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Capitolo 5. MOVIMENTI ANTI-SPRAWL

5.4. THE COMPACT CITY

Se il quadro fin qui delineato appare molto problematico dal punto di vista ambientale, economico e sociale, ciò non significa che non ci sia la possibilità per cercare di modificare le traiettorie intraprese. C‟è la convinzione che ci sia un altro modello di

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Li W. (1998). Los Angeles‟s chinese ethnoburb: from ethnic service center to global economy outpost.

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sviluppo possibile, che riesca a garantire alti standard di vivibilità personale e qualità ambientale. Questo richiederà dei cambiamenti del modo di pensare e di gestire il territorio e del modo in cui le città stanno attualmente crescendo. Ma proprio la città può essere un possibile antidoto al problema sprawl.

Nel suo The Wealth of Cities, Norquist J., ne descrive i benefici:

(…) le città sono giuste per l‟ambiente: I cittadini di New York inquinano meno, in media, degli abitanti dei suburbi di New York. Questi ultimi richiedono più benzina per supportare lo stile di vita autodipendente; più elettricità va generata per riscaldare e raffreddare le case ampie e distaccate; più risorse vanno utilizzate per provvedere alle strade, alle tubature e alle altre infrastrutture; più energia va consumata per la fornitura dell‟acqua e delle fognature di queste abitazioni lontane dagli impianti municipali; più camion devono utilizzare più gas per trasportare i prodotti più lontano; più additivi chimici sono applicati per estirpare le erbacce da prati sempre più grandi e sempre più acqua viene utilizzata per mantenerli verdi; e, più importante, più terra deve essere consumata per ospitare lo stesso quantitativo di vivere249.

Non esiste un pacchetto standard e predefinito di azioni da compiere in futuro, però sta emergendo un certo consenso intorno ad alcuni elementi considerati come portanti, che sono: forti città centrali; sviluppo compatto e orientato al trasporto pubblico; mantenimento dei terreni agricoli; miglior riprogettazione dei centri commerciali e dei distretti di uffici.

Non ci sono dubbi che parte della soluzione provenga dal rinvigorimento delle città centrali e dei loro quartieri periferici, utilizzando in modo più efficiente la terra disponibile all‟interno di queste aree metropolitane per arrivare ad un modo di abitare diverso da quello attualmente prevalente, all‟interno di una città dalle corte distanze. Con dei forti centri cittadini che raggruppino le attività economiche e culturali, uniti a stabili quartieri residenziali, il bisogno di lunghi spostamenti in auto sarebbe ulteriormente ridotto. Con questo non si vuole affermare che la rivitalizzazione dei centri urbani sia la soluzione al problema sprawl, ma che essa può costituire parte della soluzione, facendo diventare le città centrali nuovamente dei posti dove le persone

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desiderino vivere, lavorare e passare il proprio tempo libero e dove gli imprenditori vogliano investire i propri capitali. Una semplice pista ciclabile, o la pedonalizzazione di alcune zone centrali, sono tra le iniziative più semplici ed efficaci nel rendere le città più attrattive e più pubbliche, facendo uscire la gente in strada; questo rappresenta un modo per riconquistare e riappropriarsi delle vie cittadine. Alcune città hanno già sperimentato esperienze di rinnovamento urbano, ma sembra che lo sprawl non possa essere combattuto finché le persone non decidono di voler nuovamente vivere nelle città centrali.

Il come e il che cosa costruire è tanto importante quanto il dove lo si costruisce. La necessità è quella di usare la terra in modo più sensibile e sostenibile, mescolando tra di loro le diverse funzioni all‟interno di quartieri che siano accessibili e percorribili a piedi, dove i bisogni della vita quotidiana possano essere soddisfatti il più vicino possibile. Essere più compatto significa contenere più persone, lavori e funzioni civiche in uno spazio più ridotto rispetto a quello dello sviluppo suburbano, che non significa avere uno sviluppo ad alta densità (con tutti i problemi che ne conseguono250), e nemmeno uno sviluppo monocentrico, ma solo una concentrazione di impieghi, raggruppamenti di abitazioni mescolati tra loro in un mix di funzioni. Se la dispersione urbana è essenzialmente provocata dalla predilezione per una tipologia di abitazione distaccata, la soluzione non può essere quella di ritornare alle abitazioni collettive. Esistono una moltitudine di soluzioni intermedie per sviluppare degli insediamenti sufficientemente densi, una forma urbana più compatta può cioè essere declinata e combinata secondo un elevato numero di variazioni che costituiscono un valido compromesso tra l‟habitat collettivo e quello individuale, e che legano la densità del vivere collettivo con alcuni attributi della casa individuale (accesso indipendente, altezza limitata, insonorizzazione, disponibilità di spazi esterni).

