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Euristica della paura o pendio scivoloso?

L’euristica della paura è un metodo di scelta morale e politica esplicitato da H. Jonas nel suo trattato di etica per la civiltà tecnologica52. Secondo Jonas per poter valutare le implicazioni morali degli interventi tecnologici che hanno effetti a medio e lungo termine (e i biopotenziamenti rientrano in questa categoria), dobbiamo innanzitutto estendere il nostro sapere previsionale: solo con una conoscenza, per quanto probabili- stica, delle condizioni future del mondo, ci mettiamo nella condizione di poter coniugare i nostri principi morali con delle scelte pratiche. Quindi, siccome nella

49 Ivi, p. 141. 50 ibidem

51 ibidem, corsivo mio.

52 Jonas H., op. cit., p. 34. Per inciso, il libro di Jonas non viene mai citato da Fukuyama, né è stato

inserito nella bibliografia, anche se tratta sostanzialmente lo stesso argomento e lo fa con una cognizione ben più argomentata.

valutazione morale conviene considerare anche le conseguenze, dovremmo già da subito elaborare una “scienza delle previsioni ipotetiche, una futurologia comparata”53. Poi, una volta ipotizzati i molteplici scenari futuri, sono gli stessi principi della morale a indicarci il metodo con cui valutarli. Secondo Jonas infatti, solo la conoscenza del male può rivelarci il bene:

“come non conosceremmo la sacralità della vita se non esistesse l’omicidio [...], o non co- nosceremmo il valore della veridicità se non ci fosse la menzogna né la libertà se non ci fosse la schiavitù e così via, così anche nel nostro caso [...], soltanto il previsto stravolgi-

mento dell’uomo ci aiuta a formulare il relativo concetto di umanità da salvaguardare;

abbiamo bisogno della minaccia dell’identità umana [...] per accertarci angosciati della rea- le identità dell’uomo.”54

È per questo che dovremmo applicare un’euristica della paura, perché è molto più facile percepire ciò che è male per noi, “mentre il bene può passare inosservato”55. Questo passaggio però non è ben chiaro e sembra che Jonas trascuri un intero aspetto della faccenda: quando si cerca di valutare un’azione, bisogna sì cercare di prevederne le conseguenze più negative, ma bisogna anche porsi qualche domanda circa le motivazio- ni. Se voglio agire in un certo modo, devo sicuramente cercare di prevedere gli effetti del mio intervento, ma non posso trascurare le mie ragioni: e se, dopo un’attenta riflessione, trovo delle ragioni moralmente buone per agire in quel modo, significa anche che mi aspetto di ottenere delle conseguenze positive. Questo implica che, se si adotta l’istanza conseguenzialista, bisogna prenderla in toto e includere nella previsione valutativa sia gli effetti negativi sia quelli positivi, sia i costi che i benefici. Eppure, secondo Jonas abbiamo tre buone ragioni per “prestare più ascolto alla profezia di sventura che non a quella di salvezza”56. Esaminiamole:

LA TECNICA VA AVANTI PER GRANDI IMPRESE AZZARDATE: a differenza dell’evoluzione

naturale, la tecnica moderna procede tramite “pochi e colossali interventi”57 mirati a ottenere degli effetti rapidi. Secondo Jonas c’è una sinergia tra le dimensioni e il ritmo dell’intervento tecnologico, il quale, configurandosi come una corsa verso l’utopia, non permette di correggere gli errori e ci mette in una condizione di pericolo costante (perché non è possibile prevedere tutti gli effetti).

Questa è senza dubbio un’ottima ragione per agire con prudenza, ma non mette in discussione l’intervento tecnologico in quanto tale. Per inciso, Jonas non chiarisce un

53 Ivi, p. 34.

54 Ibidem, corsivo mio. 55 Ivi, p. 35.

56 Ivi, p. 39. 57 Ivi, p. 40.

particolare a mio parere sostanziale: la ricerca tecnica e scientifica procede grazie ad esperimenti, tramite prove ed errori e non si capisce quali siano queste grandi imprese azzardate. In realtà la forza che agisce nel modo paventato da Jonas, la realtà in cui quotidianamente si mettono grandi poste in gioco nella speranza di ottenere “realizza- zioni escatologiche” non è la ricerca scientifica e tecnica, bensì il mercato. Che poi la prima sia ormai sottoposta alle leggi del secondo è una questione di ordine politico ed esula dall’ambito di questa tesi.

