• Non ci sono risultati.

L’evoluzione legislativa della gestione integrata dei rifiuti urbani Il quadro normativo relativo alla gestione integrata dei rifiuti urbani è

LA GESTIONE DEL SETTORE DEI RIFIUT

2. La gestione integrata dei rifiut

2.1. L’evoluzione legislativa della gestione integrata dei rifiuti urbani Il quadro normativo relativo alla gestione integrata dei rifiuti urbani è

stato oggetto di notevoli modificazioni che hanno riguardato sia il settore dei rifiuti (D.Lgs. 152/2006), sia la disciplina generale sui servizi pubblici locali di rilevanza economica es. art. 4, D.L. 138/201135.

Prima dell’approvazione del Codice dell’Ambiente (D.Lgs. 152/2006), la disciplina relativa alla gestione dei rifiuti era contenuta nel c.d. Decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997)36 il quale ha segnato il passaggio dal concetto di

“smaltimento dei rifiuti” (come momento centrale dell’intera gestione) a quello di “gestione unitaria dei rifiuti urbani”37 organizzata sulla base di

ambiti territoriali ottimali corrispondenti al territorio provinciale, per superare la precedente situazione di frammentazione della gestione38.

35M. Di Lullo, La gestione integrata dei rifiuti urbani, in V. Cerulli Irelli, G. Clemente di San Luca (a cura

di), La disciplina giuridica dei rifiuti in Italia, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, p. 125 ss.

36 In attuazione delle Direttive 156/91/CEE (sui rifiuti); 689/91/CEE (sui rifiuti pericolosi) e

62/94/CE (sugli imballaggi e sui relativi rifiuti).

37 Per la prima volta nel panorama normativo italiano si parla di “gestione dei rifiuti” come

comprendente tutte le attività che sono legate alla prevenzione, riduzione, riciclaggio e recupero dei rifiuti e non soltanto di messa in discarica come unica modalità di trattamento dei rifiuti. Prima del Decreto Ronchi la politica di gestione dei rifiuti era infatti caratterizzata dall’assenza di una politica ambientale integrata e di riduzione della produzione dei rifiuti.

38 Si può dire che le riforme degli anni ’90 hanno anticipato l’applicazione a questo settore del

principio di adeguatezza, oggi previsto dal comma 1 dell’art. 118 Cost., secondo cui “il legislatore deve

attribuire le funzioni amministrative agli enti che hanno una dimensione adeguata per poterle svolgere”. Dagli anni

’90, infatti, cominciò il periodo delle grandi riforme amministrative, attraverso le quali si mirava ad innovare la pubblica amministrazione mediante l’individuazione di soluzioni che ponessero fine alle inefficienze emerse nel sistema pubblico e, al contempo, consentissero di perseguire e assicurare uniformi criteri di erogazione dei servizi e adeguati standard di qualità nello svolgimento delle

Con tale decreto lo smaltimento diviene quindi una fase residuale del sistema di gestione, che segue le attività di prevenzione nella produzione e recupero dei rifiuti39.

Successivamente, il concetto di gestione integrata introdotto dal D.Lgs. 152/2006 agli art. 200 ss., costituì uno dei più importanti elementi di novità, prevedendo che, l’insieme delle attività di gestione, fossero organizzate da un unico soggetto pubblico (le Autorità d’ambito territoriale ottimale) e svolte da un unico soggetto individuato mediante gara40. Tali Autorità avevano

dunque il compito di organizzare il servizio e determinare gli obiettivi da perseguire per garantirne la gestione, secondo criteri di efficienza, economicità e trasparenza, adottando a tal fine un appropriato piano d’ambito41. Lo stesso ente era preposto, poi, all’organizzazione,

all’affidamento e al controllo del servizio: l’Autorità d’ambito era stata, infatti, ideata come unico soggetto pubblico responsabile dell’organizzazione del

funzioni. La politica dell’associazionismo comunale e dell’organizzazione sovracomunale dei servizi furono viste proprio come alcune delle soluzioni che avrebbero potuto consentire alla pubblica amministrazione di migliorare e di perseguire l’efficacia e l’economicità nella sua attività.

