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Capitolo 3. APPROCCI TEORICI ALLO SPRAWL

3.3. PROSPETTIVA MARXISTA

A livello generale la teoria marxista si focalizza sul conflitto di interessi economici che starebbe alla base dello sviluppo urbano, in alternativa alla tradizionale assenza di conflitto che abbiamo visto essere presente all‟interno della teoria ecologica. In questo caso è un processo economico, l‟accumulazione di capitale, a divenire il fattore critico per comprendere lo sviluppo urbano contemporaneo e spiegare le tendenze che hanno guidato l‟espansione metropolitana. Non si tratta semplicemente di forze di mercato

165 Berry B.J.L., Kasarda J.D. (1977). Contemporary Urban Ecology. New York: MacMillan.

Berry B.J.L. (1961). City Size Distributions and Economic Development. Economic Development and

Cultural Change, 9.

166 Kasarda J.D., Janowitz M. (1974). Community Attachment in Mass Society. American Sociological

Review, 39.

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Wilson F.D. (1984). Urban Ecology: Urbanization and Systems of Cities. Annual Review of Sociology 10: 283-307.

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(che rispondono, come abbiamo visto, ad esempio alle preferenze individuali), ma dietro queste ci sarebbero forti attività economiche guidate da imprese che si relazionano con istituzioni finanziarie, e che agiscono col supporto di agenzie governative, spostando gli investimenti da industrie e commerci, da un lato verso gli sviluppi suburbani, e dall‟altro in concentrazioni di funzioni amministrative e di servizi nelle città centrali. L‟accumulazione di capitale è il processo per cui il profitto viene creato al fine di accumulare ulteriore capitale da utilizzare per altre iniziative imprenditoriali produttrici di profitto, in una logica di continua espansione.

Questo meccanismo introduce importanti cambiamenti all‟interno della società, non solo nella sua ricchezza, ma anche nelle relazioni economiche tra le classi sociali e nei caratteri delle sue città e aree circostanti. Questa teoria sembra dunque essere particolarmente adatta allo studio dei cambiamenti socio-economici urbani.

Uno dei suoi principi cardine è che la struttura sociale, e ogni altro aspetto rilevante della società, non è un elemento fisso, ma essa si modifica in relazione a cambiamenti interni al sistema economico, come può essere un nuovo modo di produzione. Così anche la forma urbana varia in base al modello di produzione. L‟accumulazione di capitale e la forma urbana sarebbero così strettamente legati tra loro: storicamente la città ha giocato un ruolo cruciale nel processo di accumulazione, perché ha garantito l‟accesso a un‟ampia varietà di mercati sia all‟interno, che all‟esterno dei confini urbani, agendo come luogo di scambio commerciale e di creazione del credito necessario a condurre ulteriori iniziative commerciali, piuttosto che come luoghi di produzione diretta dei beni. Solo successivamente ci fu il passaggio da città commerciale a quella di tipo industriale, con una concentrazione di produzione e di lavori in uno, o più, grandi distretti centrali. Essa fu la base del sistema industriale e comportò l‟aumento dei volumi di produzione e delle quantità di capitale accumulato.

Questo cambiamento di modo di produzione si è riflettuto in generale nella struttura della società, e, in modo più visibile, sull‟utilizzo dei suoli. Se prima l‟uso dei terreni era solo approssimativamente pianificato e non c‟era separazione tra le destinazioni d‟uso168, con l‟avvento della città industriale queste caratteristiche cambiarono

drasticamente e drammaticamente. Le zone di carico e scarico delle merci diventarono il centro delle attività economiche rovesciando le relazioni spaziali che avevano

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strutturato la città commerciale. La dominanza del distretto industriale si rifletté sulle aree residenziali che si adattarono alle sue richieste funzionali e spaziali.

