Capitolo 5. MOVIMENTI ANTI-SPRAWL
5.2. SLOW, ORGANIC, LOCAL
Il legame tra la terra e l‟uomo è molto stretto. Dalla terra proviene, direttamente o indirettamente, gran parte di ciò che mangiamo e l‟acqua che beviamo, è chiaro allora che dalla sua preservazione dipende parte del nostro benessere. L‟urbanizzazione è il trend più allarmante nel consumo dei suoli agricoli. Il concetto di “impronta ecologica”224
è stato ideato per tradurre gli impatti delle varie attività umane sugli ecosistemi. In linea teorica esso vuole quantificare la superficie biologica necessaria per rispondere ai bisogni di un individuo o di una popolazione: nutrirsi, spostarsi, abitare, vestirsi, e per assorbire i suoi/loro rifiuti prodotti. Viene espresso solitamente in ettari, o in pianeti equivalenti, quando il valore supera la capacità del nostro pianeta di rigenerarsi. Secondo i dati del WWF225, è dal 1985 che l‟impronta ecologica dell‟umanità ha superato la bio-capacità globale del pianeta, per arrivare al giorno d‟oggi a un‟eccedenza del 25%.
Il rapporto afferma inoltre che in media ogni nordamericano richiede dagli 11 ai 13 acri di terra per supplire ai suoi attuali livelli di consumo. L‟impronta ecologica di un abitante dell‟India è di circa un acro. Per rendere l‟idea di cosa significhino queste quantità, si pensi che se tutti gli abitanti della terra avessero gli stessi livelli di consumo dei nordamericani, avremmo bisogno di tre pianeti come il nostro per soddisfare le nostre esigenze.
Tutti gli elementi che abbiamo descritto tra le conseguenze dell‟urban sprawl fanno sì che sempre più gravi minacce siano poste all‟applicazione del protocollo di Kyoto, un‟obbligazione legale per opporsi allo sprawl, che definisce delle chiare responsabilità e fissa dei mandati precisi a cui rispondere, tra cui la riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2020.
L‟ecocompatibilità è attualmente una sfida trasversale a tutte le metropoli di tutte le regioni del mondo, tutte infatti presentano più o meno gravi problemi legati alla crisi ecologica, da affrontare ricercando soluzioni specifiche per ogni contesto e non tramite pacchetti standard che minerebbero le potenzialità e le specificità culturali di ogni città,
224
Wackernangel M., Rees W. (1996). Our Ecological Footprint: Reducing Human Impact on Earth. Gabriola Island B.C.: New Society Publisher.
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tamponando qualche problema e generandone altri di pari o di altro livello. La difficoltà della tematica, unita alla complessità dei sistemi urbani fanno sì che le scelte non possano essere prese in isolamento dalle altre forze e dalle decisioni che si originano ben al di là dei confini di ogni singolo stato.
L‟urbanizzazione dei paesi in via di sviluppo è una caratteristica sempre più importante per il XXI secolo, le previsioni affermano che tra il 2000 e il 2030 l‟intera area urbana costruita all‟interno di queste nazioni triplicherà226
. Questo fenomeno costituirà con ogni probabilità la più significativa trasformazione demografica del nostro secolo, e certamente un‟urbanizzazione così rapida e massiccia si accompagnerà a consumi senza precedenti e a perdita di risorse naturali, anche se per molte regioni significherà aumento delle possibilità di uscire da situazioni di povertà per cospicui segmenti di popolazione227. Tale cambiamento si accompagnerà inevitabilmente a tutti i problemi connessi all‟avere popolazioni urbane di tali dimensioni.
Anche se lo sprawl viene solitamente visto come un problema che riguarda solamente il mondo sviluppato, e gli Stati Uniti in modo particolare, esso sta diventando il modello di crescita scelto da molti paesi in via di sviluppo. Il problema non sarebbe per ciò ristretto al mondo sviluppato. Anche se le cause del fenomeno sono diverse. In questi casi si tratta più di una necessità che di una questione di preferenze, che spinge le persone ad andare a vivere all‟interno delle città in cerca di migliori opportunità. Queste città sono infatti i centri dominanti di impieghi ed educazione ed è per queste ragioni che le persone vi si trasferiscono dalle aree rurali più povere, per trovare standard di vita più elevati. È proprio questa forse la differenza maggiore con i paesi sviluppati: nel quadro che abbiamo delineato finora le persone manifestavano viceversa il desiderio di allontanarsi dalla città, qui invece le persone si allontanano dalle città solamente perché non c‟è sufficiente spazio per tutti per vivere all‟interno dei centri cittadini, e allora le città si espandono verso l‟esterno. Alla base vi stanno molte questioni di tipo storico, strettamente legate all‟era coloniale, ma accanto a queste vi sono altre importanti ragioni di ordine demografico, che riguardano la fortissima crescita di popolazione che queste nazioni stanno sperimentando e che provoca un impatto massiccio sulla
226 Civco D.L., et al. (2005). The Dynamics of Global Urban Explosion. Washington D.C.: World Bank. 227
Stern N. (2007). The Economics of Climate Change: The Stern Review. New York: Cambridge University Press.
