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Capitolo V La poesia di Sugawara no Michizane

4. Michizane tra waka e kanshi

4.4. Michizane tra Hitomaro, Yuan Zhen e Mitsune

Porterò ora altri esempi, mutuati da studi precedenti ma da me approfonditi, riguardo il rapporto tra kanshi giapponese e waka, soprattutto per quanto riguarda la necessarietà del primo nei confronti dell’evoluzione e consolidamento del secondo.

293 Parte di questo paragrafo è stata alla base del mio intervento all’annuale Convegno Aistugia 2010, presso

Nel primo libro sulla Primavera del Kokinshū compare la seguente poesia di Ōshikōchi no Mitsune (ca. 859- ca. 925), poeta e compilatore della stessa raccolta.

月夜にはそれとも見えず梅の花香をたづねてぞ知るべかりける294

Nella notte di luna non si vede nel suo candore il fiore di susino; ma sulla scia del profumo ecco, lo riconosco.

Questa poesia è, insieme ad altre due che la accompagnano nel Kokinshū, il primo esempio di

waka nel quale si canta il profumo del fiore di susino di notte. Nel Man’yōshū vi sono infatti esempi

di poesie sulla bellezza del fiore di susino che sboccia nella notte di luna, ma non compare l’idea del profumo. Sul versante cinese, sin dal periodo delle Sei Dinastie (220-589) sono abbondanti le poesie sul profumo del fiore di susino,295 ma nessuna di queste presenta uno scenario notturno. L’unione delle tre immagini, profumo, notte/oscurità e susino compare in Cina verso la metà del periodo Tang, con Bai Juyi e il suo amico Yuan Zhen, per esempio in una poesia di quest’ultimo:

風柳結柔援 露梅飄暗香296

Vento tra i salici legati in flessuoso sipario Di rugiada il susino diffonde nel buio il profumo

Secondo Kojima Noriyuki,297 è a questi due poeti che Mitsune si ispirò per la composizione del suo waka, ma a questo proposito Fujiwara Katsumi fa notare come l’associazione profumo/susino/notte fosse già diffusa nell’ambiente del kanshi giapponese, ed ovviamente presente in Michizane ad esempio nella già vista prima poesia del Kanke bunsō composta a soli 11 anni (855) che riporto qui per comodità di lettura.

月夜見梅花 月耀如晴雪 梅花似照星 可憐金鏡転 庭上玉房馨298

Notte di luna, guardando i fiori di susino Il bagliore lunare come neve tersa appare e i fior di susino somiglianti a stelle brillanti. Che incanto! Lo specchio dorato che gira e

su tutto il giardino, di ghirlande di gemme la fragranza

Sebbene in entrambe le poesie non compaia la formula “profumo nell’oscurità” la somiglianza con i versi di Yuan Zhen sono evidenti in entrambe. Se a questo aggiungiamo che la poesia di quest’ultimo è intitolata “Luna di Primavera”, ci rendiamo conto di quanto probabile divenga il riferimento. Se consideriamo la data di composizione della poesia di Michizane (856) rispetto a quella di Mitsune, sicuramente successiva – le indicazioni biografiche di Mitsune sono incerte, ma sicuramente era un contemporaneo di Ki no Tsurayuki, dunque attivo a cavallo di IX e X sec. – non

294 KKS I-40. Ho qui sostanzialmente ricalcato la traduzione di Sagiyama Ikuko (Sagiyama 2000) con l’unica

variazione dell’ultimo verso, che ho voluto tradurre più fedelmente all’originale con “ecco lo riconosco” piuttosto che “eccolo apparire” utilizzato da Sagiyama. Il motivo di questa scelta è che in giapponese non è chiaro se il fiore effettivamente è visibile, oppure viene solo riconosciuto per via del suo profumo nell’oscurità.

295 梅香. Come è noto questo composto andrà poi ad indicare semplicemente il fiore di susino. 296 春月(Chun yue), in Qian Tang Shi.

297 Kojima 1976, p. 324. 298 KBKK I-1.

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possiamo che concordare con Fujiwara che pone il primo (Michizane) come probabile precedente del secondo (Mitsune), per quanto riguarda l’adozione di questa immagine del profumo del susino di notte.

