• Non ci sono risultati.

Il principio di precauzione della salute personale

Ora, schematizziamo il ragionamento di partenza chiedendoci qual è la condizione di possibilità per sollevare un allarme sulla sicurezza della salute:

• in un sistema organico, l’azione diretta su una parte avrà sempre effetti collatera- li sulle altre parti ad essa strutturalmente connesse e, indirettamente, sul sistema nel suo complesso

• il corpo umano è un sistema organico di cui, allo stato attuale, conosciamo solo parzialmente il funzionamento

• il biopotenziamento è un’azione diretta (e limitata) ad una parte perché è un intervento focalizzato all’aumento di una facoltà prestabilita

• ora, proprio a causa della nostra parziale conoscenza del corpo umano, non pos- siamo di fatto prevedere tutti gli effetti di un biopotenziamento, quindi non siamo mai esenti dal rischio d’incorrere in effetti collaterali negativi per la salute In base a ciò, possiamo forse giungere alla conclusione che, siccome non conosciamo tutti gli effetti dei biopotenziamenti sulla nostra salute, soprattutto quelli a medio e lungo termine, allora dovremmo astenerci completamente dal soddisfare i nostri desideri di miglioramento personale con i mezzi tecnoscientifici? Io non credo. Se la minima possibilità di rischio dovesse sempre impedire un intero corso d’azione, sarebbero ben poche le attività (anche quotidiane) che svolgeremmo e ancora meno i progressi che otterremmo. Riflettere sugli azzardi a cui andiamo incontro quando ricerchiamo e applichiamo gli ultimi ritrovati della tecnologia, è un’ottima scelta di razionalità e ci impone certamente di adottare un atteggiamento di prudenza e riduzione del rischio, ma non implica il totale rigetto del nuovo. Le ricerche coinvolte nelle tecnologie NBIC a scopo migliorativo si muovono di fatto in un contesto medico altamente controllato e, a meno che non vengano messe al bando e relegate alla clandestinità, non c’è motivo di temere alcunché; in secondo luogo, nulla toglie che il progresso tecnologico e scientifi- co aiuterà a prevedere e limitare gli effetti indesiderati dei vari biopotenziamenti.

Il problema per l’etica privata sorge allora solo quando adottiamo anche la seguente massima:

PRINCIPIO DI PRECAUZIONE DELLA SALUTE PERSONALE: incorrere coscientemente nel

rischio di menomare la propria salute per motivi futili è moralmente ingiustificabile. A prima vista questa regola ci sembra pienamente condivisibile, ma, ad un’analisi più attenta, scopriamo che solleva più problemi di quanti ne risolva (non a caso è una forma del principio di precauzione). La prima cosa da notare in proposito è che molte attività, anche quelle gratuite, o meglio “ludico-ricreative”, come certe discipline sportive, sono intrinsecamente pericolose: anzi, come visto nel capitolo 7 a volte sono proprio il disprezzo del pericolo e la temerarietà ad essere ammirate e nobilitate nell’attività umana. In ogni caso, dal momento che sembra impossibile distinguere in modo netto e definitivo tra discipline innocue e discipline pericolose, ci troviamo in un punto di stallo. Potremo dare dell’incosciente a tutti i paracadutisti sportivi, ma a quel punto anche la discesa libera con gli sci sembrerebbe non meno azzardata. Perché condannare il rischio a cui si sottopone qualche pioniere del biopotenziamento e tollerare tutte le altre attività potenzialmente letali?

Questa domanda ci porta direttamente al secondo punto dolente, quello sollevato dall’espressione “per motivi futili”: se il principio di precauzione fa riferimento alle motivazioni dell’agente, significa che la sua validità è relativa alle speranze e alle convinzioni di ognuno e, pertanto, può al massimo funzionare da provocazione d’apertura per un dibattito su cosa sia un motivo “futile” e cosa no. Nel nostro caso penso sia plausibile assumere che chi si sottoponga a un biopotenziamento possa farlo per dei motivi niente affatto futili, primo fra tutti la speranza di ottenere un concreto miglioramento della propria condizione esistenziale. Analizzerò più a fondo la questio- ne nell’ultimo capitolo.