I centri commerciali ad esempio, così come sono pensati e costruiti attualmente, sono qualcosa che non è compatibile con il principio della forte città centrale e della crescita compatta. Con un po‟ di creatività e flessibilità si potrebbe tuttavia riutilizzare gli edifici esistenti, rispettando l‟ambiente e producendo denaro allo stesso tempo.

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Malgrado le diversità dei punti di vista dei vari studiosi nella definizione di sprawl, tutti implicitamente o esplicitamente legano il concetto a modelli centralizzati di crescita urbana, percepiscono cioè lo sprawl come l‟opposto dello sviluppo compatto.

Se la crescita verso i suburbi è qualcosa di non evitabile, si può fare in modo che questo sviluppo abbia la forma della città compatta piuttosto che dello sprawl.

Quello che abbiamo descritto finora con i termini “città tradizionale” o “città compatta” non è altro che qualcosa di molto simile a quello descrittoci da Louis Wirth251.

Città compatta e città a bassa densità rappresentano due situazioni opposte, estreme e distinte.

Nella visione wirthiana, che si approccia a ciò che è urbano da un punto di vista spaziale, la città densa, grande ed eterogenea crea quelle condizioni che risvegliano le capacità personali di agire razionalmente, e genera consenso attorno ad alcuni valori che stanno alla base di un ordine morale e politico pianificato. Le caratteristiche strutturali descritte da Wirth sono componenti irriducibili di ogni città. Ognuna di esse è una variabile ecologica indipendente e distinta, anche se spesso tendono a essere strettamente interconnesse tra di loro, ma ciascuna porta con sé significative conseguenze sociali. Esse descrivono la struttura demografica della vita cittadina e produrrebbero importanti conseguenze di tipo sociale, che insieme formano uno stile di vita, che egli chiama urbanesimo. Questa combinazione di fattori minaccia pesantemente l‟armonia sociale, infatti secondo l‟autore l‟aumento delle possibilità di contatti tra persone diverse fa crescere frizioni e conflitti. D‟altro canto dove le persone sperimentano rapporti umani meno intensi e le relazioni sono più superficiali e indifferenti sarebbe la coesione sociale ad essere minacciata. Laddove la popolazione è distribuita in gruppi relativamente omogenei, l‟interesse per perseguire il bene comune cala252, così come anche il senso di appartenenza e la partecipazione; ci può essere magari cooperazione a livello di uno stesso gruppo, ma non tra gruppi diversi, il consenso è solo settoriale e non integrale, in quanto è l‟esperienza umana stessa ad essere limitata e segmentata nel tentativo di privatizzarla il più possibile. Una delle più pronunciate caratteristiche del modo di vita urbano, secondo Wirth253, è l‟aumento

251

Wirth L. (1938). Urbanism as a Way of Life. American Journal of Sociology, 44, pp. 1-24.

252

Smith M.P. (1979). The City and Social Theory. New York: St. Martin‟s Press.

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dell‟importanza del controllo sociale informale, che si genera spontaneamente, e che è formato da tutte quelle presenze e quegli sguardi che creano un senso di sicurezza e di vitalità in un posto. Con l‟aumento delle dimensioni però le relazioni interpersonali diventano sempre più impersonali e meno profonde, i contatti sono cioè più frequenti ma meno intensi, si tratta di una moltitudine di relazioni secondarie. Allo stesso modo con la crescita della densità e dell‟eterogeneità aumenta la conoscenza del diverso e la sua tolleranza. Molti autori, tra cui Richard Sennett254, hanno messo in evidenza come molte delle città soprattutto americane, e in particolar modo molti suburbi, subissero viceversa un‟assenza di eterogeneità, vitalità, diversità, disordine, tipici delle grandi città. È infatti in primo luogo la differenziazione dell‟uso dei suoli a rinforzare i contatti umani e le interazioni tra persone differenti. In questi luoghi la vita in strada non esiste, pochi sforzi, poche energie e poco tempo sono dedicati al di fuori di un nucleo familiare considerato come qualcosa di autosufficiente. In questa visione i cambiamenti che riguardano il mondo esterno riguardano solo il mondo esterno, e per ciò vengono ignorati, come se non li riguardassero da vicino. Riconoscono ad esempio che l‟inquinamento è un problema, ma non considerano che essi stessi col loro stile di vita lo stanno rafforzando, dimostrando un marcato individualismo.

