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Capitolo V La poesia di Sugawara no Michizane

5. Michizane, modello per l’ideale poetico di Ki no Tsurayuki?

5.8 Conclusioni

Alla luce delle precedenti considerazioni possiamo quindi dire che la critica di Tsurayuki ai

rokkasen e certe tendenze del waka di fine IX secolo – che si era ridotto secondo lui a un mero

gioco tra aristocratici – finalizzata principalmente a conferire al waka una autorità e dignità sufficienti a fargli riprendere il posto d’onore nelle occasioni ufficiali, aveva come termine di paragone proprio quello shi che gli aveva rubato il posto; questo “rifarsi allo shi” si ritrova sia nella teoria poetica – l’imitazione della Grande Prefazione dello Shijing – sia nella pratica compositiva e stile – le influenze da kanshi e Bai Juyi.

La “negazione” della poesia cinese che si ritrova alla base della compilazione del Kokinshū, nasce da un evidente, quanto ben motivato sentimento di inferiorità: lo shi cinese si presentava ai giapponesi dell’epoca sotto la forma del lüshi di periodo Tang, ovvero lo stadio ultimo di una lunghissima evoluzione durata quindici secoli: per controbattere a un “nemico” così autorevole si ricorre all’imitazione della prefazione dello Shijing, e la sua contemporanea – e ingenua, per certi versi – negazione.

Dato che questa presenza schiacciante della tradizione cinese era resa al tempo stesso più vicina (e quindi più incombente) ma anche più familiare (e quindi più accessibile) proprio dal kanshi giapponese, era logico che anche quest’ultimo subisse direttamente il processo di “svilimento” finalizzato alla rivalutazione del waka. Ecco, la scomparsa dei waka di Michizane è secondo me da

364 Per un approfondimento sul parallelo tra Michizane e Chisato cfr. IX-5.

365 Dove sono ospitate per esempio le haikai, “poesie pazze”, cioè esempi di poesie che non rispettano le regole del

waka stabilite dai compilatori. Cfr. Watanabe 1991 pp. 215-232.

366 Kojima 1976, p. 175 e successive.

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inquadrare in questo preciso contesto, essendo egli l’indiscusso rappresentante della poesia in cinese del IX secolo in Giappone, come l’iperbolico riconoscimento accordatogli da Daigo, che dichiarò la sua poesia essere superiore addirittura a quella di Bai Juyi, dimostra. Ed è in questo quadro, storico, sociale e letterario che si devono a mio parere leggere non solo le poesie del

Kokinshū, ma anche quelle del Kanke kōshū. Sebbene i compilatori configurassero, per una sorta di

esigenza contingente, il rapporto waka-kanshi come conflittuale, non bisogna mai scindere il contesto del waka da quello del kanshi che, come abbiamo visto erano sovrapposti e integrati l’uno all’altro. Se da una parte, anche a un’analisi moderna, possiamo quindi porre le poesie del Kanke

kōshū come il risultato ultimo della piena maturità del kanshi giapponese del primo periodo Heian,

in particolare nel loro straordinario equilibrio tra forma e contenuto, dall’altra accostarvi l’idea di

waka del Kokinshū, come risultato di un’evoluzione iniziata con le più antiche poesie del Man’yōshū e sfociata nell’equilibrio tra kokoro e kotoba teorizzato da Tsurayuki non è così

insensato. L’esplicito tentativo dei compilatori del Kokinshū era infatti quello di portare il waka a un nuovo standard qualitativo, a una nuova maturità tramite proprio lo sviluppo dell’artificio retorico e di una maggiore coesione interna: risultato raggiunto dal waka del cosiddetto “periodo dei compilatori”, con la reinvenzione delle similitudini del mitate e la sovrapposizione di livelli di significato dell’engo. Tutti questi elementi retorici devono la loro nascita, o il loro rinnovamento all’influsso e alla lezione della poesia cinese, mediata dal kanshi giapponese post-jōwa.