39 D. Anselmi, L’evoluzione normativa degli affidamenti del servizio di raccolta urbana dei rifiuti, Liguria, 2017,

su confserviziliguria.net.

40 Prima della sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012, la gestione dei servizi pubblici locali

di rilevanza economica poteva essere affidata a società interamente pubbliche e controllate dall’ente territoriale (cioè ‘in-house’) solo in situazioni del tutto eccezionali e quindi derogatorie rispetto alle modalità di affidamento ordinario (la gara con procedura ad evidenza pubblica); ovvero nel caso in cui sussistessero particolari caratteristiche del contesto territoriale che non permettessero un efficace ed utile ricorso al mercato; oppure nel caso in cui fosse assicurato il rispetto della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e che fosse data adeguata pubblicità della scelta, motivandola in base ad un analisi di mercato da trasmettere all’Autorità garante della concorrenza e del mercato perché esprimesse un parere preventivo.

servizio, ivi compresa la sua programmazione, e dei rapporti con il gestore all’interno di ogni ambito territoriale42.

Tale modello organizzativo fu introdotto pertanto al fine di creare un livello adeguato di governo di quei servizi che erano stati invece storicamente affidati alla diretta competenza e alla riserva comunale, che però si era dimostrata, nel corso degli anni, del tutto inadatta alla loro organizzazione, registrando sia bassi livelli qualitativi che notevoli deficit economici43. Il

legislatore stimava quindi che, l’istituzione di un nuovo organismo44 che

operasse la governance del servizio45 su un territorio più vasto, avrebbe

innanzitutto eliminato l’altissima frammentazione gestionale, innalzando contemporaneamente la qualità delle prestazioni offerte e raggiungendo anche migliori performance economiche grazie al meccanismo delle economie di scala che si sarebbe innescato46. Era, infatti, attesa una diminuzione dei

42 M. Di Lullo, La gestione integrata dei rifiuti urbani, Op. cit., p.126 ss.

43 A. Iunti, Le autorità d’ambito tra normativa statale e scelte del legislatore regionale, su regione.emilia-romagna.it. 44 Come rilevato da autorevole dottrina, la semplice delimitazione degli ambiti territoriali ottimali, se

non supportata dalla previsione di forme di cooperazione tra gli enti locali idonee a realizzare al suo interno un’efficiente ed efficace gestione del servizio, non è, di per sé, sufficiente a garantirne, per l’appunto, l’efficienza, l’efficacia e l’economicità. Come abbiamo visto il D.Lgs. 22/1997 aveva previsto, limitandosi, però, solo a questo, l’organizzazione per ambiti territoriali ottimali, ma ciò non aveva consentito il superamento delle criticità connesse alla loro gestione. Cfr. G. Caia,

Organizzazione territoriale e gestione del servizio idrico integrato, in N. rass. ldg., 1996, 753, il quale, in relazione

al servizio idrico, afferma che “il superamento dell’attuale negativa situazione frammentaria dei servizi idrici

non potrà essere conseguito sulla base della sola previsione del potere regionale di dettare gli ambiti territoriali ottimali”.

Si deve infatti ricordare che analogo potere era già previsto dall’art. 8, lett. d), L. 10 maggio 1976, n. 319 (L. Merli) e dalla normativa sui rifiuti (art. 6 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915), senza aver sortito effetto nel senso indicato.

45 L’Autorità d’ambito dovrebbe, infatti, garantire uniformità nello svolgimento di tutte le funzioni

afferenti al governo e alla regolazione del settore: pianificazione delle politiche produttive, scelta delle modalità di gestione, selezione del gestore, regolazione dei rapporti con le imprese e con gli utenti, controllo delle prestazioni erogate.

46 “l’unificazione delle funzioni degli enti locali appartenenti al medesimo ambito ottimale rappresenta la ragione

stessa dell’esistenza delle Autorità di ambito, costituendone al contempo elemento indefettibile e requisito minimo”:

costi, derivante sia dall’aggregazione di uffici e personale, sia dal meccanismo dell’economia politica secondo cui all’aumentare del quantitativo offerto diminuiscono i costi unitari di produzione.

