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Dal rispetto per la natura alla dignità umana

La massima del rispetto si rivela inapplicabile non solo sul piano teorico, ma anche dal punto di vista pratico: molto semplicemente, non tutto ciò che ci è stato dato ha lo stesso valore e va rispettato allo stesso modo, perché ci sono tanti aspetti di questo bel mondo e di noi stessi che nessuno riesce ad amare senza cadere in un fatalismo ipocrita o in un giustificazionismo da quattro soldi40. La strada del rispetto incondizionato del dono non sembra molto vantaggiosa per il critico del biopotenziamento e infatti il PCB è costretto a fare marcia indietro. Quindi, chi solleva l’argomento dell’hybris vuole solo porre e salvaguardare un limite alla manipolazione: non critica infatti l’intervento bensì l’iperintervento.

FATTO 3: Alcuni doni creano problemi.

40 Dal punto di vista religioso, bisogna rendere conto dell’esistenza del male e del modo in cui noi

CONSTATAZIONE: La massima morale del rispetto assoluto si scontra con la dura realtà

della natura, la quale spesso gioca a nostro svantaggio. Pertanto non è sufficiente come guida per illuminare le nostre scelte e il bioconservatore deve ripiegare su una massima più ristretta.

MASSIMA MORALE DEL RISPETTO RELATIVO: Alcuni doni sono speciali e hanno un valore

morale superiore. Solo quelli vanno rispettati con umiltà.

Come si può facilmente intuire, a questo punto il dubbio morale si trasforma in un problema epistemologico: quali sono questi doni speciali e perché sono proprio questi e non altri? Quali sono le caratteristiche salienti di questi doni e perché li rendono moralmente speciali? Per questa via, ci rendiamo conto di come l’argomento dell’hybris nasconda al suo interno qualche presupposto importante. Chi condanna l’MCT e abbraccia la massima del rispetto relativo deve infatti assumere, nel momento in cui trattiamo ciò che rende l’uomo come è, l’esistenza di una norma della misura: ovvero, non solo s’inerpica sull’aspro pendio che circonda il concetto di natura umana, ma deve anche dar conto del modo in cui noi dovremmo comportarci nei suoi confronti.

Il nostro tema continua a mostrarsi gravido di rimandi concettuali di grandissima importanza, ma ora non è necessario inoltrarsi nel dibattito ontologico sull’essenza dell’umanità. La questione che dobbiamo porci è infatti di carattere etico: posto che una natura umana esista, quale sarebbe la sua rilevanza morale? Secondo il PCB il rispetto per ciò che ci è stato donato, può servire da “guida positiva”, cioè guida epistemica nel selezionare quanto dobbiamo lasciare inalterato da quanto invece possiamo manipolare, solo se c’è una data umanità (“a human givenness or a given humanness”), provvista anch’essa di un valore, degna anch’essa di rispetto. Ma in che modo la nostra natura serve da nottolino morale?

ASSUNZIONE EPISTEMOLOGICA41 DEL PCB SULLA NATURA UMANA: l’essere umano non

va descritto in termini corporei (material), meccanicisti o medici, bensì in termini psichici, morali e spirituali. Bisogna trascendere la visione medica della persona umana per interpretarla come una creatura “posta nel mezzo” (in-between), “né dio né bestia,

41 Scrivo che l’assunzione è “epistemologica” e non “ontologica” perché il PCB, ma questa è una

mancanza comune ad altri argomenti bioconservatori, non specifica quali siano i limiti precisi da rispettare e quali invece possiamo aggirare, ma indica solo la strada da percorrere per ottenere in futuro una comprensione adeguata di ciò che l’uomo è.

né mero corpo né anima disincarnata, ma come una sbalorditiva unità di psiche e soma”42.

Questa concezione dell’uomo come creatura in bilico è importante perché permette di vedere in ciò che ci determina la condizione di possibilità dei nostri valori esistenziali: i limiti precisi del corpo e della psiche umani diventano fonte delle più alte aspirazioni; dalle debolezze nascono gli affetti profondi; e i nostri doni naturali, “sempre che non li sprechiamo o non li distruggiamo, sono esattamente ciò di cui abbiamo bisogno per prosperare e perfezionarci in quanto esseri umani”43.

CONCLUSIONE DEL PCB: L’unico fattore che può servire al caso è la natura umana; solo

conferendo un valore speciale alla natura umana possiamo dissolvere il dubbio episte- mologico circa i doni da rispettare con umiltà.