Fermo restando la validità della tesi di Fujiwara, vorrei qui far notare un aspetto che dimostra in maniera abbastanza evidente le differenze di stile tra il primo Michizane e il waka del Kokinshū. Mentre in Michizane, oltre alla percezione del profumo, si ha un contatto visivo diretto con i fiori di susino paragonati a stelle brillanti, per via dell’effetto della luce lunare su di essi, nel waka di Mitsune si ha una sorta di negazione di quel contatto visivo con l’espressione sore to mo miezu, lasciando la percezione dell’esistenza del fiore esclusivamente alla sfera olfattiva. Nella sua poesia, Yuan Zhen, pur titolando “Luna di Primavera” e descrivendo un paesaggio notturno tutt’altro che oscuro (la poesia si apre col verso “La luna di Primavera, ecco, giunge luminosa”, e fanno la loro comparsa i termini xue “neve”, shuang “brina” e guang “luce”), pone, con la formula “profumo nell’oscurità” anxiang, il fiore di susino nell’oscurità lasciandone percepire la presenza solo dal profumo, cosa che può essere intesa come una negazione, o almeno una mancanza del contatto visivo, in maniera analoga al waka di Mitsune. Dunque da questo punto di vista, mentre la poesia di Michizane ricorda lo shi di Yuan Zhen nella descrizione di un paesaggio notturno, ma quasi abbagliante (luna, bagliore, neve, fiori, stelle, specchio, oro), Mitsune sembrerebbe focalizzarsi esclusivamente sul profumo nell’oscurità: il fiore si sente ma non si vede.

Questa lettura del fiore nell’oscurità è però errata. In realtà anche il waka di Mitsune ricalca il modello cinese e di Michizane nel porre lo scenario non nell’oscurità, bensì in un’abbagliante luce. Prima di tutto la luminosità è indicata da “notte di luna” (tsukiyo) nel primo verso – luna e che implicitamente è anche una luna di Primavera, in quanto questo waka è contenuto nel primo libro del Kokinshū. Come conferma il commento alla poesia di Mitsune nel Nihon koten bungaku zenshū «Il colore dei fiori bianchi si mescola a quello della luce lunare, e non si capisce quale sia il fiore»299. Quindi in questo caso, il non-apparire (miezu) del fiore, non è causato dall’oscurità, bensì al contrario dalla luce lunare, che confonde il fiore di susino (bianco) e lo rende indistinguibile, o meglio non identificabile nell’abbagliante paesaggio notturno. Il sore to mo non è quindi da leggersi semplicemente come “quello” ma piuttosto come “per quello che è”. I fiori di susino non “appaiono per quello che sono” ma sembrano “qualcos’altro”. È solo attraverso il profumo che ecco,

shirubekarikeru, cioè li si “conoscono” o meglio “riconoscono” come fiori di susino. Questa lettura

apparentemente complicata è supportata dal seguente appunto. Il principio base del mitate del

Kokinshū è, come è noto, quello della sorpresa nello scoprire che ciò che si pensava essere A (ad es.

fiore etc.) è in realtà B (ad es. neve); ed in questo caso, proprio perché l’autore è Mitsune cioè uno dei compilatori del Kokinshū, tenere presente questo aspetto può diventare la chiave di lettura di tutta la poesia.300 Quindi, ricostruendo il processo logico, il poeta vede qualcosa di bianco e splendente alla luce lunare, ma solo attraverso il profumo che emana, ecco, capisce che si tratta di fiori di susino. Vi è quindi qui quello che vorrei denominare “mitate ellittico”, cioè un mitate nel quale uno dei tue termini, A o B, viene omesso, sottinteso. Il fiore di susino agli occhi di Mitsune “sembrava qualcos’altro”, senza specificare cosa questo “qualcos’altro fosse”. Per quale motivo Mitsune non utilizza un comune mitate, ma lascia aperta e ambigua l’interpretazione di questa scena (tanto che qualcuno potrebbe fraintenderla come “fiori di susino nell’oscurità”)? Il motivo credo sia da ricercare nel tentativo di rinnovamento retorico di compilatori del Kokinshū che come è noto ha nella codificazione la sua chiave di volta. Andiamo per gradi.

