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L’attività organizzata per il traffico illecito di rifiut

IL SISTEMA SANZIONATORIO

7. Il traffico illecito di rifiut

7.1. L’attività organizzata per il traffico illecito di rifiut

L’art. 3 del D.Lgs. 21/2018, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 22 marzo 2018 e vigente dal 6 aprile 2018, ha abrogato espressamente l’art. 260 del D.Lgs. 152/2006, il quale è stato trasposto senza modificazioni nel Codice penale (R.D. 1398/1930) all’art. 452-quaterdecies, nell’ambito dei reati ambientali. Dal 6 aprile 2018 tutti i riferimenti all’art. 260 saranno intesi all’art. 452-quaterdecies62.

Questo parametro interpretativo è stato previsto in attuazione del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena, previsto a norma dell’art. 1 comma 85, lett. q) della L. 103/2017, che ha portato, con l’art. 1 del D.Lgs 21/2018, all’introduzione, nel Codice penale, proprio dell’art. 3-bis (principio della riserva di codice)63.

L’apparato sanzionatorio derivante dall’ex art. 260 del D.Lgs. 152/2006, ora art. 452-quaterdecies del Codice penale, configura dunque un delitto, a differenza delle altre norme punitive contenute nella parte quarta del D.Lgs.

61 L. Ramacci, Diritto penale dell’ambiente, Padova, CEDAM, 2012, p. 353 ss.

62 C. Silvestri, Abrogato art. 260 D.Lgs. 152/2006, ma (quasi) nulla cambia, 2018, su www.studiolegaleambiente.it. 63 Art. 3-bis codice penale “nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se

152/2006, le quali sono di tipo contravvenzionale64. Tale norma punisce così

con la reclusione da uno a sei anni (con aumento della reclusione fino a otto anni per il caso di traffico illecito di rifiuti radioattivi) chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce illegalmente ingenti quantitativi di rifiuti. Una disposizione dunque che si pone in continuità con l’art. 53-bis del D.Lgs. 22/1997, come precisato dalla Corte Costituzionale, Ord. n. 271/2006 e dalla Cass. Pen. sez. III., Sent. 979/2007 e 3638/2011.

L’art. 53-bis aveva rappresentato il primo tentativo del legislatore di punire quelle attività illecite legate ai rifiuti, poste in essere in modo continuativo facendo ricorso ad una struttura organizzata, tale da permettere l’illecito smaltimento in violazione delle regole amministrative e di condotta fissate dalla normativa di settore. E in particolare, il delitto in esame fu previsto dalla L. 93/2001, che ha introdotto nel nostro ordinamento il primo delitto ambientale, rappresentando il punto di svolta nel contrasto non solo ai crimini ambientali, ma anche contro le c.d. “ecomafie”65, sia perché ha teorizzato il traffico

64 Si tratta delle due categorie fondamentali in cui vengono distinti i reati, secondo quanto stabilisce l'art.

39 del codice penale, e tale distinzione avviene attraverso un criterio puramente formale che riguarda la specie di pena prevista. Quindi, se viene comminato l'arresto e/o l'ammenda si tratterà di una contravvenzione, mentre se il soggetto viene punito con l'ergastolo, la reclusione e/o la multa si configura un delitto, categoria di reato per la quale, inoltre, si risponde in via generale solo a titolo di dolo, con l'esclusione dei casi di delitti preterintenzionali o colposi espressamente previsti dalla legge, e alla quale è applicabile la disciplina del tentativo, in R. Galli, Nuovo corso di diritto penale, Padova, CEDAM, 2017, p. 624 ss.

65 Ecomafia è un neologismo coniato da Legambiente per indicare quei settori della criminalità

organizzata che hanno scelto il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, l'abusivismo edilizio e le attività di escavazione come nuovo grande business in cui sta acquistando sempre maggiore peso anche il traffico clandestino di opere d’arte rubate. Sul punto www.legambiente.it/temi/ecomafia.

organizzato di rifiuti, sia perché ha qualificato la fattispecie come delitto rispetto alle altre condotte illecite in materia ambientale, considerate contravvenzioni66.

Questo modello di tutela si caratterizza per una portata applicativa più ampia rispetto a quella assicurata dagli illeciti contravvenzionali, che si estrinseca nel più lungo termine di prescrizione e, sul piano processuale, nella possibilità di applicare le misure cautelari personali in virtù degli elevati limiti di pena, nonché di avvalersi di strumenti investigativi più pregnanti, quali ad esempio le intercettazioni telefoniche o di comunicazione fra presenti67.

L’ art. 452-quaterdecies è un reato di pericolo, presunto o astratto, in quanto la fattispecie viene integrata a prescindere da un’effettiva lesione dell’ambiente, tenendo conto però, che, la previsione del ripristino ambientale contenuta nel quarto comma, si riferisce alla sola eventualità in cui il pericolo o il pregiudizio all’ambiente si sia verificato effettivamente. Quindi il delitto in questione tutela la pubblica incolumità e si estrinseca nella lesione o messa in pericolo dell’ambiente.

