Capitolo IV La vita di Sugawara no Michizane
5. L’ascesa e la caduta
5.10 L’apice e il baratro
Alla fine del 900, Michizane riceve una lettera da Miyoshi no Kiyoyuki, il quale, riportando dettagliatamente spiegazioni da un recente manuale di divinazioni cinese, il Kaiyuan jing,266 lo informa su come il prossimo anno avrebbe portato sventura, e sarebbe stato meglio per lui se si fosse ritirato dalla vita politica dedicandosi per il resto della sua vita alla poesia, come Michizane stesso aveva talvolta dichiarato in occasione delle sue promozioni. In particolare lo invita a «sapersi accontentare», mancanza questa indicata nelle accuse sucessive. Kiyoyuki era una vecchia conoscenza di Michizane, in quanto era stato il suo esaminatore all’esame imperiale, giudicandolo fra l’altro insufficiente, motivo di probabile dissapore tra i due.
Dopo dieci giorni, Kiyoyuki esporrà il contenuto delle sue divinazioni a corte, affermando che nel secondo mese del nuovo anno ci sarebbe stato il rischio di una «rivoluzione» nel senso confuciano del termine, ossia una revoca del “Mandato del Cielo”; in altre parole una interruzione nella successione imperiale a causa di qualcuno che complottava all’interno della corte. Questo offrirà la motivazione per l’allontanamento di Michizane che era ormai malvisto da buona parte della corte e da quasi tutta l’aristocrazia.
Nonostante la profezia, nel primo mese del 901 sia Michizane che Tokihira ricevettero la promozione al secondo rango, status accordato solo a personaggi di grande statura, come reggenti o cancellieri, e tutto sembra quindi continuare come prima. Se non che, dopo poco più di due settimane viene emesso improvvisamente il seguente editto dell’imperatore Daigo.
Negli ultimi cinque anni da quando Noi siamo diventati imperatore, il Ministro di Sinistra Fujiwara [Tokihira] e altri ci hanno assistito negli affari di governo, secondo le istruzioni del precedente imperatore. Ma il Ministro di Destra Sugawara, che da un’umile famiglia è improvvisamente salito alla posizione di grande ministro, non conosce soddisfazione e aspira a dominare la corte. Ha raggirato il precedente imperatore con l’adulazione, e ora intende distruggere la successione imperiale. Vuole
266 開元経 Classico dell’era Kaiyuan, corrispondente alla prima parte del regno del famoso imperatore Xuanzong,
frantumare il sentimento di benevolenza tra padre e figlio e distruggere l’amore tra fratello maggiore e minore. La sua bocca è obbediente, ma il suo cuore ribelle. Questo è noto a tutti nel paese. Non è una persona che merita di servire come gran ministro, e merita una punizione secondo legge. Comunque, in speciale riconoscimento della sua posizione, ci limiteremo a rimuoverlo dal suo presente ufficio e a nominarlo Governatore Supernumerario di Dazaifu. Il dainagon Minamoto no Hikaru sarà nominato al suo posto, e saranno presentate offerte per placare gli spiriti dei nostri antenati.
L’editto colse tutti alla sprovvista, soprattutto Uda che cercò inutilmente e più volte di incontrare Daigo per chiedere spiegazioni. La strada gli fu sbarrata da Fujiwara no Sugane (855-908), e a nulla valsero le lunghe ore di attesa davanti alle stanze dell’imperatore.
Il primo giorno del secondo mese, Michizane venne scortato fuori dalla capitale da delle guardie incaricate per l’occasione di controllare che nel suo viaggio fino al Kyūshū non gli venissero concessi cibo e cavalli alle stazioni di posta. I figli maggiori di Michizane vennero anch’essi esiliati in province del paese lontane tra di loro, mentre quelli piccoli seguirono il padre nel Kyūshū. Moglie e figlie rimasero invece nella capitale. Contemporaneamente altri nove personaggi evidentemente vicini a Michizane furono esiliati. Il viaggio verso Dazaifu fu molto difficile e durò circa un mese, ma la permanenza nella remota provincia fu ancor più dura. Sebbene in riconoscimento del suo precedente status a Michizane fosse stato assegnata la carica di Governatore Supernumerario (Dazai gon no sochi267), pare che a questa non corrispondesse nessuno stipendio, e
così Michizane si lamenterà nelle sue poesie della miseria in cui era precipitato. Dopo due anni di una vita ai limiti della povertà, agli arresti domiciliari e senza più la speranza di rimettere piede nella capitale, Michizane morì a Dazaifu il quindicesimo giorno del quinto mese del terzo anno dell’era Engi (903), a cinquantanove anni.
Il movente e i mandanti dell’esilio di Michizane non sono del tutto chiari, sebbene i sospetti ricadano ovviamente su coloro che ne trassero i maggiori benefici, come Tokihira. Dopo l’espulsione di Michizane fu in effetti il dominatore della scena politica, e già fonti antiche come l’Ōkagami lo indicavano come la mente principale dietro questa macchinazione, ma in effetti le prove storiche in questo senso sono ben poche.268 Secondo un’altra tesi Michizane stava invece realmente complottando contro la corte, o meglio, era stato coinvolto in un complotto escogitato da qualcuno a lui vicino. Questa versione che vede un Michizane colpevole è però smentita dal fatto che, a soli ventidue anni dall’ordine di esilio, la posizione di Michizane venisse ristabilita – seppur postumamente – e tutte le registrazioni riguardo questo caso venissero distrutte, come a voler cancellare l’errore dell’imperatore.269 Sebbene un perdono imperiale poteva sempre arrivare, a prescindere dalla colpevolezza o meno dell’imputato, la distruzione dei registri rappresenta un palese mea culpa di Daigo nei confronti dell’innocente Michizane.