Come abbiamo detto in precedenza, i numerosi mitate presenti nella poesia di Michizane, erano già abbastanza diffusi nel kanshi giapponese tanto da essere utilizzati da un poeta undicenne alla sua prima esperienza compositiva. Questo ci porta a considerare che, in quanto a novità, per i poeti come Mitsune non doveva apparire molto interessante limitarsi ad un mitate che era già in voga da mezzo secolo, tanto da rendere evidentemente scontato che, se in una poesia si osservano dei fiori di susino in una notte di luna, ecco che la prima cosa che viene in mente è di paragonarli a qualcosa

299 NKBZ, vol. 11, p. 44.

di luminoso, stelle, neve, brina o quant’altro. L’origine di questa associazione susino-neve, e la trovata del non poter distinguere i fiori per via della neve è d’altra parte molto antica, comparendo addirittura in una poesia del Man’yōshū e in una del Kokinshū attribuita a Hitomaro.

梅花それとも見えず久方の天霧る雪のなべて降れれば

Il fiore di susino distinguerlo non posso, ché, offuscando il cielo, la neve avvolge tutto in un bianco velo.301

梅の花それとも見えず降る雪のいちしろけむな間使遣らば302

Il fiore di susino non appare per quel che è. Come la neve è chiaro, dice il servitore che mando [a vedere]

Per quanto riguarda la prima poesia, l’attribuzione a Hitomaro è incerta, ma secondo il commento del NKBZ303 si tratta comunque di una poesia piuttosto antica. Le due poesie condividono fra l’altro con quella di Mitsune la formula sore to mo miezu attribuita a ume no hana, e volendo l’ultima ricorda il tazuneru (cercare, andare a vedere) di Mitsune nell’ultimo verso “inviare il servitore [a controllare]”. L’ultima poesia è parafrasata nel NKBZ come “è difficile distinguere quali siano i fiori di susino, tanto la neve che cade attira l’occhio umano, se invio un servitore [a vedere]”, ma nella traduzione in italiano continuo a preferire la formula più letterale “non appare per quel che è”.

Passando al periodo dei Rokkasen troviamo in generale il mitate di neve e fiore (di susino) con la poesia di Sosei

春たてば花とや見らむ白雪のかかれる枝に鶯ぞ鳴く304

Il giorno varca la soglia di primavera e sul ramo innevato leva il suo canto un usignolo: forse al suo occhio la candida neve è divenuta fiore?

Nel periodo dei compilatori e anche in seguito, come è dimostrato dai numerosi esempi di susino e neve o fiori e neve che compaiono nello Tsurayukishū o nel Mitsuneshū, si rafforza e si elabora ancora di più questo legame, tutto giocato sul “confondere” (magau) il fiore con la neve e viceversa, per esempio in Tsurayuki

降る雪に色はまがへばうちつけに梅を見るさへ寒くざりける305

Della neve che cade confonde il colore, e solo a vederlo, il fior di susino, ecco ne sento il freddo. che, in un momento in cui il freddo si era mitigato (nonostante fossimo ancora, secondo il

kotobagaki, nel dodicesimo mese), vedendo i fiori di susino gli sembra di sentire il freddo della

neve. Anche di questa similitudine possiamo trovare un corrispettivo in Michizane, ad esempio nella sua seconda poesia composta a quattordici anni, col verso

雪点林頭見有花306

La neve punteggia le cime degli alberi, son fiori allo sguardo.

che presenta un perfetto mitate in stile Kokinshū mezzo secolo prima del Kokinshū stesso. Con questi esempi credo di aver dimostrato come, all’inizio del X secolo questa immagine fosse più che nota, direi addirittura usurata.

301 KKS VI-334 302 MYS 10/2344 303 NKBZ, vol. 11, p. 144. 304 KKS I-6. 305 TS 160. 306 KBKK I-2.

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Venendo quindi alla mia spiegazione sul perché Mitsune abbia omesso un termine del mitate nella sua poesia, penso di poter dire che il poeta, per superare una convenzione già largamente diffusa nel secolo precedente, ricorra ad uno stratagemma che, dando per scontato, per universalmente noto il

mitate di cui sopra, lo omette spostando l’attenzione su di un’altra sfera sensoriale, quella olfattiva.