I cambiamenti non riguardarono solo le forme spaziali della città, ma anche le relazioni economiche tra le sue zone e quelle sociali tra i suoi abitanti. Infatti sotteso a questi cambiamenti vi era il potere della classe capitalista nel centralizzare i mezzi di produzione e con ciò modificare sia la struttura occupazionale che i modelli residenziali della forza lavoro urbana. Il principio di dominanza che abbiamo esaminato nella teoria precedente, può continuare a essere presente anche in questa visione, ma non si tratta più di dominanza spaziale, degli usi centrali dei suoli sulle zone periferiche, ma è piuttosto una dominanza di classe nello stabilire il contenuto e la struttura dello spazio economico della città. La struttura spaziale di una città non è più il risultato di cambiamenti tecnologici, ma il risultato di azioni volontarie per espandere il proprio capitale e mantenere una certa posizione socio-economica. È cioè dal potere di dominare le relazioni di classe che deriva il potere di dare forma agli spazi cittadini, e tale potere non si è esaurito con la fine della città industriale, ma è presente ancora oggi. Invece di focalizzarsi sull‟importanza dei fattori tecnologici per comprendere il cambiamento suburbano, come i teorici della prospettiva precedente, anche se ne riconoscono l‟importanza, questi studiosi puntano l‟attenzione piuttosto su alcuni aspetti dell‟organizzazione industriale, in particolare su quelli che riguardano l‟aumento delle difficoltà nel controllare la forza lavoro industriale urbana. Il controllo socio-economico e il potere sarebbero dunque i fattori principali che intervengono nello stabilire i modelli di sviluppo urbano. La dispersione dei lavori oltre i confini cittadini avvenne non appena le più grandi aziende ottennero un capitale sufficiente per sostenerlo.

La suburbanizzazione non era un fenomeno nuovo, come abbiamo visto precedentemente, già alla fine dell‟800 le persone benestanti avevano iniziato ad abbandonare la città per trasferirsi nei suburbi. Così come negli anni precedenti la città compatta era il prodotto dei bisogni del capitale di tenere assieme la forza lavoro in un ambiente dove l‟organizzazione e i ritmi del lavoro potessero essere controllati, così agli inizi del „900 l‟estensione della città e la dispersione delle industrie non era altro che un modo per andare incontro alle esigenze del capitale di controllare la forza lavoro e per trovare luoghi più adatti sotto molti aspetti. La pratica dell‟annessione dei suburbi circostanti da parte della città centrale col tempo venne meno a causa delle loro dimensioni sempre più vaste, e ciò significò un aumento dell‟autonomia politica dei

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suburbi e una proliferazione di molteplici governi all‟interno delle aree metropolitane, ognuno portatore di peculiari interessi economici. Le ragioni della pratica dell‟annessione vanno maggiormente ricercate in due ordini di fattori: il primo è la forza del principio, vivo soprattutto all‟interno della società americana, secondo cui “Bigger it‟s Better”169, il secondo è l‟idea secondo cui un‟organizzazione più larga fosse più

efficiente di una piccola, soprattutto in termini di economie di scala.

In aggiunta a queste forze si unirono anche le industrie per la costruzione delle strade e le compagnie petrolifere, nel sostenere il processo di suburbanizzazione.

I neomarxisti sostengono che questo si rifletté anche nell‟avanzamento economico dell‟epoca. Per quanto riguarda il ruolo dello stato, questi teorici affermano che esso ha avuto un ruolo importante nello sviluppo urbano. Innanzitutto nell‟era della città industriale lo stato assorbiva alcuni dei costi intrinseci allo sviluppo, come quelli delle infrastrutture e quelli necessari al benessere della forza lavoro, infatti nessuna impresa singola avrebbe potuto sostenere tali costi singolarmente, in questo modo, nell‟epoca della città industriale, il governo assume un ruolo crescente sia nell‟economia nazionale che nella comunità locale.

