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Le competenze nell’irrogazione delle sanzioni e i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie

IL SISTEMA SANZIONATORIO

8. Le competenze nell’irrogazione delle sanzioni e i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie

L’art. 262 si apre con una clausola che fa salve le disposizioni della L. 689/1981 in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, e prevede che all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla parte quarta del D.Lgs. 152/2006 provvede la Provincia nel cui territorio è commesso l’illecito, con la sola eccezione delle sanzioni previste dall’art. 261 comma 3, in materia di violazioni commesse dai produttori o dagli utilizzatori di imballaggi che non adempiono agli obblighi previsti dall’art. 226, comma 1, devolvendo, in questi casi, la competenza nell’irrogazione delle sanzioni al Comune.

Avverso le ordinanze-ingiunzione relative alle sanzioni amministrative di cui al comma 1 è possibile esperire il giudizio di opposizione previsto dall’art. 22 della L. 689/1981, in base al quale, gli interessati, possono proporre opposizione contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento e contro l’ordinanza che dispone la confisca, entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento (sessanta giorni se l’interessato risiede all’estero).

L’opposizione si propone mediante ricorso, al quale è allegata l’ordinanza notificata e, nel caso in cui manchi l’indicazione del procuratore, è necessaria la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito.

L'opposizione non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che il giudice, concorrendo gravi motivi, disponga diversamente con ordinanza

inoppugnabile, che ex art. 22-bis, comma 2, lett. d), si propone davanti al tribunale.

Per quanto concerne, infine, i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni di cui alle disposizioni della parte quarta del D.Lgs. 152/2006, l’art 263 stabilisce che questi siano devoluti alle Province e destinati all’esercizio delle funzioni di controllo in materia ambientale, fatti salvi i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’art. 261, comma 3, che sono devoluti ai Comuni86.

86 Con la novella introdotta dall’art. 40, comma 3, lett. c) della L. 221/2015, il legislatore ha dettato poi

la disciplina per la destinazione e l’impiego per proventi derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie ex art. 255, comma 1-bis in tema di “divieto di abbandono di rifiuti di piccolissime dimensioni e

l’abbandono di rifiuti prodotti da fumo”, stabilendo che, il cinquanta per cento delle somme, debba essere

versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato in un apposito fondo istituito presso il Ministero dell’ambiente per l’attuazione di campagne di informazione su scala nazionale. La restante parte è destinata, invece, ai Comuni nel cui territorio sono state accertate le violazioni, dove tali somme saranno utilizzate per le attività di installazione nelle strade, nelle piazze, nelle aree verdi, nei parchi e nei luoghi di alta aggregazione sociale di appositi raccoglitori per la raccolta dei mozziconi dei prodotti da fumo e, in via residuale e secondo le specifiche esigenze, per le campagne di informazione su scala locale.

CONCLUSIONI

Dall’analisi della disciplina italiana dei rifiuti è emerso come il primo aspetto fondamentale sul quale occorre porre l’attenzione sia quello relativo alla necessità di favorire una forma di gestione della filiera dei rifiuti “circolare”, volta cioè a garantire la riduzione al minimo degli scarti non recuperabili, incentivando pratiche di riciclaggio e di recupero dei rifiuti, al fine di ottenere prodotti, materie prime o fonti di energia.

Questo è possibile attraverso l’utilizzo di strumenti economici, fiscali, politiche di informazione e sensibilizzazione, con lo scopo di promuovere tecnologie pulite, la messa a punto di prodotti concepiti per ridurre la quantità di rifiuti e lo sviluppo di tecniche per l’eliminazione di sostanze pericolose, nonché incentivando il ricorso al mercato dei materiali recuperati dai rifiuti. In quest’ottica il legislatore ha predisposto una gerarchia di obiettivi da perseguire che vede al primo posto la prevenzione, seguita poi dal riutilizzo, il riciclaggio e il recupero, attribuendo una posizione residuale allo smaltimento in discarica, che trova, tuttavia, ancora oggi ampia diffusione, specialmente in alcune zone del nostro Paese, con conseguenti perdite sia dal punto di vista economico, date dal mancato reimpiego dei rifiuti, che ambientali.

Un altro aspetto importante emerso dall’analisi della disciplina italiana dei rifiuti, riguarda la necessità di individuare un campo di applicazione chiaro delle norme in materia, aspetto che ha destato non poche problematiche

soprattutto con riguardo alla nozione di rifiuto. Questa, come abbiamo avuto modo di vedere, è stata infatti oggetto di numerose modifiche ed oggi sembra aver trovato la sua corretta declinazione, grazie all’eliminazione del requisito oggettivo (che faceva riferimento ad una classificazione di rifiuti, non tassativa), il quale finiva col lasciare il perimetro del campo di applicazione sfumato e incerto. Ciò ha permesso di valorizzare il requisito soggettivo, il quale ruota attorno al concetto di “disfarsi”, che porta alla necessità di verificare, caso per caso, la volontà del soggetto detentore di non utilizzare più tale sostanza. Senza dimenticare, come abbiamo avuto modo di analizzare, che nel determinare il campo di applicazione dobbiamo tenere conto dei concetti di “sottoprodotto” ed “end of waste”, oltre che dell’indicazione positiva di tutte le fattispecie a cui non si applica la disciplina dei rifiuti.