Mitsune dà cioè per scontato che in una notte di luna il fiore di susino sia obbligatoriamente ben irradiato dalla luce lunare da apparire come neve, o stelle o quant’altro, come stabilito dalla tradizione precedente. Invece di ricalcare questa immagine ormai scontata, Mitsune elabora uno stratagemma, che non è quello di porre il susino al buio – cosa che avrebbe stonato, rotto in maniera troppo forte con la tradizione – ma aggiungere un elemento “nuovo” – il profumo – come soluzione di questo mitate. La sorpresa, elemento chiave del mitate, è data non tanto dal confondere il susino con qualcos’altro, quanto nello “scoprire” la realtà grazie al profumo.

Si raggiunge qui un livello di codificazione altissimo, per apprezzare il quale è necessaria non solo la conoscenza della tradizione del waka rappresentata dal Man’yōshū, ma anche la conoscenza del

kanbun sia cinese che giapponese. A differenza del waka infatti, il kanshi dispone, per via della sua

maggiore lunghezza, di un maggiore spazio descrittivo, e dunque nella poesia di Michizane possono tranquillamente trovare posto, in soli quattro versi, numerosi elementi come susino, luna, stelle, profumo, specchio, oro etc. Nel waka questo spazio non c’è, ma è sufficiente menzionare un fiore di susino per richiamare alla mente del lettore le associazioni pre-testuali che invece troviamo esplicite nel kanshi.

In conclusione è solo attraverso la comparazione trasversale di queste tre tradizioni poetiche, ovvero shi cinese, kanshi giapponese e waka che possiamo comprendere appieno il valore di questa poesia del Kokinshū, e questo dimostra l’importanza del kanshi giapponese non solo come corridoio di passaggio delle immagini cinesi nel waka, ma come vero e proprio laboratorio poetico, base fondamentale almeno quanto il Man’yōshū, per la successiva tradizione di waka. Sebbene infatti il paragone neve-fiore di susino basato sul colore bianco fosse già presente nel Man’yōshū, l’inserimento della luce lunare e dello scenario notturno sono invece originari dello shi. Come ho già accennato, nonostante Michizane sia da considerare un caso particolare per quanto riguarda la precocità con la quale risulta ricettivo all’importazione della nuova poesia cinese di Bai Juyi e Yuan Zhen – la raccolta completa di Bai Juyi, il Baishi Wenji fa la sua comparsa in Giappone durante l’era Jōwa (834-848) – i versi che abbiamo analizzato sono pur sempre il prodotto di un giovane alle prime armi nella composizione della poesia in cinese. Per quanto secondo Fujiwara Katsumi si possano già rintracciare alcune tendenze caratteristiche fin da questi due primissimi componimenti, è comunque lecito pensare che le immagini scelte da Michizane in queste poesie fossero abbastanza diffuse e note ai poeti giapponesi dell’epoca: con tutta probabilità lo stesso padre di Michizane, Sugawara no Koreyoshi, della cui opera purtroppo non rimangono che pochi frammenti, era già avvezzo a questo genere di similitudini e ne aveva trasmesso lo stile al figlio. Ma è proprio nella probabile non-originalità di queste prime poesie di Michizane che questi esempi hanno al contrario maggior valore, poiché dimostrano come determinati mitate o elementi poetici che saranno in seguito caratteristici del waka fossero ampiamente diffusi nel kanshi giapponese tanto da essere utilizzati da un principiante – per quanto dotato e ben addestrato.

Con questo credo di aver fornito ulteriore dimostrazione all’intuizione di Fujiwara che vuole la poesia di Michizane come ispiratrice di Mitsune, e di aver evidenziato non solo il passaggio di immagini da shi a waka ma soprattutto la rielaborazione, la libera associazione e la ri-costruzione di associazioni (metaforiche o semantiche) all’interno di queste poesie le quali non azzerano la tradizione precedente utilizzando immagini del tutto nuove, bensì riutilizzano al punto da rendere al contrario necessaria la conoscenza della tradizione, o meglio, di entrambe le tradizioni, per la comprensione del nuovo prodotto poetico.