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migrazione verso i centri cittadini. Se quindi le cause sono differenti, non lo sono però le conseguenze. Questi paesi condivideranno gli stessi problemi che abbiamo descritto nel corso di questo lavoro, forse addirittura aggravati dalla velocità con cui il processo si sta sviluppando. Tuttavia la concentrazione urbana dei paesi in via di sviluppo non suscita spavento per la maggior parte degli studiosi e dei politici, ma al contrario viene interpretata come un segno di integrazione sociale ed economica, un indicatore di modernizzazione.
L‟urbanizzazione viene vista come un fattore che alimenta la crescita delle economie nazionali, gli investimenti sono valutati esclusivamente in termini monetari e tutto ciò che non può essere monetarizzato viene escluso dal ragionamento.
Ma «c‟è la sensazione sempre più diffusa che, con l‟avvento dell‟era tecnologica, qualcosa di fondamentale deve essere modificato nelle nostre istituzioni e nei nostri comportamenti»228. Lo scontro del processo di crescita coi limiti naturali, ci pone di fronte a una scelta: o emerge una consapevolezza che sono necessari approcci e paradigmi nuovi per affrontare la questione ambientale o si dovranno inevitabilmente accettare le conseguenze di uno sviluppo incontrollato.
La crisi attuale riguarda quattro settori principali: l‟aumento della popolazione mondiale, il soddisfacimento del suo fabbisogno alimentare, l‟esaurimento delle risorse naturali finite e il deterioramento ambientale. In particolare oltre alla crescita di popolazione, si aggiunge la variabile della drammatica carenza di terra verso un sempre più crescente fabbisogno alimentare. Per la produzione di alimenti il primo elemento indispensabile è infatti sicuramente la terra, ma l‟orientamento attualmente prevalente, perché economicamente vantaggioso, è quello di intensificare lo sfruttamento delle terre già coltivate e impiegare i terreni sottratti all‟agricoltura per altri fini. Alla luce delle stime effettuate dalla FAO229, appare evidente che non ci si potrebbe più permettere di consumare terreni agricoli, tuttavia questa prassi continua incontrollata. La pressione esercitata su questi terreni incide infatti fortemente sull‟autonomia alimentare dei paesi.
228 Meadows D.H., et al. (1972). I limiti dello sviluppo. Milano: Mondadori, p.12.
229 Food and Agriculture Organisation, ente che appartiene alle Nazioni Unite e che si occupa di questioni
alimentari e agricole. Secondo tali stime, nel 2010 circa 926 milioni di persone nel mondo erano al di sotto della soglia minima di nutrizione. Tale cifra era così distribuita a livello mondiale: 19 mln. nei paesi sviluppati; 37 mln. nell‟Africa del nord e del nord-est; 53 mln. in America latina e nelle zone caraibiche; 239 mln. nell‟Africa sub-sahariana; 578 mln. in Asia e nell‟area del Pacifico. Dati reperiti su
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Lateralmente alla tematica della sostenibilità intesa in stretto senso ambientale, sta prendendo piede a livello mondiale, soprattutto in luoghi con una certa coscienza ambientale230, una declinazione del termine che comprende anche nuovi modelli sociali, di produzione e di consumo, tra cui l‟importanza di consumare cibi che siano più sani e prodotti in loco. L‟idea alla base è quella di comprare i prodotti che provengono da vicino al luogo in cui una persona vive. Così facendo ci sarebbero risparmi energetici perché il cibo non dovrebbe più essere trasportato a lunghe distanze, oltre a un sostegno all‟economia locale e a una maggiore sicurezza alimentare.
