• Non ci sono risultati.

Capitolo V La poesia di Sugawara no Michizane

4. Michizane tra waka e kanshi

4.6 Il bivio tra kanshi e waka

composto da Michizane intorno all’887, mentre si trovava nella provincia di Sanuki in qualità di Governatore (kami no tsukasa). Il titolo è “Stando in provincia, con il Borsello del Pesce d’Argento, inviata al Ministro dei Cerimoniali”, e nel quinto e sesto verso leggiamo

不潛南海重波下 將躍東風解凍初307

Non t’immerger nel mare del sud, sott’all’onde incessanti

Poiché guizzerai al primo vento d’oriente che scioglierà il ghiaccio

alla quale fa eco la seconda poesia del Kokinshū, a firma di Ki no Tsurayuki:

袖ひちてむすびし水の凍れるを春立つけふの風やとくらむ308

Con le maniche bagnate attinsi dell’acqua che, poi, si chiuse nel gelo. Oggi, primo giorno di primavera, il vento lo starà sciogliendo

Entrambe le poesie fanno riferimento, secondo Watanabe Hideo,309 a un noto passo del Classico dei Riti cinese, il Li Ji, che recita

孟春之月、東風解凍

Nella prima luna di primavera, il vento d’oriente scioglie il ghiaccio.

I Cinque Classici erano, insieme ad altri kanseki (libri in cinese) come il Wenxuan di Zhaoming Taizi o lo Shiji di Sima Qian, parte integrante dell’educazione dei letterati e funzionari del periodo Heian, ed è quindi molto probabile che Tsurayuki conoscesse l’originale cinese dal quale Michizane aveva preso in prestito l’espressione “il vento d’oriente scioglie il ghiaccio”. Nakano Masako310 cita anche un’altra poesia di Tsurayuki composta nel 943

吹く風に氷とけたる池の魚は千代まで松の陰にかくれん311

Pesce dello stagno il cui ghiaccio si scioglie al soffio del vento, che tu possa nasconderti all’ombra del pino per altre mille generazioni

la quale, oltre al vento che scioglie il ghiaccio, utilizza l’immagine del pesce già utilizzata da Michizane nella sua poesia. Di per sé “Borsello del Pesce”,312 termine che indica la borsa

d’ordinanza dei funzionari statali, non è un’invenzione di Michizane ma compare anche in Bai Juyi e dunque, anche in questo caso, non si può escludere che Tsurayuki si fosse ispirato direttamente al secondo piuttosto che al primo. Se però consideriamo il contemporaneo utilizzo di due immagini così peculiari nella medesima poesia, tenendo presente l’anno di composizione delle stesse – il

kanshi di Michizane è molto probabilmente precedente a entrambi gli waka di Tsurayuki – e

l’ambiente di condivisione poetica e culturale in cui vissero Tsurayuki e Michizane possiamo concordare con Nakano nel vedere in questo kanshi di Michizane non un semplice e casuale precedente, ma una probabile fonte di ispirazione per Tsurayuki.

4.6 Il bivio tra kanshi e waka 307 在州以銀魚袋贈吏部第一郎中. KBKK III-212. 308 KKS I-2. 309 Watanabe 1991, p. 179. 310 Nakano 2005, pp. 28-30. 311 TS 700. 312 魚袋.

158

Il nuovo diagramma delle influenze kanshi-waka riassume e getta nuova luce sui problemi del rapporto tra queste due tradizioni i cui confini sono sempre stati vaghi fin dal principio. Lo stesso Michizane personifica questa ambiguità di fondo, in parte risolvendola, in parte no. Come giustamente afferma Ōoka, «il suo ideale di poesia, il suo ideale di poeta non risiedevano in Giappone, bensì in Cina».313 Eppure Michizane è anche intimamente e profondamente giapponese.

