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Capitolo 3. APPROCCI TEORICI ALLO SPRAWL

3.2. TEORIA ECOLOGICA CLASSICA

Il concetto di ecologia umana fu introdotto negli anni „20 dai sociologi Robert Park e Ernest Burgess161. Il campo dell‟ecologia era nato nel „800 come branca della biologia, col fine di indagare l‟adattamento di fauna e flora sia tra di loro, che nei confronti dell‟ambiente circostante, in una complessa trama di rapporti di competizione e interdipendenza. Questo costituì il punto di vista distintivo anche dell‟ecologia urbana classica con cui esaminare le comunità umane e più specificatamente le comunità urbane.

Un tema centrale all‟interno della teoria è che senza alcun intervento di pianificazione, l‟ordine urbano tenderebbe a evolvere spontaneamente sulla base di meccanismi competitivi simili a quelli rintracciabili nella lotta per la sopravvivenza presenti in natura. Laddove è uno sviluppo non pianificato e decentralizzato a dominare, lo sprawl compare in una maniera quasi meccanicistica; al contrario laddove la crescita attorno alle periferie cittadine è coordinata da forti politiche urbane, possono essere garantite forme più compatte di sviluppo urbano.

Questa analogia sembra alquanto appropriata perché la città industriale era infatti un palcoscenico su cui competevano gruppi di popolazione sia tra di loro, che con la popolazione immigrata, per la terra e le altre risorse. L‟ecologia urbana classica interpreta l‟evoluzione urbana come una continua competizione sociale e spaziale tra gruppi portatori di interessi diversi. In gioco ci sono accessi sia fisici che sociali a residenze ritenute desiderabili, in base alla loro collocazione, alle strutture circostanti, alla facilità di accesso al centro, alle infrastrutture presenti, e a posti di lavoro, così come anche a infrastrutture importanti per il benessere e l‟avanzamento sociale.

È il principio di dominanza che tende a determinare il generale modello ecologico di una città e le relazioni funzionali tra le sue diverse aree. Esso viene definito come la condizione per cui alcuni gruppi acquisiscono una posizione strategica da cui possono esercitare controllo e influenza sul territorio circostante. Questo ruolo è riservato solo a un numero limitato di persone all‟interno di un sistema urbano, e specificatamente, a quelle che hanno la possibilità di affrontare i maggiori costi dei terreni associati a queste posizioni di dominanza. Per gran parte delle città è il distretto centrale degli affari a

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essere identificato con questa area; questa posizione comporta importanti conseguenze per l‟intero sistema ecologico. Il sistema, che deriva da una continua competizione, finisce per posizionare ogni soggetto «all‟interno di una nicchia particolare dove potrà incontrare contemporaneamente il minimo della competizione e il massimo della partecipazione alla vita della comunità»162. In questo modo, partendo da un disordinato e non regolato processo di competizione, emerge spontaneamente un ordinato sistema socio-spaziale all‟interno del quale ogni soggetto dà il suo contributo; inoltre il posizionamento spaziale dei diversi gruppi diviene funzionale al bene della comunità intera.

L‟immagine di questo ordine funzionale viene concretamente espressa con maggior chiarezza tramite la teoria dei cerchi concentrici come modello per rappresentare la città industriale, che ha al centro il distretto degli affari e intorno quattro zone ognuna delle quali presenta differenti modi di utilizzo dei suoli.

Il distretto centrale non è solo il centro fisico del modello, ma ne è anche il centro funzionale. Strettamente interrelati a questo meccanismo vi sono i concetti di invasione e successione. Brevemente definiamo l‟invasione come l‟avanzare di soggetti e strutture da una zona a quella successiva, e la successione come il culmine di questa sostituzione dei precedenti abitanti coi nuovi arrivati (e di un nuovo modo di utilizzo del suolo). Generalmente i cambiamenti non avvengono in intere zone, ma in parti di esse, modificandone i valori immobiliari e gli alloggi, nonché la base culturale.

La struttura della città è vista in tale ottica, come il risultato di operazioni di mercato unite a caratteristiche demografiche dei gruppi sociali ed economici, che crea una combinazione socio-spaziale non pianificata e funzionale all‟intera città. I limiti dell‟ottimismo di una visione di questo tipo sono stati ampiamente sottolineati all‟interno della disciplina sociologoca e suscitando molto scetticismo tra gli urbanisti, ma per alcuni aspetti essa influenza la sociologia urbana ancora oggi. La competizione per le risorse disponibili dava la forma alla vita sociale nelle città industriali, ne stabiliva le forme fisiche, le occupazioni, la struttura sociale della comunità e come veniva suddivisa la terra. È allo stesso tempo un meccanismo protettivo e autolimitante per i soggetti, che comporta un certo grado di stabilità e ordine per la comunità, ma anche risvolti negativi per particolari individui e gruppi.

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Da questa stabilità deriva un più alto livello di ordine sociale fatto di principi organizzativi, condivisione di norme, creazione di un consenso morale e politico e da cui consegue un certo consenso da parte dei cittadini e un positivo controllo sociale. Questo livello è identificabile con l‟emergere delle istituzioni sociali all‟inizio del „900, che rispecchia la nozione di un interesse pubblico che trascende i diversi interessi privati inclusi nelle comunità. Le istituzioni di questo tipo, soprattutto quelle governative, gradualmente acquisirono il potere di regolare e restringere la competizione tra gli interessi privati per il beneficio dell‟intera comunità.

Nonostante l‟importanza di questo livello culturale, il focus dell‟analisi ecologica era fissato a un livello che potremmo definire subculturale, su fatti sociali concreti, come i movimenti di popolazione e la loro distribuzione territoriale, dando vita ad una separazione tra i due livelli. Per queste ragioni la teoria classica fu sostituita da quella che viene definita teoria ecologica contemporanea degli anni del dopoguerra.