Questa visione è solo una parte di un disegno più grande, portatore di una nuova sensibilità che si contrappone all‟attuale società dei consumi, dello spreco che naturalmente il consumo porta con sé, e dei rifiuti, che prevale in gran parte del pianeta, e di una concezione mentale che va di pari passo con la costruzione di edifici sostenibili, con accorgimenti dal punto di vista energetico e dal punto di vista dei rifiuti, per creare un ambiente che sia meno artificiale, più sostenibile e con meno consumi. È una visione che sta ricevendo molti sostegni anche da parte delle innovazioni tecnologiche e dall‟opinione pubblica, rispecchiando nuovi orientamenti di mercato.
«Diventa sempre più evidente alla maggioranza delle persone che la sopravvivenza della biosfera, con la sua capacità di ospitare i vari organismi viventi, non va più misurata in termini di centinaia di milioni di anni, ma di decenni; la colpa di ciò ricade interamente sulla specie umana»231.
Lo stile di vita suburbano è insostenibile, il sovraffollamento delle discariche è un segnale che il progredire dello sprawl si colloca all‟interno di un‟economia che incoraggia lo spreco piuttosto che la conservazione e il riciclo.
Per gestire le attuali quantità di rifiuti una delle soluzioni praticate è quella di prevedere dei siti dove i rifiuti solidi sono compattati e coperti di terra, escludendo solo i rifiuti pericolosi. Non è la stessa cosa di una discarica, che invece non prevede nessuna di questa due azioni, ma bensì l‟abbandono ed eventualmente la loro combustione. Una volta che le città esauriscono le loro capacità di smaltire i rifiuti con questi meccanismi, subentra l‟opzione dell‟esportazione via mare verso altre città, stati o nazioni.
230 Il concetto è entrato nella legislatura di già 10 stati degli USA.
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Inoltre se lo sprawl, come abbiamo visto, dipende da milioni di veicoli, si pone anche il problema delle loro carcasse e dello smaltimento dei pneumatici, che richiedono l‟implementazione di appositi programmi.
A partire dagli anni „70 si utilizza il termine “ecologico” per descrivere quelle città che adottano una combinazione di misure ambientali, come la costruzione di insediamenti accessibili a piedi o coi trasporti pubblici, costruzioni sostenibili, cinture verdi. Il moltiplicarsi degli interessi nei confronti di questa tematica ha fatto sì che questo concetto maturasse e si evolvesse, ad esempio con la codificazione di standard precisi per definire che cosa significhi “città ecologica”, comprendendo qualcosa che vada oltre la mera applicazione di singole misure, per inserirsi in un quadro di più lungo periodo. Con la consapevolezza che investire in sostenibilità è cosa molto difficile da tradurre in azioni concrete.
Mentre il Nuovo Urbanesimo si focalizzava su quartieri ben progettati e la Smart Growth invece su interi territori, c‟è un ulteriore filone emergente, di green buildings, traducibile in italiano come bioarchitettura, che si pone a una sfera più micro e cioè quella degli edifici singoli. Gli edifici, come abbiamo visto hanno un gradissimo impatto ambientale, più della metà dell‟energia mondiale è usata per costruire, demolire, riscaldare, raffreddare gli edifici. Il movimento di bioedilizia rappresenta un tentativo di modificare tutta questa serie di impatti negativi, di far sì, cioè, che gli stabili abbiano un impatto inferiore sull‟ambiente, sia durante la costruzione, che durante il loro funzionamento. Uno degli esempi più noti è il caso di Condè Nast Tower a Times Square, che invece di assorbire energia ne risparmia tanta da diventarne produttore. L‟approccio trova i suoi rappresentanti più famosi in A. Leopold, I. McHarg, L. Ferry e P. Geddes. Sia il modernismo che gli sviluppi suburbani non si sono mai preoccupati di tenere in considerazione queste tematiche. Oggi l‟ applicazione di questi principi (che non si esprimono solamente nel mettere dei pannelli solari sul tetto), è accettata e perseguita da molti dei più famosi e importanti architetti mondiali232. È possibile identificare alcune linee guida: collocare gli edifici vicino ai trasporti pubblici (è questa una condizione fondamentale: se una struttura ha magari il tetto verde o un ascensore che utilizza olio vegetale per funzionare, ma i suoi abitanti lo raggiungono quasi totalmente in auto perché non possono fare altrimenti, non si può dire che sia veramente
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verde); preservare l‟habitat naturale intorno alle costruzioni; utilizzare dei timer per ridurre i consumi energetici; impiegare la vegetazione locale per le funzioni paesaggistiche; utilizzare bassi flussi idrici; far testare i consumi energetici della costruzione da esperti esterni; non utilizzare prodotti che contribuiscano alla riduzione dello strato di ozono; sfruttare le fonti energetiche alternative (eolico, solare); utilizzare materiali di riciclo e che siano prodotti a una distanza non superiore a 800 km., sia per ridurre i costi dei trasporti che per supportare l‟economia locale (ad esempio il linoleum per i pavimenti, prodotto con olio di semi di lino e resina di pino, al posto di materiali di derivazione chimica); vietare il fumo all‟interno degli edifici; monitorare i livelli di diossido di carbonio interni alla struttura; usare materiali non tossici (anche per quanto riguarda le vernici, gli infissi); consentire la vista sull‟esterno e assicurare la penetrazione della luce naturale.
