• Non ci sono risultati.

Un argomento parallelo a quello dell’autenticità dei ricordi, è rivolto dal PCB contro l’uso dei farmaci per migliorare l’umore ed eliminare le sofferenze emotive: se indu- ciamo tecnicamente una modifica al nostro stato d’animo, dovremmo considerare in qualche modo false o falsanti le sensazioni provate durante i momenti in cui queste sostanze esercitano il loro effetto; la conseguente gratificazione porterebbe sempre con sé la perplessità di provare qualcosa di insincero, un’emozione che non ci appartiene. Questo “benessere in comodi flaconi” (ma il discorso vale anche per l’autostima, l’autocontrollo e tutti gli altri tratti caratteriali) non ha niente a che vedere, per il PCB, con la “vera felicità”. Se il nostro stato emotivo non si accorda con la verità dei fatti, ma la trascende, possiamo sì ottenere una condizione di “beatitudine perpetua”, ma ci precludiamo la strada verso la felicità: questa infatti dipende dalle nostre azioni, dalle esperienze, dall’impegno profuso nella realizzazione dei nostri sogni. Il benessere psicofisico, l’allegria, il sentirsi a proprio agio nel mondo, sono tutte caratteristiche dell’esistenza che devono contribuire al, ma non determinare il, significato della nostra condotta.

Questo non vuol dire, secondo la critica, che bisogna cercare attivamente la sofferenza: le emozioni e i sentimenti, siano essi piacevoli o spiacevoli, servono per indicarci una strada da percorrere, sono gli strumenti naturali che dobbiamo usare per indirizzare le nostre azioni verso un fine ultimo più grande. Pertanto, il potenziamento delle risposte emozionali agli eventi e alle condizioni dolorose può incastrarci in un dilemma. Da una parte, il desiderio di un sollievo farmacologico è comprensibile da almeno due punti di vista: sul piano oggettivo, alcune situazioni sono così traumatiche e oppressive da risultare croniche e ingestibili per chiunque; sul piano soggettivo, esistono persone con un corredo neurobiologico “difettoso”, nel senso che rende le loro risposte emotive del tutto esagerate rispetto a certe situazioni. D’altro canto, però, il dolore emotivo può avere un significato morale, perché spesso è causato dalla perdita di qualcosa a cui conferiamo valore; anzi, a volte accade che la sofferenza ci riveli un bene del quale prima non eravamo coscienti. “Niente fa male se niente ha importanza”, afferma il PCB: il rischio è quello di perdere gli affetti umani e con essi parte del valore della nostra vita. La felicità intesa come mero “sentirsi bene” non può essere considerata un bene assoluto, perché anche certe afflizioni hanno una funzione positiva e, per certi versi, educativa. Affrontare il dolore ci rende più forti, più saggi e più compassionevoli. Inoltre, se è vero che certe virtù possono essere apprese solo vivendo appieno le situazioni difficili, allora, aggirando queste situazioni con la biotecnologia, potremmo precluderci la possibilità di ampliare il nostro spettro di esperienze, e convertire il superamento della condizione umana in una menomazione. Dopotutto, se fossimo sempre contenti di noi stessi non saremmo mai spinti a migliorarci: quindi, se l’uso degli psicofarmaci trascende la terapia per diventare compiacenza verso se stessi, si rischia di compromettere la propria capacità di crescere e imparare.

È per questo che, sempre secondo questa critica, le biotecnologie del buon umore devono essere usate

“con discrezione e in ambito terapeutico, per aiutare chi non può raggiungere altrimenti la capacità di conferire relazioni adeguate tra le cause e gli effetti della propria vita emotiva. Si tratta di aiutarli a raggiungere una relazione appropriata tra le circostanze in cui si trova- no, la loro vita interiore e le varie possibilità di agire, così che possano provare gioia negli eventi gioiosi e tristezza in quelli tristi, meravigliarsi davanti alle meraviglie del mondo, opporsi alle crudeltà, e al contempo impegnarsi a sviluppare i propri talenti, onorare gli im- pegni e aver cura delle loro amicizie e dei loro amori.”27

Il problema di questo argomento è che si basa su una prospettiva totalizzante che azzera le istanze dell’etica liberale. Chi può dichiararsi certo di conoscere quale sia la “relazio-

ne appropriata” tra le circostanze e la vita interiore di un’altra persona? Quale autorità può rivendicare la critica bioconservatrice per dichiarare di sapere che cosa sia la vera felicità? Ovviamente, se non vogliamo mettere seriamente in discussione il valore dell’autonomia individuale, dobbiamo respingere questo argomento. Tuttavia possiamo reindirizzare la sua forza positiva nell’ambito dell’etica privata contro due interpreta- zioni della MCT, una superficiale l’altra contraddittoria.

FUTILITÀ DELLA MCT: il transumanismo può funzionare da giustificazione etica per

degenerare in un’esistenza dominata da un ebete gozzovigliare autoriferito, in cui tutta l’azione è volta all’immediato benessere sensoriale, scevro da ogni altra aspirazione. CONTRADDITTORIETÀ INTERNA ALLA MCT: il mero appagamento emotivo e sensoriale

ottenuto tramite sostanze psicotrope contrasta col desiderio di superare la condizione umana. Il transumanismo si fonda sulla percezione dei limiti concreti al pieno sviluppo della persona, ma la condizione di benessere indotta artificialmente può offuscare il desiderio di migliorarsi.

Chiaramente queste degenerazioni costituiscono due evenienze da respingere, e sollevano la necessità di alzare ulteriori limiti alla MCT, oltre a quelli indirizzati contro il perfettismo e l’immortalismo. L’etica transumanista deve quindi essere precisata, perché, se si basa solo sul superamento delle condizioni umane, presta il fianco ad almeno tre derive moralmente deprecabili: la possibilità di usi distorti delle nuove tecnologie per il potenziamento e il controllo dell’organismo umano esige di predisporre contromisure atte a scoraggiare i singoli agenti dal far leva su interpretazioni aberranti della MCT. Tuttavia, la mera eventualità che qualche agente morale giochi “al ribasso” tentando di trasformare l’etica del miglioramento umano in uno mero tecnonarcisismo autoreferenziale non costituisce un’obiezione di principio. Usando le parole di Bostrom:

“Ci saranno anche coloro che si trasformeranno in esseri postumani degradati, ma d’altra parte anche oggi esistono esseri umani che non conducono vite moralmente accettabili. Per quanto spiacevole, il fatto che qualcuno possa fare delle scelte sbagliate non è motivo suffi- ciente per sopprimere il diritto di scegliere del resto della popolazione.”28