Il ruolo di Daigo stesso è in effetti non ben definito, e difficilmente possiamo ritenerlo l’artefice di un progetto che sfidava così apertamente il potere del pur sempre temuto padre, Uda. Più probabile pensare che Daigo avesse assecondato questo complotto elaborato da altri, ma che avrebbe finito per affrancarlo dall’ingombrante ingerenza del vecchio imperatore. Per quanto Daigo rispettasse Michizane anche come poeta – leggendo il Kanke bunsō ricevuto da Michizane nel 900 dichiarò «Sugawara supera lo stile di Bai Juyi»270 – la differenza di ben 40 anni di età si faceva
probabilmente sentire, e portava Daigo ad essere comunque più in sintonia con un Tokihira ancora trentenne; è possibile infine che Daigo fosse attratto dalla sorella minore di Tokihira il cui ingresso tra le file delle consorti imperiali era stato ostacolato da Uda.
Alla luce di tutto questo, le accuse che erano state rivolte a Michizane, ovvero di voler dominare la corte e di rompere il legame padre-figlio (di Uda e Daigo) nascondevano problemi e tensioni che riguardavano solo in parte Michizane, e che avevano come veri protagonisti Uda, Daigo e Tokihira,
267 太宰権師.
268 Vedi Borgen 1986, pp. 284-285.
269 Nihon kiryaku, Enchō 1/4/20; Seiji yōryaku, p. 4; Gukanshō pp. 154-155. Cit. in ibid. 270 Fujiwara 2002, p.246.
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nonché la corte nel suo insieme. Del resto l’accusa di voler dominare la corte doveva risultare forzata persino agli occhi dei contemporanei, visto che Michizane al momento della nomina a Ministro di Destra, chiese per tre volte di essere dimesso da quell’incarico gravoso appena ottenuto, rifiutò poi la nomina a Cancelliere, e cercò di dimettersi almeno da alcune nomine secondarie che aveva accumulato nel tempo,271 tutti comportamenti che andavano ben oltre la cortese formalità di rifiutare un alto incarico.
Ironicamente la profezia della rottura di un legame si avvererà, ma quel legame non sarà tanto quello padre-figlio tra Uda e Daigo, bensì quello di sovrano-ministro tra Uda e Michizane, e non per colpa di quest’ultimo: Uda non si dimostrò infatti in grado di difendere il suo fedele servitore.
Michizane non fu lo sconfitto sfidante nel confronto con la sua controparte politica Tokihira, quanto piuttosto la vittima della contrapposizione tra potere imperiale – Uda – e la corte in qualità di entità oligarchica fortemente radicata nei principi nobiliari delle famiglie aristocratiche piuttosto che negli ideali del sistema ritsuryō. Già al tempo della Disputa sull’akō , nel braccio di ferro fra Uda e Mototsune, i vari funzionari, burocrati e confuciani si erano schierati dalla parte del più forte che aveva garantito loro i privilegi e i ranghi di cui godevano, cioè i Fujiwara: nell’analogo confronto fra il successore di Mototsune e un letterato originario della bassa aristocrazia come Michizane, sostenuto solo dal favore di un imperatore abdicatario, la corte aveva deciso nuovamente per i Fujiwara.
Uda da parte sua aveva sopravvalutato il suo potere di influenzare la corte una volta sceso dal trono, e pensava – forse ingenuamente – di poter proteggere Michizane dalle invidie e rivalità delle famiglie nobili conferendogli sempre maggiori gradi e privilegi. Questo sortì l’effetto contrario, come Michizane aveva preventivamente temuto, e il risultato fu che il tentativo di ripristinare l’efficacia del sistema ritsuryō con l’aiuto di un valido politico-letterato privo di solidi appoggi familiari, si tradusse in un fallimento e nel conseguente dominio dei Fujiwara.
Come già accennato il Giappone dimostra in questo la sua diversità dal modello cinese al quale, evidentemente, non vi era la reale volontà di aderire completamente, non solo da parte dei discendenti di quella aristocrazia che, anche con Uda, aveva visto restringersi il proprio margine di arricchimento nelle province a causa della nuova e più efficiente burocrazia, ma anche da parte della classe intellettuale dei letterati dalla quale i Sugawara stessi provenivano, alla quale di contro non era dato sufficiente appoggio politico e economico come invece avveniva in Cina dai Tang in poi.
La fine di Michizane era in un certo qual modo predestinata, e la sua vicenda è emblematica di un epoca in cui il Giappone prende coscienza non solo della propria differenza e indipendenza culturale dal gigante cinese, ma anche della inapplicabilità di alcune parti fondamentali di quel modello straniero al tessuto politico, sociale e culturale autoctoni.
6. Morte e rinascita: il culto di Tenjin