia avvertita come un sovraccarico (Suphanchaimat et al., 2015). Secondo Vega (2005) “the glue that ties [cultural competence] all together is leadership” (p. 450).

In particolare, i leader, attraverso “dichiarazioni,” i propri comportamenti, la supervisione sui temi della CC e l’allocazione delle risorse influenzano fortemente sia la cultura del sistema sanitario sia il modo in cui il personale percepisce le priorità del sistema (Cunningham et al., 2014). La leadership influenza l'implementazione sia direttamente che indirettamente, modellando il contesto organizzativo e la cultura, che quindi influenza i comportamenti dei dipendenti (Dauvrin et al., 2015; Guerrero et al., 2017). Gli operatori e il middle management possono essere influenzati dall'impegno e dalle azioni della loro organizzazione in relazione alla diversità culturale e viceversa. Tuttavia, alcuni studi, soprattutto di tipo qualitativo, hanno mostrato anche le difficoltà nel sostenere il supporto organizzativo e nel favorire l’integrazione di pratiche a più livelli, evidenziando la necessità di maggiori studi nel campo. Sono fattori ostacolanti in questo senso, il limitato accesso a finanziamenti specifici e la competizione con altre priorità organizzative (Dogra et al., 2009; Dotson e Nuru-Jeter, 2014). Altre ricerche riportano la mancanza di chiarezza del concetto di competenza culturale, della sua operazionalizzazione o della definizione dei fattori collegati all’equità (Ng et al., 2017; Pottie et al., 2017). In particolare, uno studio recente riporta che i manager di servizi sanitari americani avvertono come difficile implementare la CC per la disponibilità limitata di misure di valutazione, per requisiti -provenienti dalle politiche nazionali- difficili da rendere operativi e per la necessità di maggiori incentivi per stabilire la CC come priorità organizzativa. Per facilitare l’implementazione le organizzazioni sembrano necessarie misure e standard di CC da integrare alle politiche di programmazione già esistenti (Ng et al., 2017).

Si è trovato, in aggiunta, che i vari attori organizzativi danno significati differenti e contrastanti alla competenza culturale (Whaley e Longoria, 2009).

Aries, (2004) dimostra che i manager e gli operatori del front-line hanno percezioni diverse sul significato di diversità e della CC e i manager riportano spesso una visione individuale di CC

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che si concentra principalmente sulla responsabilità del singolo professionista, ignorando la responsabilità organizzativa. Similarmente, Adamson e colleghi (2011), nel loro studio di caso in un ospedale britannico, hanno rilevato pratiche CC non integrate a livello delle pratiche manageriali (es. piano strategico) e la percezione fra alcuni manager della CC come “il dominio” di un piccolo gruppo (in posizione più periferica), piuttosto che una responsabilità condivisa. Inoltre, la maggior parte dei dirigenti intervistati mostrava scarsa consapevolezza delle iniziative o delle pratiche di CC presenti a livello dei servizi. Altre ricerche hanno messo in evidenza che la difficoltà di implementazione e diffusione può essere legata alla grandezza dell’organizzazione, mentre sembra che le organizzazioni investano maggiormente per promuovere interventi culturalmente competenti se è presente una cultura organizzativa di centratura sulla persona, se sono le organizzazioni sono in collegamento con servizi socio-sanitari e se hanno sviluppato relazioni partecipative con l’utenza (Dauvrin, 2013; Chong et al, 2011).

Se il supporto organizzativo è percepito come un facilitatore per i professionisti, la mancanza di commitment organizzativo sembra portare ad interventi “frammentari” e alla percezione di mancanza di sostegno amministrativo e di riconoscimento da parte del personale front-line (Aries, 2004; Taylor et al., 2010, Mollah et al., 2018). La mancanza di supporto può inoltre scaricare la responsabilità di pratiche culturalmente orientate sul professionista esperto, o di origine straniera utilizzato in modo non riconosciuto come “interprete”, portando alla percezione di maggior sovraccarico.

Diversi studi hanno definito come barriere principali alla CC per i professionisti, la percezione di vincoli organizzativi come la mancanza di risorse organizzative di supporto (es. disponibilità della mediazione) di tempo e l’“inerzia organizzativa” (Aggrawl et al., 2016; Suphanchaimat et al., 2015, Mollah et al., 2018; Taylor et al., 2010). Altre difficoltà sono relative al confronto con la diversità e al cosiddetto cultural mistake, ovvero il timore di mettere in atto pratiche non rispettose della diversità. Ad esempio, lo studio di Beune e colleghi, (2011) che analizza le barriere nell’implementazione di strategie CC in tre centri di cure primarie olandesi, trova che la maggior parte delle barriere riscontrate dagli operatori siano comuni agli interventi di miglioramento della qualità (es. coordinamento nel gruppo di lavoro; turnover dello staff) mentre alcune sono da ritenersi specifiche alla CC. Precisamente, sono emerse delle resistenze da parte dei professionisti nei riguardi della registrazione del background etnico dei pazienti: per alcuni, non necessario “perchè tutti i pazienti sono uguali”, mentre altri temevano conseguenze negative in termini di discriminazione percepita da parte dell’utenza stessa e stigmatizzazione. Infine, alcuni ritenevano che l’appartenenza alla stessa comunità potesse essere un ostacolo alla relazione terapeutica. Ulteriori studi hanno rilevato tra i professionisti scetticismo verso le pratiche CC o la lettura degli interventi a tutela del diritto alla salute come un privilegio, anziché un diritto (Vanthuyne et al., 2013; Dauvrin et al., 2012).

Altre ricerche hanno messo in luce il ruolo di ulteriori fattori, collegati al contesto sociale. Fra i fattori esterni le ricerche indicano il ruolo delle politiche nazionali/locali nell’attivare o meno le organizzazioni nell’implementazione della CC e ridurre il senso di isolamento (Dogra et al., 2009). Inoltre, è stato messo in evidenza come i sentimenti anti-immigrazione siano un grave freno alla diffusione della CC, in quanto tendono a diffondere la prospettiva per cui l’investimento in CC riduca i benefici per altri gruppi di pazienti a vantaggio dei soli immigrati (Goode e Like, 2012).

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1.5.3 Implementare e sostenere la CC nell’organizzazione: il ruolo delle pratiche

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