Essa abbandona la distinzione precedente tra la struttura morale, che incorpora i valori sociali, e la struttura generata dalla competizione. Le forze competitive restano ancora certamente presenti, ma questa attenzione adesso viene mediata da numerosi altri fattori, come quelli tecnologici, che rendono possibile l‟urbanizzazione di vaste aree non urbanizzate, come le preferenze culturali e le distorsioni che intervengono ad esempio nel mercato delle vendite terriere sia internamente che esternamente alla città.

La teoria dello sviluppo urbano diviene così più tecnologica ed economica, un esempio tipico è quello dell‟evoluzione della forma metropolitana in relazione agli sviluppi dei trasporti alla fine dell‟800 e che produsse l‟espansione verso i suburbi.

Durante la rapida espansione metropolitana successiva alla seconda guerra mondiale, emerse la nozione di complesso ecologico163, come evoluzione del precedente sistema socio-spaziale, e formato da tre classiche variabili ecologiche: popolazione, ambiente e tecnologia, e da una quarta variabile, che è l‟organizzazione sociale. Questi quattro elementi interagiscono tra loro e si influenzano a vicenda, per questo si riferiscono a un sistema ecologico. La crescita del sistema è un processo cumulativo, che di solito inizia con dei cambiamenti nella tecnologia che rendono possibili nuovi utilizzi dell‟ambiente e delle sue risorse, e a cui seguono sviluppi in tutti gli altri elementi. La quarta variabile, l‟organizzazione sociale, è la variabile dipendente, le altre tre invece si influenzano

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Duncan O.D. (1964). Social Organization and the Ecosystem. RER FARIS (ed.), Handbook of Modern

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vicendevolmente; paradossalmente la popolazione si deve adattare alle tecniche che lei stessa ha creato, senza potervi esercitare un controllo attivo. Il limite da più parti sottolineato di questa teoria, è la sua mancata focalizzazione sul ruolo rivestito dalle istituzioni governative ed economiche nel dare forma all‟ambiente fisico e sociale delle aree metropolitane. Successivamente questa carenza fu colmata grazie all‟idea secondo cui l‟espansione ecologica non sarebbe puramente una crescita quantitativa in territorio e abitanti, ma un fenomeno che richiedeva anche uno sviluppo di organizzazioni amministrative e di controllo che ne assicurassero l‟integrazione e il coordinamento. La questione che resta aperta è in quale misura questo sviluppo ha portato alla nascita dell‟area metropolitana. Un ideale processo di crescita metropolitana richiede un bilanciamento delle forze centrifughe e centripete coinvolte nell‟espansione164

. Le prime sono quelle che hanno condotto abitanti, commerci e industrie al di fuori delle città centrali; le seconde quelle forze che tendono a concentrare le attività amministrative, finanziarie e di affari, nei centri cittadini. Nella realtà questo bilanciamento non avviene e il rapporto tra le forze è problematico. Questa evoluzione non porta solo alla perdita di una base industriale, ma anche ai primi stadi di sviluppo post-industriale che offrono un‟ampia gamma di servizi professionali e attività specializzate. La crescita non è uguale, ma porta vantaggi e opportunità in alcune zone, e svantaggi e privazioni in altre, non realizzando integrazione economica, sociale e politica all‟interno dell‟area metropolitana. In altre parole alla riorganizzazione spaziale non corrisponde una riorganizzazione politica: molte cittadine e piccoli paesi circostanti vengono incorporati economicamente e socialmente nella rete metropolitana, ma al tempo stesso rimangono unità politiche autonome e indipendenti dal punto di vista amministrativo.

La città centrale è solo uno dei molti nodi presenti nell‟area metropolitana. Il risultato è un insieme di differenti governi sovrapposti, che emanano politiche pubbliche contrastanti, con carenza di infrastrutture e una sostanziale impotenza amministrativa nei confronti dei problemi maggiori che riguardano l‟intero territorio.

Le questioni al centro della prospettiva ecologica sono diventate allora non solo quella del collasso tra le categorie classiche di urbano e rurale, ma anche quella del tracollo della distinzione tra i dominanti centri urbani e l‟entroterra rurale che si è rapidamente urbanizzato, riflettendo gli effetti dell‟espansione ecologica dello sviluppo urbano su

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scala nazionale. Il trend più significativo derivante dal processo di redistribuzione dello sviluppo urbano all‟interno delle regioni, è stato quello dello spostamento di popolazione e attività industriali. Le soluzioni che i teorici appartenenti a questa prospettiva propongono per ovviare a questi problemi sono di continuare a incoraggiare la crescita di servizi amministrativi e professionali all‟interno della città centrale, rivitalizzandola anche dal punto di vista architettonico e culturale, per renderla più attrattiva, ristrutturandone anche i quartieri periferici, ed eliminando le barriere di zonizzazione e provvedendo anche ad alloggi a basso reddito, in una chiara logica di riqualificazione delle città centrali.

Ricordiamo tra i maggiori autori che si rifanno a questa visione teorica i già citati Kasarda J.D. e B.J.L. Berry165, M. Janowitz166 e Wilson F.D167.

Quello che viene obiettato a queste proposte è la loro mancata considerazione di un numero di variabili politiche e sociali, come la presenza di barriere sia economiche che razziali che sarebbero ineliminabili, e che ostacolano l‟integrazione urbana e suburbana, ponendovi in mezzo le dimensioni del potere, degli interessi e dei valori.

Passiamo ora ad esaminare la seconda delle teorie proposte.