La dottrina maggioritaria ritiene che, il delitto in esame, non assorba gli altri reati contravvenzionali previsti dalla parte quarta del D.Lgs. 152/2006, non essendo possibile configurare un rapporto né di specialità né di alternatività, ma dando vita ad un concorso di reati, ex art. 8168 del Codice penale.

66 P. Fimiani, L’apparato sanzionatorio, op.cit., p. 419 ss.

67 D. De Santis, Diritto penale dell’ambiente, Milano, Giuffrè, p. 291 ss.

68 Art. 81 Codice penale, “È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al

triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge. Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge. Nei casi preveduti da quest'articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti. Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono

Nel primo comma dell’art. 452-quaterdecies, si individuano gli elementi costitutivi del reato. Il reato in oggetto può essere commesso da chiunque, assumendo in questo modo la natura di reato comune. Non è, quindi, necessario che l’agente sia un soggetto c.d. “qualificato”, (come un imprenditore o l’esercente di un’attività organizzata in forma di impresa), in quanto si prevede la punibilità nei confronti di chiunque integri la fattispecie criminosa in tutti i suoi elementi costitutivi. La Corte di Cassazione69 ha stabilito che “per la

configurabilità del reato, non è richiesta una pluralità di soggetti agenti, trattandosi di una fattispecie monosoggettiva a concorso eventuale di persone”.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, trattandosi di un delitto, per la consumazione dello stesso è richiesto il dolo, ed in particolare quello specifico in quando la norma richiede, in capo all’agente, la consapevolezza e la volontà di conseguire un ingiusto profitto. La giurisprudenza70 ha peraltro precisato che

“tale profitto, non deve essere necessariamente di tipo patrimoniale, potendo consistere anche in un mero risparmio di costi o nel perseguimento di vantaggi di altra natura; non essendo necessario, però, ai fini della configurazione del reato, l’effettivo conseguimento di tale vantaggio”.

Quanto all’elemento oggettivo, invece, la norma individua una pluralità di condotte (cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione o gestione di rifiuti) che devono concretizzarsi con l’allestimento di mezzi e attività

commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, l'aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave’’.

69 Cass. Pen., sez. III, Sent. 30847/2008.

organizzate, in via continuativa. La giurisprudenza71 ha stabilito che “il delitto in

esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di trarre un ingiusto profitto, fanno della gestione illecita di rifiuti la loro attività professionale”.

Per il perfezionamento del reato è, quindi, necessaria un’organizzazione professionale (anche se rudimentale) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ed è stato inoltre precisato72 che “il

reato si configura anche quando l’attività criminosa di traffico illecito di rifiuti sia marginale o secondaria rispetto all’attività principale svolta lecitamente, non essendo necessario che tale organizzazione sia destinata in via esclusiva alla commissione di attività illecite”.

Un altro aspetto sul quale si è soffermata la giurisprudenza73, è poi il fatto

che “l’attività di gestione debba essere abusiva”; precisando che “tale nozione oltre a comprendere le attività “clandestine”, ossia quelle effettuate senza alcuna autorizzazione e quelle aventi per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nei titoli abilitativi, comprende anche tutte quelle attività che, per le modalità concreta con cui si esplicano, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, tali da non essere riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità Amministrativa”.

Il punto debole nell’applicazione della norma sembra essere tuttavia rappresentato dal riferimento agli “ingenti quantitativi di rifiuti” la cui eccessiva genericità apre lo spazio ad approcci applicativi non omogenei. La giurisprudenza74 ha così affermato che, “con la locuzione “ingente”, ci si riferisce alla

71 Cass. Pen., sez. III, Sent.46189/2011 e 44449/2013. 72 Cass. Pen., sez. III, Sent. 44632/2015.

73 Cass. Pen., sez. III, Sent. 40828/2005, 40827/2005, 30847/2008 e 52838/2016. 74 Cass. Pen., sez. III, Sent. 45598/2005, 30847/2008 e 32955/2013.

mole dell’attività abusiva nel suo complesso, ossia al quantitativo dei rifiuti gestito attraverso una pluralità di operazioni che, considerate singolarmente, potrebbero anche essere qualificate come modeste”. Per valutare il quantitativo dei rifiuti è necessario, quindi, applicare le normali regole sulla formazione e valutazione della prova, in modo da poter desumere la quantità, oltre che dalle misurazioni effettuate in loco, anche da elementi indiziari, quali il numero e la tipologia dei mezzi utilizzati, la quantità dei soggetti interessati alla gestione. Risulta pertanto oggettivamente impossibile stabilire preventivamente ed in astratto un valore assoluto superato il quale il quantitativo dei rifiuti illecitamente gestito possa ritenersi ingente; rendendo quindi necessario valutare questo requisito caso per caso75.

