Il punto comune su cui fanno leva gli argomenti dell’hybris è che questa tentazione ad agire senza limite sottenderebbe una “falsa concezione” di ciò che ci è stato dato, nonché un’impropria disposizione nei suoi confronti. Il biopotenziamento, come molti altri interventi tecnici sulla natura, dimostrerebbe l’incapacità di apprezzare e rispettare il nostro corpo come qualcosa che ci è stato donato. Questo del dono è forse il fulcro morale degli argomenti dell’hybris:
PRINCIPIO MORALE 1: Ogni dono in quanto tale merita rispetto.
Chiaramente questo principio dev’essere corredato dalla
TESI 1: L’uomo è un donatario; noi non siamo completamente frutto di noi stessi.
Dunque, secondo l’argomento dell’hybris, l’uomo è già da sempre in debito, o con Madre Natura o con Dio, perché non è di fatto completamente artefice di se stesso.
MASSIMA MORALE DEL RISPETTO ASSOLUTO: Dovremmo agire con rispetto e umiltà nei
confronti di ciò che ci è stato dato.
Qui “dono” va inteso in senso lato: da una parte può veramente essere ciò che Dio stesso ci ha dato, dall’altra può anche essere inteso come “tutto ciò che abbiamo trovato
36 PCB, op. cit., p. 288. 37 ibidem
38 Abbagnano N., Dizionario di Filosofia, UTET Libreria 2001, p. 547. 39 ivi, p. 716.
in natura”. In entrambi i casi, si assume che il dono non debba essere soggetto comple- tamente all’arbitrio del donatario. Perché?
Forse bisogna fare una distinzione. Da una parte c’è il valore morale del dono come riflesso del rispetto che il donatario ha nei confronti del donatore; questo valore non dipende dalla sostanza del dono, bensì dalla persona donatrice. Dall’altra abbiamo il valore che il dono può avere in relazione alla (qualità della) vita del donatario e questo sì deriva dalle qualità di ciò che si riceve.
Secondo l’argomento dell’hybris noi siamo chiamati al rispetto della natura umana in quanto opera di Dio o di Madre Natura. Ma qui spunta un dubbio. Poniamo che il valore relativo del dono sia nullo o addirittura negativo (cioè che si riveli un danno per la vita del donatario): se il donatario volesse comunque agire nel rispetto del donatore, sarebbe moralmente costretto a non manipolare ciò che ha ricevuto? Questa conclusione sembra poco plausibile.
OBIEZIONE ALLA MASSIMA DEL RISPETTO ASSOLUTO: Chi riceve un dono è ragionevol-
mente legittimato a intervenire sullo stesso con lo scopo di trarne qualcosa di buono per la sua vita, pur tenendo alto il rispetto nei confronti del donatore.
Il bioconservatore qui può sollevare due serie di risposte così riassumibili: (1) ciò che è bene per l’uomo, lo sa meglio il donatario (Dio o Madre Natura) dell’uomo stesso; (2) se siamo fatti in questo modo un motivo c’è e noi non lo conosciamo, quindi è meglio astenersi. Entrambe queste classi di affermazioni sono però pericolose perché, sebbene non siano necessariamente false, se usate per ribattere all’obiezione contro il rispetto assoluto sottendono un atteggiamento mentale pericolosamente oscurantista e del tutto inaccettabile, anche per il più intransigente dei bioconservatori. La proposizione (1) non solo accoglie in senso fatalista la presunta minorità dell’essere umano, ma contraddice la positività dell’intero sviluppo tecnoscientifico. La (2) invece nasconde un’implicazione inaccettabile perché, portata alle sue coerenti conseguenze, conduce alla mera giustificazione di ogni evento.
Comunque, non c’è bisogno di prendere in esame la storia della tecnologia per capire che la massima morale del rispetto assoluto è stata sempre e sistematicamente disattesa da Homo sapiens. La nostra specie di fatto si è co-evoluta con la tecnologia, cioè ha già da sempre manipolato l’ambiente e il proprio corpo onde trarne vantaggio sia nella lotta per la sopravvivenza, sia nella competizione sociale. Con questo non voglio sostenere che siccome l’uomo ha sempre agito in un certo modo, allora questo modo di agire sia
giusto, ma voglio solo mettere in evidenza la problematicità conseguente l’ostinata assunzione di un atteggiamento di minorità mentale.
TESI DELLA NECESSITÀ DELL’INTERVENTO: la tecnologia, intesa in senso lato come
manipolazione intenzionale e finalizzata dell’ambiente (natura compresa), è necessaria alla sopravvivenza della nostra specie.
Non credo che sia possibile negare questa tesi. Supponiamo tuttavia di voler ancora interpretare e applicare in modo rigoroso la massima del rispetto. Ciò è possibile? Bisogna chiarire che cosa significa agire con umiltà e rispetto. Per quanto riguarda l’umiltà, a patto che non si riveli una pusillanimità mascherata, possiamo sempre farne una virtù di prudenza e, se è vero che la saggezza conviene, è sempre razionale adottare un atteggiamento umile, non tanto rispetto al mondo quanto nei confronti della scarsità e della fallibilità delle nostre conoscenze. Passando invece al rispetto, un’interpretazione rigorosa della prima massima sostenuta dal PCB ci metterebbe in una situazione di stallo: essa è infatti in antitesi col libero arbitrio (che è fondamento della possibilità di ogni morale), a tal punto da annichilire la possibilità stessa di un’azione qualsiasi, figuriamoci poi quella di un’azione morale. Se infatti l’uomo dovesse rispettare in modo assoluto tutto ciò che gli è stato dato, si troverebbe costretto o a non intervenire mai, né sul mondo né su se stesso, oppure a concludere che, facendo parte egli stesso dell’ordine naturale delle cose, tutte le sue azioni rientrerebbero in tale ordine e quindi l’una varrebbe l’altra. Entrambe le conclusioni sono tanto nichiliste quanto paradossali.