Sugawara no Michizane si pone sul bivio tra il Kokinshū e un’altra letteratura che non fu, “sacrificata” in nome di differenti valori estetici e poetici. È ancora attaccato a un certo ideale di poesia – e di governo – tipicamente cinese, ma ha in sé tutte le caratteristiche e la sensibilità tipiche dei poeti del Kokinshū: è sia l’uno che l’altro. D’altra parte, come fa acutamente notare Fujiwara,314 c’è un filo di congiunzione tra il kanshi dell’era Kōnin delle Tre Antologie Imperiali (periodo di Saga) e il waka della società aristocratica da Kokinshū in poi, e non è tanto l’utilizzo di espressioni più o meno mutuate dalla Cina, o più o meno fedeli alla tradizione giapponese, bensì la caratteristica di “condivisione” del gusto e della conoscenza: «il mondo della condivisione dello spazio linguistico tra sovrano e suddito […] e il modello della cooperazione dell’illusione dell’estetica e dell’aware del waka».315 Michizane si pone esattamente nel mezzo tra questi due periodi, e ne è senza dubbio protagonista.

A parte questo legame indicato da Fujiwara però, le differenze tra il waka del Kokinshū e il kanshi pre-kokinshū sono innegabili almeno quanto le loro somiglianze. Tralasciando l’evidente differenza linguistica, e le conseguenze più strettamente connesse ad essa, vi è un approccio al reale sostanzialmente diverso. Per quanto Fujiwara sostenga – a ragione – che l’origine della tendenza all’astrazione, o meglio alla codificazione delle immagini (che quindi corrisponde ad un distacco dalla realtà), tipica del Kokinshū, sia da ricercare proprio nel periodo di Saga e nelle tre antologie di

kanshi, permane una sostanziale differenza tra il kanshi di Michizane e il waka del Kokinshū, ed è

quella che il waka è, almeno nella sua modalità “ufficiale” rappresentata dal Kokinshū, in ultima analisi una fiction della realtà; come affermano Ōoka e Akiyama a proposito delle byōbu uta (poesie su paravento): «[il waka] si compone immedesimandosi nel cuore della persona ritratta sul paravento. Si prova a diventare donna, a diventare uomo».316 Certo, anche nello shi cinese vi sono non pochi esempi di questa “fictionality”, come la trasmigrazione del soggetto, o l’immedesimazione in donna (ad esempio nel genere della poesia di risentimento nell’alcova, il

guiyuan shi317 delle Sei Dinastie, dal quale non a caso lo stesso Tsurayuki attinge a piene mani),318 ed è proprio a quello che per primo si rifecero i poeti del circolo di Saga, ma i giapponesi vanno a mio parere ben oltre sul binario dell’astrazione, della decontestualizzazione, e questo si riflette immediatamente sulle descrizioni paesaggistiche (e non) del waka; come afferma il già citato Suzuki, «paragonato alle espressioni del waka, appare ancor più chiaro quanto il kanshi dipinga uno scenario concreto e vivido».319 Per Akiyama, «la poesia [uta] è la tecnica per assicurare la collettività umana su un livello di non ordinarietà che supera il quotidiano», e in questo processo sembra che sia necessario sacrificare quella concretezza e vividezza individuata da Suzuki nel

kanshi, e che abbiamo visto in molte poesie di Michizane.

Se infatti osserviamo i successivi punti di contatto fra poesia cinese e giapponese in Giappone, ad esempio il Wakanrōeishū di Fujiwara no Kintō – opera ibrida che giustappone versi cinesi a poesie giapponesi – notiamo certamente la prosecuzione della simbiosi linguistico-poetica di Cina e Giappone, ma ci troviamo comunque di fronte ad un’opera prettamente giapponese nei suoi intenti e nella sua posizione intellettuale, nonché nel gusto, che sembra giusto porre più nella tradizione del

Kokinshū che su quello della poesia allegorica di Michizane a Sanuki, o anche della successiva

313 Ōoka & Akiyama 1992, p. 14. 314 Fujiwara 2001, p. 157. 315 Ibid.

316 Ōoka & Akiyama 1992, p. 24. 317 閨怨詩.