Esistono però molteplici differenti prospettive all‟interno della teoria, sulle relazioni tra stato e capitale, e in particolare sul grado in cui le politiche statali siano determinate da forze interne o esterne ad esso. In particolare distinguiamo il filone strumentalista e quello strutturalista. Il primo ha una visione piuttosto limitata del ruolo dello stato, che sarebbe essenzialmente un committente esecutivo che gestisce gli interessi politici della classe capitalista. Questa visione è quella più vicina alla classica posizione marxista, in cui il governo è un mezzo per rinforzare gli interessi nell‟accumulazione del capitale, nelle mani della classe dominante, quella capitalista, o della parte più influente di essa. Ricordiamo alcuni degli autori che appartengono a questa prospettiva di studi: D. Hayden170, W.K: Tabb e L. Sawers171, E. Ostrom e Schlater E172.

169 Fodor E. (1999). Better not Bigger. Gabriola Island B.C.: New Society Publisher.

170 Harvey D. (1985). The Urbanization of Capital: Studies in the History and Theory of Capitalist

Urbanization. Baltimore, MA: The Johns Hopkins University Press.

Harvey D. (2006). Spaces of Global Capitalism: Towards a Theory of Uneven Geographical

Development. London: Verso.

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Le critiche che vengono generalmente sollevate nei confronti di questa prospettiva ne evidenziano il suo eccessivo determinismo con cui la parte più emergente della classe dominante determina direttamente le politiche governative, e non riesce a porre attenzione sul fatto che i governi moderni devono essere preparati a estendere le proprie politiche oltre il semplice supporto al processo di accumulazione capitalistica, se questo significa allontanarsi dall‟ottenere un certo grado di stabilità sociale. Viceversa il secondo approccio vede le relazioni tra classe capitalista e governo come determinate da sistemiche coercizioni e contraddizioni del sistema economico capitalistico. Sarebbe la struttura stessa del sistema ad avere delle influenze indipendentemente dal fatto che i membri della classe capitalista partecipino o meno alle istituzioni statali, trascendendo da specifici interessi soggettivi. Lo stato avrebbe una sufficiente indipendenza relativa da interessi capitalistici, tanto da agire, se necessario, anche contro particolari segmenti del capitale per preservare la società intera e la sua stabilità. Queste azioni comprendono ad esempio l‟adozione di misure per ridurre l‟inquinamento industriale e di misure di welfare, e apre la questione sul grado in cui le strutture governative influenzino le politiche urbane indipendentemente da pressioni esterne provenienti da interessi particolaristici.

Esisterebbe una connessione diretta tra lo sviluppo urbano e l‟aumento della spesa pubblica in tale approccio strumentalista, che risponderebbe a due obiettivi principali: aumentare la produttività e l‟accumulazione del capitale e supportare il mantenimento dell‟ordine pubblico, in un‟ottica di investimenti sociali che sostengono la produttività economica. È infine identificabile un terzo approccio, quello del conflitto di classe, che introduce degli elementi che complicano la comprensione delle dinamiche con cui le politiche statali sono stabilite. In aggiunta agli interessi capitalistici compare il continuo conflitto tra gli interessi del capitale e quelli del lavoro. Tale visione comporta l‟adozione del conflitto di classe come condizione che rende possibile una maggiore autonomia statale. È sicuramente una visione importante, ma presenta alcuni limiti significativi nell‟analisi di quei programmi urbani in cui gli interessi principali non sono legati a questioni di classe, ma ad esempio da tematiche razziali. La separazione dei posti di lavoro dai luoghi residenziali in particolare ha creato due sfere di conflitti di 172 Ostrom E., Schlater E. (1996). The formation of property rights. In: Hanna S.S., Folke C., Mäler K.G.

(eds). Rights to Nature. Ecological, Economic, Cultural, and Political Principles of Institutions for the

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classe: uno nei posti di lavoro per quanto concerne i salari e le condizioni di lavoro; l‟altro nei quartieri residenziali per ciò che riguarda i costi e le condizioni dell‟abitare che si manifestano sia a livello del singolo individuo che a livello di classe.

Esaminaiamo ora l‟ultima teoria, quella che vede lo sviluppo urbano post-industriale come un‟utopia elaborata dalla classe borghese.