Altro aspetto problematico sul quale è stato utile porre attenzione riguarda le modalità di affidamento del servizio di gestione integrata, che vede oggi il modello in house come la soluzione organizzativa più diffusa, nella convinzione spesso non sorretta da effettivi dati empirici, che sia anche quella più economica, efficace ed efficiente, in quanto i costi legati alla preparazione delle procedure ad evidenza pubblica e al frequente contenzioso successivo, finirebbero per annullare i guadagni ottenibili mediante una selezione competitiva del soggetto affidatario del servizio. Questo, tuttavia, desta non

poche problematiche dal punto di vista concorrenziale, attribuendo, in capo all’impresa pubblica, un vantaggio competitivo rispetto agli operatori privati.

Per cercare di mitigare gli effetti negativi del ricorso alla società in house, oltre all’applicazione rigorosa delle condizioni che ne consentono il ricorso, ed in particolare la sussistenza del requisito del controllo analogo, un altro potenziale strumento, del quale al momento non viene fatto utilizzo, “limitandosi” all’integrazione dei requisiti formali, è il benchmarking, che serve a valutare l’efficienza dell’impresa affidataria del servizio, ponendola a confronto con “un’impresa tipo” che opera nel medesimo settore. In questo modo, sarebbe possibile considerare lecita la scelta dell’autoproduzione solo laddove essa si riveli, se non la più efficiente in via assoluta, ma quantomeno mediamente efficiente.

Il quadro delineato a livello nazionale mostra poi evidenti divari fra nord e sud Italia, tanto nelle modalità di gestione del servizio, quanto nella concretizzazione dei paradigmi dell’economia circolare. La concentrazione degli impianti di trattamento e di recupero energetico nel nord Italia, è direttamente collegato alla migliore qualità del servizio di gestione integrata dei rifiuti e ad una maggiore efficienza di costi, determinando una minore presenza di attività illecite nel territorio; di contro, nel meridione, la bassa aziendalizzazione favorisce un sistema di gestione dei rifiuti altamente frammentato. Questo si traduce in una forte inefficienza e un aumento delle spese divenendo, quindi, terreno fertile per le attività illecite dei clan mafiosi,

i quali, approfittando anche della crisi economica che investe il nostro Paese, offrono alle aziende un alternativa più economica, seppur illecita, per lo smaltimento dei rifiuti che può risultare, in molti casi, l’unica possibilità di salvezza per le aziende soggette a tassazioni sempre più elevate, e a ricavi sempre minori.

Come abbiamo avuto modo di precisare, in Italia, oltre ad alti livelli di corruzione, esiste il problema di un debole o inadeguato sistema di prevenzione, che si intreccia alla spesso inefficace attività repressiva e investigativa, dovuta alla mancanza di risorse destinate alle attività di prevenzione e di controllo. E a ciò si aggiunge l’intreccio di interessi tra lobby industriali, soggetti politici e autorità di controllo, capaci di influire sulla legislazione penale a tutela dell’ambiente e sulla sua effettiva implementazione.

È allora nello sviluppo degli impianti di trattamento dei rifiuti che occorre investire, con l’obiettivo di migliorare l’efficienza della gestione e la riduzione dei costi, oltre ad un inasprimento delle conseguenze sanzionatorie, in modo tale da riequilibrare il rapporto costi/benefici (attualmente troppo sbilanciata a favore dei secondi) davanti alla quale si trovano le aziende, nel momento in cui devono decidere se ricorrere al mercato lecito o illecito per lo smaltimento dei propri rifiuti.

Assume poi un’importanza fondamentale anche la verifica del rispetto delle varie procedure per l’affidamento del servizio di gestione integrata, per

cercare di purificare le gare da infiltrazioni di clan mafiosi, e dare al principio dell’evidenza pubblica non solo un valore formale (visto spesso come un peso burocratico), ma una funzione di prevenzione concreta, che unita a una gestione più efficiente degli impianti di trattamento dei rifiuti, potrebbe contribuire alla riduzione di queste problematiche.

L’auspicio è, poi, quello di vedere finalmente in opera il Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, che attende ancora la sua presa di operatività, troppe volte prorogata, in modo tale da controllare in modo più puntuale la movimentazione dei rifiuti lungo tutta la filiera, ed essere in grado di contrastare il proliferare di azioni e comportamenti non conformi alle regole esistenti. Un risultato che consentirebbe, in particolare, di mettere ordine a un sistema di rilevazione dei dati che sappia facilitare i compiti affidati alle autorità di controllo, superando, così, il precedente sistema cartaceo.

Questo determinerà sia benefici per lo Stato in termini di prevenzione, trasparenza, legalità e efficienza, sia per le imprese attraverso l’eliminazione di forme di concorrenza sleale con conseguente riduzione dei costi sostenuti; senza dimenticare gli impatti positivi anche dal punto di vista ambientale.

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DOTTRINA

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GIURISPRUDENZA