Ma che cosa si intende per “compatto”, metafora, che ha goduto e gode tuttora, di una grande fortuna? Sicuramente con compatto si fa riferimento a un attributo della città che si contrappone alla diffusione e alla dispersione.

Secondo la definizione di G. Dato e F. Martinico255, una città compatta è un insieme di tessuti urbani che hanno abolito ogni traccia di terreno agricolo, composti da una sequenza ininterrotta di edifici residenziali ad alta densità, di strade e di piazze, e con qualche isoletta di verde sia pubblico che privato. Viceversa una città dispersa è un insieme di siti a composizione mista, urbana e rurale, che ha come carattere predominante una debole intensità e la discontinuità tra terreni urbanizzati e terreni agricoli, che sono abbandonanti o intensamente sfruttati per compensare la carenza di terre coltivabili.

254 Sennett R. (1970). The Uses of Disorder: Personal Identity and City Lif. New York: Vintage. 255

Dato G., Martinico F. (1991). Metamorfosi dello spazio urbano nell‟area metropolitana di Catania. In: Sanfilippo E.D. a cura di. Catania, città metropolitana. Catania: G. Maimone, pp. 61-98.

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Ma col termine “compatto” vogliamo indicare qualcosa che vada oltre l‟alta densità abitativa o lo sviluppo monocentrico, per includervi anche la mescolanza dell‟utilizzo dei suoli, che veda allo stesso tempo concentrazioni abitative e di impieghi. Una città compatta è una città in cui vivere risulta piacevole e in cui le trasformazioni per migliorarne la funzionalità tengono conto anche della qualità ambientale. Come scrive Edoardo Salzano «la città inevitabilmente è, deve essere, una realtà caratterizzata da una precisa identità e da una ricchezza di funzioni e occasioni, dove abitare, lavorare, conoscere, incontrare, amare, giocare, riposare, dove tutto ciò (e quindi vivere) è piacevole e comodo, è interessante e stimolante»256. La città compatta è una forma di città più sostenibile, che consuma di meno e che consuma meglio, che enfatizza la qualità piuttosto che la quantità.

Oltre ai già citati attributi wirthiani, una città si caratterizza anche per specifici caratteri di funzionalità e di razionalità. Una forma urbana compatta è fatta di brevi distanze, che fanno optare per mezzi alternativi a quelli automobilistici, oltre a rendere più facilmente pianificabile un sistema di trasporto pubblico, sono inoltre maggiormente favoriti gli spostamenti che utilizzano mezzi di trasporto leggeri, come la bicicletta e gli spostamenti a piedi.

Il senso della prossimità, del mix di funzioni e della densità, non significa necessariamente che i territori debbano ritornare al tradizionale, monocentrico modello che vede la concentrazione degli impieghi in un singolo distretto centrale. Infatti molti studiosi sono convinti che la decentralizzazione di abitazioni e lavori possa avere effetti positivi nel ridurre la pressione sui centri cittadini, diminuendone la congestione. Spesso quelli che vengono generalmente etichettati come problemi urbani non sono altro che il risultato di una varietà di effetti prodotti da ineguaglianze economiche e sociali.

Se le relazioni tra queste due posizioni sono complesse e non c‟è un consenso unanime da parte degli studiosi, c‟è però un generale accordo attorno agli effetti positivi che avrebbe un modello policentrico costruito su base regionale, con la presenza di un numero di satelliti costituiti dai centri cittadini che svolgono funzioni complementari a supporto di un più forte e comune distretto centrale. Dal punto di vista dell‟efficienza questo modello produrrebbe un numero inferiore di spostamenti in auto oltreché accorciarne la durata rispetto al modello monocentrico o rispetto a un modello disperso

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senza nessun centro predominante. I potenziali vantaggi di tale modello di sviluppo urbano sono riassunti in quello che all‟interno degli studi del settore è conosciuto come TOD (Transit Oriented Development) e che è un concetto che appartiene al movimento del Nuovo Urbanesimo.