Per adesso la cosa importante è sottolineare come il principio di precauzione sia riducibile a un puro e semplice, seppur importante, consiglio di carattere prudenziale. Ognuno infatti ha il diritto di valutare cosa sia giusto sacrificare in vista di determinati risultati: per esempio, nessuno dovrebbe sentirsi autorizzato a obbligare una persona molto studiosa a limitare le ore passate sui libri con la scusa che così facendo corre il rischio di menomare la propria salute. Sarebbe come affermare che in fin dei conti c’è un modello di vita ottimale unico per tutti.

Il problema etico in questo caso si riduce a un problema di limite: fino a che punto è legittimo sacrificare la propria salute e la propria incolumità pur di migliorarsi? Secondo i bioconservatori la risposta è ovvia: fino al punto per andare oltre il quale saremmo costretti a impiegare biopotenziamenti. Ora però la scelta di questo limite pone due

grossi dubbi. Anzitutto, si tratta di un’opinione che può quasi sempre essere contenuta all’interno della sfera privata, purché siamo disposti ad ammettere che una persona adulta e beneficiaria di diritti sia anche padrona della propria vita. Dal punto di vista morale, infatti, l’autodeterminazione e la libertà di perseguire la propria concezione di vita, sono valori troppo importanti per essere sottoposti all’ingerenza invadente dello stato o di qualsiasi altro organo di potere. Pertanto, il principio di precauzione può solo servire come avvertenza di carattere prudenziale. In secondo luogo, stabilire il biopo- tenziamento come limite morale sembra una scelta alquanto arbitraria, dal momento che questo tipo di tecniche non sono intrinsecamente più pericolose di altre. Anzi, nell’ottica transumanista una delle motivazioni portanti a favore dell’utilizzo delle nuove tecnolo- gie è proprio la speranza di poter migliorare la nostra salute.

Ciò detto, bisogna anche ammettere che la questione può contribuire quantomeno a sollevare due ordini di problemi non trascurabili. Per quanto riguarda l’etica “privata”, la critica del PCB, per quanto non sia capace di ottenere i risultati sperati, finisce lo stesso per aprire una importante questione circa la concordanza tra il desiderio di potenziarsi e l’effettivo miglioramento delle proprie condizioni di vita: fino a che punto il biopotenziamento personale è realmente ciò che ci serve per vivere meglio? Ovvero, se la massima di precauzione della salute personale ha un merito, è quello di sollevare il dubbio sul modo in cui usiamo (noi, membri di società tecnologicamente avanzate) la tecnologia e, a un livello più generale, sull’efficacia delle direzioni in cui cerchiamo un miglioramento.

Se invece la critica bioconservatrice basata sul rischio per la salute pretende di estender- si all’intera comunità morale, corre il rischio di scadere in un indebito richiamo al conformismo. In ultima istanza, essa sembra infatti motivata dalla paura più che dalla ragione, dal pregiudizio più che dall’interesse conoscitivo: l’imprevedibilità di quelle che sono percepite come “nuove diavolerie”, unita al rimprovero di chi sopravvaluta lo sviluppo tecnoscientifico come fonte di benessere. L’importante a tal proposito è rifiutare l’arroccamento nella posizione conservatrice per la quale le cose “vanno già bene così come sono” (e in seguito vedremo un argomento studiato proprio per mettere in crisi una volta per tutte questa posizione). Anche e soprattutto per quanto riguarda la salute, la convergenza delle tecnologie NBIC potrà fornire grandi risultati, ed è impos- sibile pensare sul serio di rinunciare a tale possibilità solo per paura di cambiare. È anche vero che lo sviluppo di nuove tecniche non implica necessariamente un reale progresso, ma tale discordanza deriva soprattutto dal cattivo uso che ne facciamo.

In conclusione, non è possibile sollevare un argomento specifico per condannare il biopotenziamento dal punto di vista della salute personale. Si può fare una cosa del genere solo argomentando contro il desiderio di migliorarsi tout court, a prescindere dalla tecnica utilizzata, sostenendo che è irrazionale, e per certi versi immorale.