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Il dedalo della psicofarmacologia cosmetica

Veniamo ora alle obiezioni sollevate contro l’uso delle tecnologie NBIC per migliorare il proprio umore. La ricerca farmaceutica applicata ai processi neurali del comportamen- to sta facendo passi da gigante nello sviluppo di sostanze capaci di alterare l’umore e manipolare la memoria umana. Queste nuove possibilità sembrano porre un’insormontabile congerie di problemi morali, che spaziano dal dilemma del libero arbitrio al dubbio sull’autenticità delle nostre emozioni. Si tratta senza dubbio di una prospettiva alquanto intricata e di difficile soluzione, nei confronti della quale il mio proposito si limita al tentativo di portare un po’ di chiarezza tra le molteplici questioni coinvolte. Data la fattibilità di certi interventi sulla nostra psiche, chiedersi se sia moralmente accettabile usare mezzi come gli psicofarmaci per cancellare il ricordo di eventi sgradevoli o sollevare il proprio stato d’animo, anche a prescindere da esigenze di carattere terapeutico, è una domanda che non può trovare risposta immediata e generale. Questo ostacolo intellettuale è dovuto in larga parte al fatto che molte altre domande, per così dire, preliminari a quella succitata restano ancora in sospeso. E quando dico “ancora”, intendo riferirmi a un lasso di tempo che ha dell’epocale: domande del tipo “qual è il modo giusto per migliorare il nostro umore?” e “che senso ha potenziare le nostre emozioni a prescindere dalla terapia?” rimandano pericolosa- mente alla questione esistenziale “che cos’è la felicità?”, questione che impegna il pensiero umano fin dalle sue stesse origini. Tuttavia, credo sia possibile addentrarsi nell’argomento senza troppe pretese, se non il desiderio di portare alla luce certe implicazioni nascoste nel nostro modo di pensare, e la speranza di cercare una maggiore coerenza di opinioni, evitando al contempo di fissare risposte definitive.

Ora, nel trattare i risvolti morali della psicofarmacologia cosmetica, conviene sempre tenere ben distinti due ambiti: da una parte c’è il libero individuo che vuole ottenere ed esercitare un maggior controllo sulla propria vita e quindi anche sulle proprie esperienze e il proprio stato d’animo; dall’altra abbiamo i risvolti propriamente morali di tale controllo, circoscritti alle implicazioni sociali del biopotenziamento della psiche. Questa distinzione ci viene in aiuto perché consente subito di ridimensionare un’intera classe di problemi sollevando un argomento molto semplice e diretto.

L’ARGOMENTO DELL’ETICA LIBERALE: In un’etica che (1) ha come principio la libertà

personale, e (2) garantisce ad ogni individuo il diritto di poter perseguire la propria felicità, l’uso di tecniche finalizzate a recuperare/ raggiungere il benessere emotivo e psichico personale non dovrebbe essere problematico, purché le conseguenze restino circoscritte all’ambito del privato e non danneggino il prossimo. In buona sostanza, ogni cittadino adulto dovrebbe essere libero di cercare la felicità con i mezzi che ritiene più appropriati.

Questa libertà nella ricerca del benessere privato è strettamente correlata al diritto all’autonomia individuale dei membri di una società democratica, cosa che, nel caso in esame, rende alquanto difficile stabilire dei limiti morali. Se avessi a disposizione una qualche sostanza capace di indurmi uno stato di benessere senza causare gravi effetti collaterali, perché dovrei ritenerne immorale l’uso? Se ci sono ricordi così sgradevoli da provocare continue sofferenze, perché non dovrei usare qualsiasi mezzo per recuperare la mia tranquillità mentale? Anche se qualcuno non fosse d’accordo con l’impiego di mezzi artificiali per l’alterazione del proprio umore e della propria memoria, non potrebbe di certo affermare che io stia compiendo un atto indegno: al massimo potrebbe dirmi che sto sbagliando nei confronti di me stesso, ma avrebbe non poche difficoltà a dimostrare che non ho il diritto di agire in quel modo. Dopotutto, esistono altre tecniche per la manipolazione della psiche, tecniche che sembrano non comportare alcun dilemma morale. La psicoterapia è una di queste. Anzi, il bioprogressista potrebbe addirittura sostenere che le tecniche NBIC siano più etiche perché dipendono esclusi- vamente da una scelta personale, mentre le sedute dallo psicanalista comportano la necessità di delegare parzialmente a un’altra persona il controllo sulla propria felicità. È difficile rispondere negativamente all’argomento dell’etica liberale senza propendere per una limitazione, anche solo parziale, dell’autonomia individuale. Tuttavia veti del genere sono di fatto sostenuti e perfino inclusi nei codici giuridici di molte nazioni, e non interessano solo persone incapaci di intendere e di volere o comunque immature, ma anche cittadini adulti e con diritto di voto. Il caso di studio a cui alludo è il consumo di sostanze stupefacenti, fenomeno al quale l’uso delle nuove tecnologie NBIC per il miglioramento dell’umore potrebbe essere paragonato. Molte droghe sono i mezzi tradizionali usati dall’uomo per alterare la propria emotività e contengono principi attivi psicotropi culturalmente accettati (come l’alcol nel nostro paese); altre invece sono di nuovissima concezione e vengono vendute come farmaci, mentre altre ancora sono illegali e soggette a campagne politiche di repressione e pubbliche condanne. Alla base

di tale squilibrio legale e morale dobbiamo riconoscere una confusione concettuale molto grave per una società che voglia definirsi “civile”: grave non solo perché è indice dell’atteggiamento ipocrita con cui molte persone affrontano il problema, ma soprattutto perché ha tutta l’aria di non prendere sul serio un tema di grande importanza per la vita di tutti noi, quello del benessere personale.

Il parallelo con le sostanze stupefacenti impone una direzione nell’analisi dell’uso di tecnologie NBIC per il miglioramento del proprio umore: onde evitare di ricadere in distinzioni infondate o traballanti (come quella tra stupefacenti, farmaci e droghe tradizionali), conviene considerare in generale i risvolti morali che intercorrono tra noi stessi e il modo in cui ci rapportiamo col nostro benessere in tutte le pratiche di modificazione dell’umore, tenendo a mente la distinzione tra etica pubblica e privata già espressa nell’introduzione. Questo approccio generale è necessario perché altrimenti si corre il rischio di ritornare subdolamente alla distinzione terapia/miglioramento per discriminare alcune pratiche come biasimevoli mentre altre, con effetti simili o identici, sono giuste o comunque neutre. Se infatti l’imputazione morale non può ricadere sugli strumenti perché deve riconoscere spazio alla piena responsabilità dell’agente, allora non sarà possibile decidere in anticipo se l’applicazione di una determinata tecnica sia riprovevole o approvabile

Pertanto, l’analisi dovrebbe procedere più a fondo, fino a indagare le più intime e, allo stesso tempo, storiche cornici concettuali a partire dalle quali l’uomo conferisce senso alla propria vita. Ovviamente, non è questa la sede per spingersi in una ricerca del genere, però mi preme sottolineare ancora una volta come il problema del biopotenzia- mento funzioni come spunto per ripensare seriamente alcuni dei problemi fondamentali della nostra vita. Ai fini di questa tesi, conviene attenersi il più possibile al tema centrale da cui siamo partiti, cioè la MCT: è giusto utilizzare mezzi tecnoscientifici per migliorare il proprio stato d’animo? Ma, soprattutto, biopotenziare il proprio umore significa davvero migliorare la condizione umana? Procediamo senz’altro ad esaminare gli argomenti sollevati dal PCB.