I proponenti di questo sviluppo, guidati dall‟architetto e pianificatore urbano P. Calthrope257, sostengono che i benefici per l‟ambiente, includendovi la riduzione del traffico automobilistico, sono massimizzati quando una sostanziale quota di sviluppi urbani sono raggruppati attorno alle fermate dei mezzi di trasporto pubblico. Tipicamente in questo modello la più alta concentrazione di abitazioni, lavori e negozi è collocata attorno ai più diversi quartieri in prossimità delle fermate, ad una distanza che sia ragionevolmente percorribile a piedi. I benefici che ne derivano non sono solo ambientali, ma anche sociali ed economici. TOD non significa dover fare a meno della propria auto, ma rendere disponibili spostamenti migliori sotto molteplici punti di vista con altri mezzi piuttosto che con l‟auto. Quello che però bisogna cercare di evitare è di ripetere errori simili a quelli commessi con lo sprawl, e cioè, isolare i pedoni dalle altre strade, creare segregazione, permettere alle grandi arterie stradali di dominare il paesaggio.

Si tratta essenzialmente dello stesso concetto che altri autori chiamano “transit villages”258, l‟unica differenza è che quest‟ultimi sono maggiormente inseriti nella

natura e hanno densità abitative più elevate. I quartieri che ne derivano combinano tra loro molte delle caratteristiche che in letteratura sono indicate per limitare la crescita del traffico su gomma: densità, diversità d‟uso, percorribilità a piedi, utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico, che non sono altro che quegli elementi che si trovavano nei quartieri tradizionali costruiti negli anni „50 e „60.

Ci sono molti posti nel mondo che hanno applicato molteplici combinazioni di tali principi. Molti di questi, insieme ad altri, sono stati applicati nel caso di Portland, come abbiamo già visto precedentemente.

Le città centrali erano la più alta espressione della civilizzazione e della cultura, il modo più efficiente di utilizzare la terra, i luoghi più adatti a promuovere la comunità oltreché

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Calthrope P. (1993). The Next American Metropolis. New York: Princeton Architectural Press.

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gli insediamenti più logici dal punto di vista ambientale259. Bisogna agire per far riacquistare quel fascino che hanno perso durante gli anni „60 e „70. Lo spazio non manca, dato che ci sono numerosi appartamenti e locali liberi già esistenti e non serve costruire nulla di nuovo, anche le infrastrutture sono presenti. Il prerequisito di un insediamento denso e compatto è il sistema pubblico di trasporto; può funzionare cioè solo se le persone possono prendere agevolmente un treno o un bus per andare al lavoro o per fare altri spostamenti. Perché altrimenti se le persone, anche all‟interno di sviluppi compatti, sono costrette ad usare l‟auto privata, il risultato non sarebbe molto dissimile da quello dello sprawl. Molte delle difficoltà che trova l‟applicazione concreta dei principi della smart growth si trovano non solo tra le forze politiche e di mercato che vogliono mantenere lo status quo, ma anche nell‟idea di vivere uno accanto all‟altro, che a molti sembra poco piacevole, la densità abitativa suona come una brutta parola. Sembra cioè che per la maggior parte delle persone la densità sia un elemento sgradevole. Viene associata a qualcosa di grande, ai problematici sviluppi di quartieri popolari che hanno provocato più disagi che soddisfatto aspettative, a congestione e traffico, a qualcosa di disconnesso da valori paesaggistici. È qualcosa di più sgradevole dello sprawl stesso per molti. Per i più al crescere della densità abitativa si accompagnano benefici decrescenti.260.

Per queste ragioni la tematica della densità e della densificazione della popolazione e dell‟abitare sono oggigiorno tra gli oggetti di maggior dibattito all‟interno delle società e di grande delicatezza a livello politico in quanto alle scelte da fare nella gestione dello spazio261.

Al di là di questo sia la densificazione che il suo contrario portano con sé numerose questioni sulla loro accettabilità, sui vantaggi reali di una e dell‟altra soluzione, sulla loro arbitrarietà oscillante tra costi individuali e collettivi262.

259 Flint A. (2006). This land: the battle over sprawl and the future of America. Baltimore: Johns Hopkins

University Press.

260 Haumont N. (2001). Les Pavillonnaires: etude psychosociologique d‘un mode d‘habitat. Paris:

l‟Harmattan.

261

Fouchier V. (2000). Intervenir sur le densités urbaines pour limiter l‟usage de l‟automobile. In Certu.

La forme des villes:caractériser l'étalement urbain et réfléchir à de nouvelles modalités d'actions. Lyon:

Lavoisier Industrie Lyon.

262

Roux E., Vanier M. (2008). La périurbanisation: problematiques et perspectives. Paris: DIACT, La Documentation Française, p.19.

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