Questa prospettiva però rischia di non cogliere l’obiettivo, per tre ordini di motivi: 1. Anzitutto si basa su un’assunzione lasciata ingiustificata, e cioè che i nostri limi-

ti siano precisi e assoluti; anche ammettendo che i nostri limiti siano precisi, risulta comunque difficile sostenere che siano assoluti. Ci rendiamo conto di a- vere dei limiti, immaginiamo di poterli superare e di fatto nel corso della storia siamo riusciti in parte a superarli: questo ci spinge a pensare che essi siano al- quanto relativi allo stato attuale delle nostre conoscenze (in effetti, i nostri limiti veramente assoluti non li potremmo, a rigor di logica, neanche concepire). 2. In secondo luogo lascia intendere che la ricerca del miglioramento sia moral-

mente lecita solo all’interno di una cornice di caratteristiche già data. Il PCB, ma in genere chiunque sostenga l’argomento dell’hybris, non nega legittimità mora- le al desiderio di migliorarsi. Ci dice solo che, siccome i nostri limiti naturali sono la condizione di possibilità di molti valori, allora superando i primi perde- remmo i secondi. Questo può essere vero, se è vero che senza limiti non ci sono neanche possibilità, ma il problema è un altro: non c’è alcun motivo di supporre che, superati certi limiti, non se ne presentino degli altri. Estensione della vita non significa necessariamente desiderio di immortalità, aumento delle prestazio- ni non vuol dire onnipotenza e miglioramento della propria condizione emotiva non significa ebete trastullamento. Tale modo di ragionare è un “passaggio al limite” che rientra nello schema generale degli argomenti del “pendio scivolo- so”, dei quali avremo modo di discutere più avanti.

42 PCB, op. cit., p. 308. 43 Ibidem, corsivo mio.

3. Inoltre ho il sospetto che l’argomento del PCB sia circolare. Si parte dalla con- statazione del fatto che certi aspetti di “ciò che ci è stato dato” non vadano rispettati perché sono dannosi. Poi, si indica la natura umana come discriminante nella scelta di cosa cambiare e cosa lasciare inalterato. Ma qui sorge un dubbio: la percezione di qualcosa come limite dannoso, come problema da risolvere, non dipende proprio dal modo in cui siamo fatti? Al bioconservatore spetta l’onere della prova di mostrare che il desiderio di miglioramento sia innaturale, un com- pito che sembra insolvibile.

Chi si appoggia alla Tesi 1 per delegittimare l’intervento dell’uomo sulla propria natura, sta semplicemente sostenendo che, siccome noi di fatto non siamo completamente frutto della nostra volontà, allora non abbiamo il diritto morale di sottoporre completamente la nostra natura alla nostra volontà: è quasi come affermare “siccome di fatto e per cause naturali la nostra libertà di cambiare le cose è limitata, allora non abbiamo il diritto di emanciparci sviluppando mezzi che possano estendere la nostra libertà di cambiare le cose”.

L’alternativa radicale per uscire da questa impasse è sostenere fin da subito che la natura umana non vada toccata perché è la condizione di possibilità della morale stessa. In questo senso, manipolare quelle caratteristiche tipiche dell’umanità creerebbe un corto circuito etico, uno scenario di “nichilismo postumano” in cui l’uomo, agendo direttamente sulle proprie caratteristiche essenziali, andrebbe indirettamente a modifica- re non solo i suoi attuali valori, ma anche la facoltà stessa di agire in modo morale. Questa è la linea recentemente sostenuta da F. Fukuyama, che fa appello alla natura umana come baluardo contro l’iperintervento biotecnologico nel suo libro intitolato “L’uomo oltre l’uomo”44.

Per inciso, a questo punto risulta già evidente come l’appello alla natura umana sia una mossa poco franca. Anzitutto quello di “natura” non è un concetto ben definito, bensì un insieme di concetti “diversamente imparentati tra loro”45; e poi, nell’assunzione che il carattere fondamentale di una “natura umana” sia proprio la sua intrinseca necessità, ogni appello alla sostanza dell’essere umano deve fornirne fin da subito una determina- zione assoluta e inequivocabile. Non si può affermare che abbiamo il diritto di migliorarci solo entro i limiti di ciò che è umano senza fornire una definizione univoca e chiara di “ciò che è umano”. Come cercherò di mostrare in seguito in questa stessa

44 Fukuyama F., op. cit.

sezione, proprio facendo perno sull’ignoranza che circonda il concetto di natura umana si può rovesciare l’argomento dell’hybris e usarlo a difesa dei biopotenziamenti.