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Capitolo III Introduzione

2. Le opere

2.4 Michizane e il waka

Nonostante Michizane privilegiasse senza alcun dubbio la poesia in cinese rispetto al waka, non significa che non scrivesse mai in giapponese, né che fosse totalmente disinteressato alla tradizione di poesia autoctona. Anche se il suo coinvolgimento nella compilazione dello Shinsen Man’yōshū è ambiguo, è importante ricordare che, anche come formazione, Michizane non era assolutamente ignorante di waka. In particolare, la madre di Michizane era originaria della famiglia dei Tomo, discendenti di quegli Ōtomo che, con esponenti quali Tabito o Yakamochi, rappresentarono l’ultimo periodo, nonché l’apice stilistico del Man’yōshū. L’influenza delle donne nell’andamento della letteratura giapponese attraverso l’influenza sull’educazione dei figli maschi è un terreno di difficile analisi che merita uno studio appropriato, ma credo che sia comunque importante sottolineare come in questo caso il background familiare di un poeta non solo dalla parte del padre, ma anche da quella della madre.76

70 菅家万葉集.

71 A sostenere la paternità di Michizane sono Kawaguchi (Heianchō Nihon Kanbungakushi no kenkyū, 1964 pp. 282-

291), Kyūsojin 1969 o in anni più recenti Izumi 1983 e 2002. Un sunto in lingua inglese del problema si trova in Borgen 1986, p. 221.

72 Fujiwara 2002, pp. 212-214.

73 Sono tutto sommato pochi gli studi dedicati a quest’opera. Una versione approfonditamente commentata la si avrà,

limitatamente al primo libro, solo nel 2005: AA.VV., Shinsen Man’yōshū chūshaku, Izumi Shoin, Ōsaka, 2005.

74 Akiyama & Ōoka 1992, p. 10.

75 Una sintetica carrellata in relazione al tema “tristezza d’autunno” tra kanshi e waka la si può trovare in Suzuki H.

1990, pp. 355-357.

76 Basti ricordare che a riconoscere per primi il valore del Genji monogatari quale letteratura “alta” furono Fujiwara

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Oltre a questa tradizione familiare, l’attività di Michizane come kajin (poeta di waka) è direttamente conseguente alla sua posizione di alto funzionario nella corte di Uda: sebbene stimasse profondamente il kanshi, Uda era anche un grande amante del waka, come dimostrano gli utaawase tenutisi sotto il suo regno, ad esempio il Kanpyō no ontoki kisai no miya utaawase77 o il Koresada no miko no ie utaawase.78 Essendo praticamente sempre presente in tutte le iniziative culturali – e non – di Uda, è logico pensare che anche Michizane avesse scritto – forse suo malgrado – numerosi

waka.

A questo possiamo aggiungere il fatto che, nonostante nei propri kanshi dia volutamente un’immagine di sé stesso quale diligente e instancabile studioso e funzionario, oberato dagli impegni tanto da non aver neppure il tempo per stare con la moglie, a giudicare dal numero di figli che gli sono attribuiti (una quindicina)79 si può giustamente supporre che avesse una vita privata quantomeno in linea con quella degli altri nobili o letterati del suo tempo. Anche volendo accettare la visione di un personaggio ligio alla morale confuciana (che vedeva l’amore come semplice ostacolo per il buon governo)80 e fedele al vincolo matrimoniale (cosa già rara di per sé, nella società aristocratica Heian), è abbastanza difficile che tutti i suoi figli fossero nati dalla sua consorte ufficiale Nobukiko, e dunque è impossibile negare che avesse avuto relazioni con altre donne. Ora, secondo le consuetudini dell’epoca, nessun rapporto amoroso tra membri dell’aristocrazia poteva neanche iniziare senza una seppur minima corrispondenza – anche solo limitata alle formalità imposte dall’etichetta – in wabun (giapponese) tra l’uomo e la donna, ed elemento fondamentale di questa corrispondenza era lo scambio di waka. Ecco quindi che, almeno in minima parte, possiamo supporre che Michizane sia stato necessariamente protagonista di scambi di poesia d’amore.

Sfortunatamente, nessuna poesia d’amore di Michizane è però giunta fino a noi, e neppure si hanno utagatari che ne raccontino le vicende amorose alla stregua di alcuni suoi celebri contemporanei come Ariwara no Narihira (Ise monogatari) o Fujiwara no Tokihira (Ōkagami, “Tokihira den”), il che rende impossibile dimostrare l’esistenza di un Michizane quale “cortese amatore”.