Questo, tuttavia, si avvera solo in condizioni ottimali, nel caso di specie riconducibili al corretto dimensionamento dell’area di riferimento per l’offerta dei servizi. Era quindi compito della Regione, a cui è assegnata tuttora la funzione di delimitare gli ambiti territoriali ottimali (ATO), stabilire l’esatta dimensione dell’ambito, tenendo conto di numerosi parametri, fra i quali le dimensioni demografiche, le reti esistenti, nonché la morfologia del territorio47.

Tuttavia, questo sistema organizzativo ha mostrato fin da subito alcune evidenti difficoltà applicative48: innanzitutto, per l’ostilità dei piccoli Comuni

verso le Autorità d’ambito, dovuta al fatto che, all’interno degli organi decisionali, i quali solitamente deliberano con voto ponderato49 in base alle

dimensioni degli Enti partecipanti, essi avrebbero perso il loro potere di rappresentanza, se non adeguatamente sostenuti da Comuni di maggiori

47 E. Palli, La (prorogata) soppressione delle Autorità d’ambito territoriale ottimale nei servizi pubblici ambientali,

in Istituzioni del Federalismo, 2012, p. 881 ss.

48 In alcuni casi, perfino in presenza di disposizioni normative regionali in tal senso, le figure in

questione non hanno visto la luce, a causa delle ostilità e delle diffidenze degli enti locali nei loro confronti. In Sardegna, ad esempio, gli ATO provinciali, pur previsti dal vecchio Piano regionale di gestione dei rifiuti del 1998, sono rimasti una semplice delimitazione virtuale, non essendo mai stata costituita in ciascuno di essi un’Autorità d’ambito per la gestione unitaria; o, comunque, non si sono di fatto costitute forme consortili tra i comuni rientranti nell’ambito o nei sub-ambiti per garantire l’unitarietà della gestione.

dimensioni50. Il problema non era di poco conto se si considera che la

maggior parte dei Comuni italiani è di piccole o piccolissime dimensioni. Inoltre, anche i Comuni di dimensioni maggiori sono stati ostili all’introduzione delle Autorità, perché l’attribuzione a questi organismi di funzioni decisionali e di controllo in servizi fondamentali per le comunità cittadine si traduceva inevitabilmente in una perdita di controllo da parte del singolo Comune sulla qualità delle prestazioni offerte, con evidenti riflessi sul consenso elettorale51.

Un altro grave problema che ha afflitto tali Autorità è stato quello finanziario; infatti, benché questi Enti fossero stati ideati per ripianare i debiti che la privativa comunale aveva via via accumulato nel corso degli anni, vi fu un fallimento netto, almeno per alcune zone del Paese, nel raggiungimento di questo obiettivo.

Il legislatore, ritenendo dunque questi Enti inutili e costosi ha deciso di abolirli; l’articolo 201 che prevedeva la costituzione delle Autorità d’ambito territoriale ottimale, e la loro competenza di organizzazione, affidamento e controllo del servizio di gestione integrata è stato abrogato dall’art. 186-bis della legge 191/2009, come modificato dall’art. 13, comma 2, della legge

50 Ecco perché, anche in caso di adesione alle forme associative in questione, gli Enti locali, temendo

di perdere il controllo sui servizi locali, pur contribuendo con il loro voto a definirne la volontà, cercano comunque di mantenere un certo potere partecipando a organismi in-house o a società miste a cui l’Autorità d’ambito affida la gestione dei servizi. Ciò sta a dimostrare “una certa sfiducia verso il

ruolo delle AATO, che da queste soluzioni risultano sostanzialmente delegittimate, scavalcate nella forma e sfiduciate nella sostanza da parte dei loro medesimi stakeholders”: così, G. Citroni, A. Lippi, La politica di riforma dei servizi idrici. Istituzioni, processi e poste in gioco, in Le istituzioni del Federalismo, 2006, p. 266.

51 F. Caporale, La soppressione delle Autorità d’ambito e la Consulta: prospettive nella regolazione locale dei servizi

14/2012, lasciando così alla competenza della legislazione regionale il compito di attribuire le funzioni già esercitate dalle Autorità d’ambito medesime52.