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2.1.2 Il concetto di “appartenenza”

Gli artt. 2325 co. 2 e 2462 co. 2 fanno riferimento all’appartenenza in capo alla sola persona delle azioni e dell’intera partecipazione, rispettivamente per le s.p.a. e le s.r.l.

La differente formulazione lessicale delle due norme, non sembrerebbe comportare alcuna differenza della previsione per i due tipi sociali, ma deriva probabilmente dalla differenza tra le azioni, che sono frazioni di capitale standardizzate (individuate in base a un criterio astratto - matematico) e la partecipazione, obbligatoriamente unitaria (e individuata sulla base di un criterio personalistico).

Per quanto concerne il possesso di tutte le azioni di una s.p.a è necessario sottolineare che l’art. 2352 co. 2 né definisce la nozione di azioni né fa riferimento alla titolarità del diritto di voto, che dopo la riforma del 2003 è un elemento naturale, ma non essenziale, per l’acquisto della qualità di socio.

Ne consegue che non si avrebbe una società mono partecipata nel caso in cui il capitale sociale di una s.p.a. fosse rappresentato da azioni con diritto di voto in capo ad un solo socio mentre il restante pacchetto, formato da azioni prive di diritto di voto (con il limite del 50%), appartenesse ad uno o più altri soci.

La stessa ratio si applica al caso visto in precedenza, ma in presenza di azioni a voto limitato o condizionato (ex art. 2351 co. 2, con i medesimi limiti quantitativi visti per le azioni senza diritto di voto) o correlato ad un certo settore dell’attività sociale (ex art. 2350 co. 2). In questi casi il socio non potrebbe comunque “comportarsi da padrone” in quanto parte delle sue scelte verrebbero limitate dal meccanismo delle assemblee speciali.

Mutatis mutandis non può considerarsi, né pensare di diventare a suo piacimento, unico quotista chi possiede la c.d. Golden quota (art. 2468, co. 3 c.c.), che probabilmente non potrebbe attribuirgli il “diritto particolare” di escludere unilateralmente gli altri soci, ma “solo” (e non è poco) quello di esprimere il mero placet sull’ingresso di nuovi soci.

Analoghe considerazioni dovrebbero essere fatte nel caso dell’ipotesi della “vendita del voto”. Questa ipotesi, vietata in altri ordinamenti europei (come quello francese, tedesco e portoghese), in Italia trova specificamente divieto solo dall’art. 233 l.fall78, invece nel Codice civile sembrerebbe possibile attraverso i

c.d. sindacati di voto ex art. 2341-bis.

Nel caso si volesse eludere la norma volendo apparire come socio di maggioranza, intestando la partecipazione di minoranza ad una società controllata si incapperebbe nel combinato disposto degli artt. 2497-sexies e 2359 presumendo la direzione unitaria.

Per un divieto di praesumptio de praesumpto non si può però presumere anche l’unitarietà del possesso, i soci sono formalmente due.

Non si ha l’appartenenza totalitaria anche qualora si possiedano tutte le azioni ordinarie, ma altri soci sono possessori di azioni a voto limitato o condizionato (limite 50%) o correlato ad un certo settore dell’attività sociali. In questi casi, infatti, si applica il meccanismo delle assemblee speciali.

Non sembra sufficiente a realizzare una situazione di unipersonalità avere la titolarità sull’intera quota di un diritto frazionario (usufrutto o pegno), pur accompagnato da diritto di voto. La posizione del dominus del diritto minore è sempre condizionata sia dalla necessità di tenere conto dell’interesse del concedente, sia dalla permanenza in capo a quest’ultimo di taluni diritti amministrativi.

La contitolarità è un fenomeno qualitativamente diverso rispetto a una situazione di appartenenza esclusiva, in quanto questa risulta intrinsecamente caratterizzata da una dialettica interna finalizzata a ricondurre la volontà dei singoli a volontà unitaria

Alla luce di queste motivazioni viene a mancare il dominio incontrastato, base per l’unipersonalità.