Quanto al luogo di commissione del delitto, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale76, questo si identifica con il luogo in cui avviene

la reiterazione delle condotte illecite.

Quanto al profilo più prettamente sanzionatorio, il terzo comma dell’art. 452-quaterdecies prevede l’applicazione delle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici; dell’interdizione da una professione o da un’arte; dall’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; e dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

Nel quarto comma, il legislatore ha previsto poi che, “con la sentenza di condanna o di patteggiamento77, il giudice ordina obbligatoriamente il generico ripristino dello

75 O.Busi, Codice dei rifiuti commentato, op. cit. p. 612. 76 Cass. Pen., sez. III, Sent. 29619/2010.

77 In caso di sentenza di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la manifestazione della volontà delle

parti non può riguardare tale sanzione; il mancato riferimento ad esso nella richiesta e nell’accettazione del patteggiamento, non esime il giudice dal provvedere.

stato dell’ambiente, e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente”.

Sia la dottrina che la giurisprudenza sostengono che, il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, possa rientrare nell’alveo dei reati il cui fine è quello di associazione a delinquere; è quindi ammissibile il concorso materiale con il reato previsto dall’art. 416 del Codice penale (associazione per delinquere). Nel delitto in esame non è richiesta una pluralità di soggetti, non siamo quindi in presenza di una tipica ipotesi di delitto associativo, bensì di un delitto mono soggettivo, che, quindi, può essere compiuto anche da una sola persona, caratterizzato però da una necessaria “pluralità di operazioni in continuità temporale relative a una o più delle diverse fasi in cui si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti”.

Tanto la dottrina che la giurisprudenza, escludono così che vi sia un rapporto di specialità con l’art 416 in quanto nel delitto in commento, il dolo specifico, si sostanzia nel conseguimento di un ingiusto profitto; mentre nel delitto di associazione a delinquere questo emerge sia nella volontà di fare parte di una organizzazione, sia nella consapevolezza di operare attivamente all’interno di tale gruppo per raggiungere i fini comuni. Inoltre, tra le due fattispecie vi è una profonda diversità per quel che riguarda il bene giuridico tutelato: mentre nel delitto di associazione a delinquere il bene tutelato è l’ordine pubblico, nelle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, sono piuttosto tutelati l’ambiente e la pubblica incolumità78.

Un'altra importante novità che ha riguardato l’articolo in esame, è stata poi l’inserimento, ad opera dell’art. 11 della L. 136/2010 in materia di “Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”, tra le ipotesi di reato elencate all’art. 51, comma 3-bis del codice penale, attribuendo la competenza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. L’effetto di questa previsione è stata l’applicazione di una disciplina speciale, sia dal punto di vista processuale, che ordinamentale, sia per quanto riguarda le misure di prevenzione. Infatti, dal punto di vista processuale, consente l’applicazione della misura cautelare in carcere, nel caso in cui vengano ravvisati gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, salvo che, vengano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistano esigenze cautelari. Vengono, inoltre, previsti strumenti per la ricerca del latitante, dando al giudice e al pubblico ministero la possibilità di disporre le intercettazioni, oltre alla possibilità di procedere alla perquisizione di edifici ai sensi dell’art. 25-bis del D.L. 306/1992.

Un'altra conseguenza dell’inserimento di questo delitto nell’alveo dei delitti previsti dall’art 51, comma 3-bis, è la proroga delle indagini preliminari; infatti, il provvedimento con il quale il GIP dispone la proroga del termine di indagini preliminari, a differenza della regola generale, non è preceduto né da contraddittorio né dalla comunicazione all’indagato79, il quale non ha diritto alla

conoscenza del protrarsi oltre il termine previsto delle indagini preliminari80.

79 A. Dalia, M. Ferraioli, Manuale di diritto processuale penale, Padova, CEDAM, 2018, p. 395 ss.

80 Dal punto di vista ordinamentale, tale delitto, viene assegnato ad un magistrato della Direzione

Il comma 4-bis è stato introdotto dall’art. 1 comma 3 della L. 68/2015, prevedendo l’ipotesi della confisca, anche nella forma per equivalente, confermando un orientamento giurisprudenziale già consolidato sul punto. La confisca per equivalente permette di procedere alla confisca, oltre che delle cose che sono il prodotto o il profitto del reato, anche dei beni o delle altre utilità dei quali il condannato risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

Un’ultima novità introdotta dall’art. 452-decies del Codice penale, riguarda, infine, l’applicazione dell’istituto del c.d. “ravvedimento operoso”, che comporta la riduzione delle pene dalla metà ai due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori; o che, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e al ripristino dello stato dei luoghi81.