Le tecnologia solare non è un elemento del tutto nuovo. La prima caldaia solare fu brevettata ancora una volta nel Maryland intorno al 1890, e durante la Grande Depressione che colpì gli Stati Uniti, essendoci forti mancanze di gas e petrolio da utilizzare per il riscaldamento, molti progettisti credevano che la casa solare sarebbe stata la predominante negli anni successivi alla guerra233. Ma tutti questi progressi non furono sufficienti nell‟attrarre il supporto dell‟industria edilizia durante gli anni „40 e „50: i costruttori erano più desiderosi di edificare a bassi costi ampi lotti immobiliari e si opposero a ogni tentativo di posizionare le case verso sud per ottenere il riscaldamento solare, perché sarebbe stato troppo complicato da organizzare, e a ogni altra spinta verso l‟importanza dell‟isolamento termico, perché le spese avrebbero inciso sui loro profitti. Dopotutto sarebbero stati i possessori delle abitazioni a pagare le utenze e così i costruttori non si preoccuparono dei costi energetici del lungo periodo.
Tradizionalmente i piani energetici urbani si proponevano di affrontare questioni come quelle dell‟accesso alla rete energetica, della sua sicurezza, affidabilità ed economicità. Questi elementi rimangono centrali ancora oggi, le città non potrebbero funzionare senza queste reti. A ciò però si devono affiancare considerazioni che riguardano la sostenibilità ambientale, la salute pubblica e non da ultimo il cambiamento climatico. Alla fine degli anni „40 il carbone e il petrolio erano relativamente poco costosi e le utenze erano state fortemente promosse a partire dagli anni „20 dal governo americano
233
Rome A. (2001). The Bulldozer in the Countryside: Suburban Sprawl and the Rise of American
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per aumentare la domanda di energia elettrica: la General Elettric traeva un duplice ricavo nell‟aumento della domanda di energia elettrica, sia dalla vendita delle centrali elettriche che dalla vendita degli elettrodomestici, e così il solare fu archiviato per essere riscoperto solamente decenni dopo.
Anche se verso la metà del secolo scorso i costruttori non erano interessati alla tecnologia solare, i miglioramenti tecnici in questo campo continuarono e intorno agli anni „70 questo tipo di architettura fu nuovamente proposta dagli ambientalisti e intorno agli anni „90 tornò alla ribalta, spesso tramite tetti e pareti fotovoltaiche, e, in coincidenza con il diffondersi della bioarchitettura, un numero sempre maggiore di industrie costruttive e manifatturiere formarono negli Stati Uniti, l‟U.S. Green Building Council per promuovere edifici che fossero ecologicamente responsabili, redditizi e dei luoghi salutari in cui abitare234. Tuttavia il termine “green”, proprio come abbiamo visto essere vero per il termine “smart growth”, è un grande calderone che ospita molti gruppi diversi tra loro.
Inoltre le fonti energetiche alternative non sono del tutto innocue per l‟ambiente. Anch‟esse richiedono terreni su cui collocarsi, spesso sono costruite utilizzando materiali tossici, ma sicuramente i livelli di inquinamento che producono sono inferiori e meno nocivi di quelli delle fonti energetiche classiche (combustibili fossili, nucleare). Gli edifici ecologicamente compatibili enfatizzano il più ampio tema della sostenibilità, abbattendo i consumi eccessivi di suoli, e gli sprechi di energia e acqua. Obiettivi di così vasta portata sono difficilmente raggiungibili alla scala della singola abitazione. La situazione è troppo avanzata per correggere gli errori precedenti semplicemente con nuovi prodotti senza porre dei severi limiti sul consumo di suolo, sugli utilizzi elettrici e sulle nuove costruzioni. Viene da chiedersi se nuove forme di case possano risolvere uno dei maggiori problemi urbani. Sicuramente possono rappresentare soluzioni locali a problemi fisici, ma di per sé non sono in grado di cambiare, da sole, l‟economia nazionale e le condizioni politiche che stanno alla base dello sprawl.
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