Se poi a questo aggiungiamo che contemporaneamente alla compilazione del Kokinshū abbiamo anche nel kanshi un’evoluzione verso una “poesia per la poesia”, e cioè un progressivo abbandono dell’intento politico o confuciano propugnato dallo stesso Michizane, ci rendiamo conto che kanshi e waka del X secolo non sono altro che due facce della stessa medaglia, tanto da poter coesistere all’interno dello stesso testo come dimostrato dal Wakanrōeishū.

Fujii Sadakazu368 individua a questo proposito un passaggio fondamentale tra Michizane e il suo unico vero amico poeta Ki no Haseo che, pur ricollegandosi al mondo del Kanke Kōshū, fa un ulteriore passo avanti verso la rivendicazione del sentimento indipendente dal valore politico o morale della poesia. Nell’introduzione alla sua seconda raccolta poetica, ovvero l’Engi igo shijo,369 Haseo afferma riguardo la poesia

随時思動、任志所之、不労敢沈吟。応響而和、甚於宿構焉

A seconda del momento, il pensiero [poetico] è affidato al luogo in cui va il sentimento, senza affannarsi in profondi ragionamenti. Armonizzare rispondendo alle risonanze, piuttosto che riutilizzare costrutti precedenti.

Cioè, secondo Fujii «[Ki no Haseo] nel momento in cui apre un mondo della poesia in cui il punto focale è “guardare al vero sentimento” e “il pensiero dell’attimo” negando l’idea comune di poesia come “yan shi”,370 si rendeva benissimo conto della tradizione del pensiero che passava dal Kanke

Kōshū».371 Senza dubbio, come già abbiamo visto, compare nel Kanke Kōshū un atteggiamento distaccato, un affidarsi all’estetica della poesia come unico riscatto dalle delusioni della vita (politica e non), ma come ho avuto modo di spiegare, anche nel Michizane dell’ultimissima ora, il riferimento al problema politico, o meglio, all’integrità morale del poeta-confuciano, non viene mai meno – e mi riferisco ai gushi citati nell’ultima poesia In esilio, neve di primavera. Se accettiamo la lettura di Fujii, in Haseo assistiamo nuovamente a quel rifugiarsi nella letteratura da parte di chi non aveva più spazio per esprimere le proprie idee politiche – e il fatto che Haseo non abbia subito la sorte di Michizane e di altri ma sia rimasto alla capitale è già di per sé prova del fatto che, se non altro, non si fosse posto in netta opposizione al potere centrale rappresentato da Fujiwara no Tokihira. Dico “nuovamente” perché come abbiamo già visto lo stesso padre di Michizane,

368 Fujii 2010. 369 延喜以後詩序.

370 言詩. Dire poesia, nel senso di comporre focalizzandosi sulla parola piuttosto che sul sentimento. 371 Fujii 2010, p. 155.

Koreyoshi, aveva condotto una vita ricca di successi in campo accademico proprio in virtù della sua non-ingerenza in questioni politiche. Per quanto riguarda Haseo, rimando un giudizio definitivo ad uno studio specifico e più approfondito. Comunque sia, l’esilio di Michizane e il Kanke Kōshū, la “svolta” di Ki no Haseo sostenuta da Fujii, e la compilazione del Kokinshū e il suo implicito sostegno al regime centrale, sono certamente figli dello stesso periodo e degli stessi cambiamenti culturali, politici e sociali. E in definitiva se l’influenza del kanshi di fine IX secolo è stata tale da caratterizzare così profondamente la retorica delle poesie del Kokinshū, non è insensato dire che nella formulazione della sua teoria poetica nel Kanajo Tsurayuki fosse stato influenzato dalla poetica del kanshi giapponese del quale aveva conosciuto di persona i protagonisti, come Michizane, e che quindi quest’ultimo abbia contribuito in maniera indiretta sì, ma consistente, al consolidamento della poetica del waka.

Capitolo VI - La rielaborazione di Sugawara no Michizane nella