78 Ai sensi dell’art. 233 l.Fall, rubricato Mercato di voto: “Il creditore che stipula col fallito o con altri

nell'interesse del fallito vantaggi a proprio favore per dare il suo voto nel concordato o nelle deliberazioni del comitato dei creditori, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103. La somma o le cose ricevute dal creditore sono confiscate. La stessa pena si applica al fallito e a chi ha contrattato col creditore nell’interesse del fallito”.

Simmetricamente, quando l’unico socio fondatore costituisce un diritto frazionario sulla sua quota, questo vale a determinare una vicenda equivalente a quella derivante dalla sopravvenienza della pluralità dei soci.

Sembra da escludere (e in ogni caso avrebbe un’utilità marginale) il cumulo della condizione di unico socio con lo status di portatore di diritti particolari inerenti l’amministrazione societaria e/o la distribuzione di utili.

L’attribuzione di diritti particolari può essere a favore solo di singoli soci sulla base delle loro caratteristiche soggettive e non in base a criteri astratti ed oggettivi, o in base alla percentuale di partecipazione al capitale sociale79.

Nel caso della società mono partecipata, l’unico socio rappresenta necessariamente la totalità quindi se tutta la partecipazione al capitale sociale da un diritto, questo non è più particolare.

Niente vieta all’unico socio fondatore di attribuirsi, in ogni caso, dei diritti particolari, i quali però diventeranno davvero tali solo qualora si aprisse la compagine societaria a terzi o vengano nominati amministratori diversi dal socio80.

Nella s.p.a. la presenza di associati in partecipazione e di soggetti titolari di strumenti finanziari partecipativi (anche se muniti di diritti amministrativi ex art. 2346 ult. co., c.c.) non sembra essere di ostacolo alla configurabilità dell’unipersonalità.

Per questo motivo queste figure rappresentano un’opportunità per il singolo socio, il quale può ottenere la collaborazione di tali soggetti, tramite capitale o, per la s.p.a., prestazione d’opera. Gli stessi strumenti possono essere utilizzati per coinvolgere nella gestione i dipendenti ai sensi dell’art. 2349 co. 2.

L’utilizzo di questi strumenti però ha anche un rovescio della medaglia per l’unico socio, in quanto potrebbe perdere il suo appeal nei confronti dell’amministratore/sindaco indipendente e, in caso di strumenti convertibili in azioni, anche lo status di socio unico.

79 REVIGLIONO, sub art. 2462, in COTTINO, BONFANTE, CAGNASSO, MONTALENTI (diretto

da), Il nuovo diritto societario. Commentario, Bologna, 2004, p. 1807.

Riassumendo, dopo la riforma del 2003, quindi, essere l’unico socio non significa necessariamente essere il dominus incontrastato della società: può avere il voto totalitario in assemblea chi non sia da solo, ad esempio perché circondato da soci senza diritto di voto o a voto limitato e può esserne privo chi, pur detenendo l’intero capitale sociale, deve confrontarsi con titolari di strumenti finanziari dotati di diritti amministrativi81.

Allo stato attuale il controllo non coincide necessariamente con la proprietà della società. Si può verificare quindi la coesistenza all’interno della stessa società di azionisti anche senza diritto di voto, co finanziatori anche con diritto di voto.

Si va delineando una realtà gestoria sempre più liquida, nella quale, da un lato, soprattutto nel caso di azionariato estremamente diffuso, le minoranze qualificate possono controllare le assemblee e/o accentrare in mano ai managers l’esercizio di prerogative quasi sovrane ed autoperpetuandosi, dall’altro, la concentrazione dell’intero capitale sociale nelle mani di un solo socio può non bastare a renderlo dominus incontrastato.

Basti pensare che la posizione del socio unico potrebbe essere indebolita da portatori di strumenti finanziari partecipativi dotati del diritto di voice, che può diventare un vero e proprio diritto di veto e, per la s.r.l., dalla golden quota che potrebbe portare a una posizione di plus potere in capo a un socio, indipendentemente dall’entità delle risorse e dal rischio da questo assunto.