LA TECNICA PROCEDE COME UNA REAZIONE A CATENA: siccome gli sviluppi tecnici

avanzano con una dinamica cumulativa che tende all’autonomia, secondo Jonas, il processo di ricerca e applicazione tecnica, oltre ad essere irreversibile, acquista “una funzione propulsiva al punto da trascendere la volontà e i piani degli attori”58. Quindi, se “prendiamo in mano la nostra evoluzione” cadiamo vittime di un’illusione perché, dopo il primo passo, “al secondo e ai successivi siamo già schiavi”59. Questo modo di

vedere la dinamica della tecnica è, a mio parere, pericoloso. La questione dev’essere chiara: l’uomo può controllare la tecnologia oppure no? Se può controllarla, allora è possibile parlare di un’etica per la civiltà tecnologica, favorire o meno la ricerca in certi ambiti, e stabilire leggi atte a regolamentare l’applicazione di certe tecniche. Se invece la Tecnica (qui la T maiuscola è d’obbligo) procede in modo autonomo possiamo fare solo tre cose: studiarla con metafisico distacco per cercare di comprenderne il significa- to, rassegnarci perché le cose vanno per forza come devono andare, oppure cercare di porre questo fenomeno sotto il “nostro” controllo. In ogni caso, una delle condizioni di possibilità per una “tecnoetica” è che l’uomo possa influire sullo sviluppo tecnologico e possa scegliere se e come usare i mezzi tecnici, anche su se stesso.

LA NATURA UMANA È SACROSANTA: giungiamo al centro della questione, “su un piano

meno pragmatico”60 scrive Jonas, ma forse sarebbe più opportuno dire “su un piano più metafisico”. La vera ragione per cui dobbiamo prestare più ascolto alla paura rispetto alla speranza è “che c’è da conservare l’eredità di un’evoluzione precedente”61, ovvero la natura umana. Siccome questa natura è intesa da Jonas come “sufficienza per verità, giudizio di valore e libertà”62, quindi come apertura originaria della morale stessa, ed è

58 Ivi, p. 41. 59 Ibidem 60 Ibidem 61 Ibidem 62 Ivi, p. 42.

“qualcosa di unico e straordinario nel flusso del divenire dal quale ha avuto origine”63, allora ha un valore infinito. Di conseguenza non dev’essere né minacciata né manipola- ta, tantomeno per scopi di miglioramento. La paura di Jonas è quella di perdere una caratteristica insita nell’idea ontologica di uomo64, e cioè la possibilità stessa di agire in modo morale.

CONCLUSIONE: Prima di passare alla discussione sul valore dell’essere-così dell’uomo,

voglio trarre alcune conclusioni sull’euristica della paura. Innanzitutto credo di poter affermare che si tratti di un modo di procedere parziale, e questo per la ragione già espressa: se bisogna considerare le conseguenze, allora la coerenza impone di valutare il rapporto tra costi e benefici. Quindi l’euristica della paura dovrebbe essere accompagna- ta da un’euristica della speranza. Poi, nella previsione di scenari futuri, sembra poco ragionevole dare troppo peso alle prospettive estreme, soprattutto nel caso del biopoten- ziamento. La libertà di potersi migliorare grazie alla nuova convergenza tecnologica non implica né scenari apocalittici (come vorrebbero Jonas e altri “bioluddisti”), né un’escatologia utopica (come vorrebbero alcuni transumanisti). Discuterò più avanti i problemi di ordine sociale derivati dall’uso distorto delle tecnologie per il biopotenzia- mento, in quanto non costituiscono un’obiezione di principio alla MCT.

10.6 I padri fondatori avevano ragione? Uguaglianza, dignità umana e liberalde-