La scarsità di poesie in giapponese giunte fino a noi, se da una parte rende difficile un’analisi esaustiva della sua attività come kajin, dall’altra ci suggerisce però una minore attenzione di Michizane nella trasmissione della sua produzione in giapponese rispetto a quella in cinese, testimoniata invece dalla presentazione delle tre raccolte della famiglia Sugawara all’imperatore Daigo, e dalla compilazione dell’ultimo libro, il Kanke kōshū, che sebbene scritto interamente durante i due anni di esilio a Dazaifu, fu inviato prima della morte al fidato amico Ki no Haseo, e da lì si diffuse e divenne noto a corte.81

Anche da questo sbilanciamento di testi disponibili deriva l’identificazione odierna di Michizane con la tradizione della poesia cinese, ma questo riflette una iniziale convinzione dell’autore stesso che fosse lo shi e null’altro, la vera specialità tipica della famiglia Sugawara, come dichiara egli stesso nella poesia Abbandono lo studio della cetra cinese.82 Un’altra conferma della sua predilezione per il kanshi la avremo durante la Visita Imperiale a Miyataki (cfr. V-4.3), dove nonostante si trovasse in mezzo a poeti di waka, cerca ostinatamente di comporre in cinese.

madre del secondo), che era una grande amante del Genji. Da un commento di Fujiwara Katsumi durante una sua lezione all’Università di Tokyo nell’anno accademico 2008-9.

77 寛平御時后宮歌合. 78 是貞親王家歌合.

79 Ma in alcune versioni anche più di venti. Cfr. Borgen 1986, pp. 144-145.

80 Come dichiarò Confucio: «la lingua di una donna può cacciarti via; l’incontro con una donna ti può portare a morte.

Quanto meglio andar libero e preservare i miei ultimi anni!», dallo Shiji di Sima Qian, Libro 27-17. Lanciotti 2000, p. 32.

81 Come dimostrano i riferimenti a poesie del Kanke kōshū nella letteratura successiva, ad es. nel Genji monogatari.

Cfr. VI-2.

In realtà le poesie in giapponese attribuite a Michizane non sono poche. Nel Kanke godenki (1106) nell’elenco delle raccolte compilate da Michizane compare scritto:

道真公所詠歌集曰菅家御集、有一巻83

La raccolta di uta [poesia giapponese] composte dal funzionario Michizane, cosiddetta Kanke goshū, ha un maki.

attestando quindi l’esistenza di una fantomatica raccolta di waka di Michizane compilata da lui stesso, detta Kanke goshū, della quale non abbiamo oggi traccia. Dato però che nel Kitano Tenjin

goden84 – una delle fonti più attendibili e complete sulla vita di Michizane compilato nella prima metà del X sec. da un nipote di Michizane – non vi è traccia di questa raccolta, Maeda Akihito85 conclude che si tratti dell’ennesimo “falso” creato dai discendenti o dai discepoli di Michizane sull’onda del culto di Tenjin, dalla seconda metà del X sec. in poi. Come dimostra l’aumento delle poesie di Michizane nelle raccolte imperiali di waka successive al Kokinshū, il dilagare del culto di Tenjin (cioè la versione divinizzata dello spirito di Michizane) favorì non solo il riscatto della sua reputazione di funzionario, ma anche la diffusione delle sue poesie, nonché la nascita di “falsi” composti su ispirazione della vicenda di Michizane, in particolare relativi al suo esilio.

Le principali fonti di tutti questi waka attribuiti a Michizane sono le raccolte imperiali di waka (35 poesie), l’Ōkagami (20 poesie), e un numero eccezionale (ben 61) di raccolte private attribuite a Michizane stesso. Tutte queste raccolte e buona parte delle poesie incluse nelle raccolte imperiali sono ritenute non originali, come dimostra Maeda,86 il quale riduce addirittura il numero di poesie che possiamo ritenere con certezza autentiche a solamente cinque. Queste cinque poesie sono quelle composte da Michizane prima del suo esilio, in occasione di due eventi pubblici ampiamente documentati e quindi filologicamente provati, ovvero il Dairi kiku awase87 (tra l’890 e l’897) e il

Miyataki gokō88 (dell’898).

Per quanto poche, queste cinque poesie in giapponese di Michizane sono però a mio parere di grande importanza, e ne tratterò quindi più approfonditamente in seguito (cfr V-4). Ritengo infatti che queste cinque poesie siano un piccolo ma fondamentale esempio del passaggio e dell’interscambio (non univoco) tra poesia cinese e giapponese nel Giappone del IX secolo, esattamente come lo Shinsen Man’yōshū e il Chisatoshū. Un confronto fra tutte queste fonti, appartenenti allo stesso periodo e lo stesso ambiente culturale – la corte Heian della fine del IX secolo – non è stato a mio parere ancora sufficientemente trattato, neppure dagli studiosi giapponesi.

83 Cit. in Maeda 2006, p. 40. 84 北野天神御伝. 85 Ibid. 86 Ibid. pp. 23-25. 87 内裏菊合. 88 宮滝御幸.