318 Vedere Nakano 2005, pp. 117-174. 319 Suzuki 1992, p. 35.

“sintesi” rappresentata dal Kanke kōshū. Non a caso nel Wakanrōeishu, anche per quanto riguarda la selezione dei versi di poeti cinesi, viene privilegiata la descrizione naturale rispetto al “reale umano” della quotidianità, e non si trova traccia del tema politico, la critica sociale o l’allegoria che pure avevano interessato una parte della produzione di Michizane.320

Alla luce di queste considerazioni, credo si possano individuare nel waka due tendenze, due nature apparentemente contrapposte: una la possiamo definire “decontestualizzante”, nel senso che si stacca dal contesto privato e quotidiano e tende all’universalizzazione (e quindi alla piena condivisibilità) del significato e del sentimento, che sia questo la contemplazione della bellezza naturale, le pene d’amore, il pensiero della caducità della vita; l’altra è invece “contestualizzante”, laddove in molti casi la conoscenza del contesto compositivo influenza sensibilmente la nostra interpretazione della poesia, come la già citata poesia 885 del Kokinshū sulla luna che riemerge dalle nubi, come metafora di un fatto reale – lo scandalo che coinvolse la principessa Akirakeiko – esplicitato nel kotobagaki. Nel Kokinshū vi è proprio una simbiosi di queste due tendenze, apparentemente contrapposte, laddove il generale tentativo di “collettivizzare” il momento poetico trova una specie di controbilanciamento nella “personalizzazione” delle poesie, dimostrata dalla annotazione dei nomi dei poeti (specialmente di quelli contemporanei ai compilatori), alla descrizione delle circostanze di compilazione riportate nel kotobagaki (fenomeno che si evidenzierà nel Gosenshū e che sarà strettamente legato al genere degli utamonogatari), e anche nell’analisi dello stile dei poeti del Man’yōshū o dei rokkasen nel Kanajo, personaggi questi ultimi idealizzati sì, ma ai quali si cerca di dare una caratterizzazione e personalizzazione specifica.

Per la verità, anche nel Kanke bunsō e kōshū di Michizane credo che si possano riscontrare entrambi questi aspetti. Come sottolinea Fujiwara nel commento alla primissima poesia di Michizane, «in questa poesia [Michizane] non dipinge realisticamente il paesaggio del giardino di notte nella realtà. Trasmuta gli elementi naturali verso un mondo estetico di un’altra dimensione rispetto alla realtà».321 È dunque “trascendente”, “decontestualizzante” in questo caso, ma al tempo

stesso, tramite una nota alla poesia che ce la indica come suo primo componimento all’età di undici anni sotto la guida del padre Koreyoshi e del maestro Tadaomi, “contestuale” alla vita privata del poeta. Come abbiamo già visto, questa dicotomia permane e si perfeziona negli ultimissimi componimenti di Michizane a Dazaifu, nei quali al paesaggio idealizzato coniuga desideri personali come quello di ritornare a casa o di vedere riparata l’ingiustizia subita.

Quello che invece lo separa dal waka, è proprio quella concretezza dello scenario di alcune poesie – come la dettagliata descrizione dei suoi crisantemi322 – e quella convinzione di fondo che la poesia abbia in sé intrinseco e irrinuncibile valore morale – evidente nelle poesie allegoriche di Sanuki.

Anticipando le conclusioni, possiamo dire che nonostante Michizane non sia stato l’unico poeta di

kanshi giapponese a cantare nella sua poesia le proprie vicissitudini quotidiane, probabilmente

nessuno dopo di lui riuscirà a rappresentare meglio la spaccatura e la fusione, l’attrazione e il distacco, “l’armonica contraddizione” tra cultura cinese e “spirito yamato” che, concentrandosi nella seconda metà del IX secolo, costituisce un fondamentale punto di svolta nella storia della letteratura giapponese.

5. Michizane, modello per l’ideale poetico di Ki no Tsurayuki?