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Ho detto che, per risolvere il problema dell’accavallamento semantico, forse conviene abbandonare la distinzione terapia/miglioramento e parlare invece di “miglioramento relativo alla salute” e “miglioramento non relativo alla salute”. Un intervento, nel caso specifico un biopotenziamento, appartiene alla prima categoria se è mirato al trattamen- to degli individui che soffrono di malattie, invalidità o menomazioni, nel tentativo di riportarli allo stato di salute; mentre invece appartiene alla seconda se è teso a potenzia- re una o più caratteristiche di un individuo sano. Un esempio del primo caso è quello che vede lo sviluppo e l’impianto di un apparato visivo bionico che consenta di restituire la vista a chi l’abbia persa in un incidente o per una malattia. Un esempio del secondo caso, è l’impianto di un apparato visivo bionico in un individuo senza problemi di vista, per permettergli di percepire uno spettro di frequenze superiori a quello dell’occhio umano. Sfruttando questa distinzione, basta poter identificare una patologia per autorizzare il biopotenziamento. Un altro vantaggio di questo approccio è che per individuare una malattia o una menomazione bisogna effettuare una diagnosi, cioè un procedimento che aspira ad essere altamente oggettivo e osservabile. Infine essa ha il vantaggio di essere semplice e, soprattutto, coerente con buona parte della pratica medica, perché attualmente i biopotenziamenti sono quasi tutti sviluppati con lo scopo di migliorare le condizioni di chi non è in salute. Eppure i problemi non mancano. CLAUSOLA DELLA PREVENZIONE: Anzitutto ci troviamo in difficoltà con le pratiche

mediche volte alla prevenzione, le quali spesso si concretizzano in miglioramenti. Se la nozione di “miglioramento” deve servire a tracciare un limite oltre il quale il medico non svolge più il compito di guaritore, allora bisogna subito aggiungere una clausola per includere tra i “miglioramenti relativi alla salute” tutti quegli interventi medici che aumentano certe caratteristiche biologiche innate, di fatto migliorandole, con il solo scopo di prevenire l’insorgere di certe patologie: dopotutto la profilassi spesso consiste nel rafforzare, e dunque potenziare, la capacità di un corpo sano. A questo punto però, secondo questa concezione, non è più necessario dover diagnosticare una patologia per giustificare un biopotenziamento: basta avere la prospettiva di una possibile patologia. Ma allora sorge spontanea la domanda: se avessimo tutti un corpo e una mente biopo- tenziati, non saremmo generalmente più resistenti alle malattie e, quindi, più in salute? E se, da un punto di vista economico, al sistema sanitario convenisse prevenire le patologie croniche piuttosto che curarle, non sarebbe opportuno attuare programmi per

il biopotenziamento di massa? Sembra un’ipotesi plausibile. Forse allora è arbitrario limitarsi al miglioramento del sistema immunitario (come già facciamo con i vaccini obbligatori), e conviene espandere il concetto di “salute” in modo da comprendere la profilassi di tutte quelle patologie di larga diffusione, quali il cancro, il diabete, le malattie cardiovascolari. Ma a questo punto, non possiamo più essere sicuri del fatto che la profilassi non includa anche un vero e proprio miglioramento di alcune funzionalità innate del soggetto. E allora anche la distinzione tra “miglioramento relativo alla salute” e “miglioramento non relativo alla salute” non sembra così chiara e precisa.

ELASTICITÀ NOSOLOGICA: Inoltre, non bisogna dimenticare che, siccome in medicina

non esiste, e non potrebbe d’altronde esistere, un elenco completo e definitivo di tutte le malattie e menomazioni riscontrabili nell’uomo; e che non c’è un canone univoco per stabilire quali fenomeni debbano essere ricondotti a una patologia e quali no; allora la decisione se un trattamento sia terapeutico o migliorativo alla fine spetta in larga parte all’occhio esperto dei singoli professionisti. Ma, siccome “non è difficile coniare nuove malattie allo scopo di giustificare l’uso di interventi migliorativi”7, la concezione medica lascia la decisione sulla legittimità dei vari biopotenziamenti in balìa di una certa “elasticità nosologica”: l’interpretazione di un quadro clinico rischia di essere condizionata dal contesto socioculturale e dagli interessi in cui il singolo medico opera. A tal proposito non bisogna sottovalutare l’influenza che in questo tipo di interventi possono esercitare gli interessi economici delle cliniche private e delle aziende impe- gnate nello sviluppo di tecnologie NBIC.

GLI SCOPI DELLA MEDICINA: Per concludere, il problema centrale della concezione

medica per distinguere terapia e miglioramento è che i concetti di “malattia” e “salute” non sono così ovvi e, soprattutto, non dipendono esclusivamente dal progresso delle scienze mediche. In buona sostanza non c’è più una concezione univoca di quali siano gli scopi della medicina8; e comunque, ormai non è più possibile sostenere che la salute sia un problema esclusivamente medico. Si tratta infatti di un concetto centrale per almeno altre due categorie di soggetti. Da una parte c’è il singolo individuo: la salute in questo senso è parte integrante del benessere personale, una relazione intima tra sé stessi e il proprio corpo. D’altra parte c’è la collettività: la salute dei singoli cittadini è anche questione di igiene pubblica e come tale rientra negli interessi dello Stato. Questo per dire che la distinzione terapia/miglioramento, se dev’essere stabilita in base al concetto

7 Juengst, op. cit., p. 34.

di “salute”, allora deve farsi carico di tre istanze. Quella medica, storicamente prepon- derante, di oggettività scientifica; quella pubblica, di salvaguardia e promozione del benessere dei cittadini; e quella privata, più moderna, che viene sollevata nelle società liberali dalle singole persone in base al diritto di autonomia sulle scelte che riguardano il proprio corpo.

Dunque, adottando la concezione medica, ci esponiamo al rischio di abusi e decisioni arbitrarie, siamo costretti a dover trovare una definizione di salute univoca e stabile, e comunque rischiamo di arroccarci su una posizione alquanto limitata e obsoleta. Come uscire da questa strettoia?