Capitolo V La poesia di Sugawara no Michizane
1.1 L’ultima poesia nella Capitale
Una delle poesie che a mio parere rappresenta al meglio tutta la poesia di Michizane è quella scritta nell’inverno del 900, un mese prima di essere esiliato, indirizzata a uno dei figli.
È quindi una poesia di carattere privato nella quale emerge con chiarezza quelle che Fujiwara definisce «espressioni allegoriche che veicolano i sentimenti»,1 e che in ultima analisi rappresentano il tratto distintivo di Michizane rispetto agli altri poeti del suo tempo.
冬日感庭前紅葉,示秀才淳茂 山冪寒雲水結冰 在家一樹敢難勝 茅蒐霜染憐無限 刀刃風裁惜不能 孤立如逢衣錦客 四分疑伴散花僧 菊枯蘭敗梅猶嬾 詩興當追落葉凝2
Un giorno d’inverno, commosso dalle foglie rosse davanti al giardino, presentata al
monjōtokugōshō3 Atsumochi4
La montagna rivestita di gelide nubi, l’acqua legata in ghiaccio Nel giardino di casa un albero, [alla cui vista] è dura resistere
1 In originale: 比興的寓意感託表現 Fujiwara 2001, p. 288. Hi e kyō sono corrispondono a due dei sei sama o stili di
poesia citati da Tsurayuki nel Kanajo, ovvero la similitudine e l’allegoria. Fujiwara li utilizza sottointendendo le 寄物 陳思 “espressione dei sentimenti a partire da un oggetto” del Man’yōshū.
2 KBKK k-475.
3 Xiucai termine cinese per monjōtokugōshō, cioè i due migliori studenti monjōshō del Daigakuryō. Lett.
“straordinario talento”.
4 Atsumochi era il quarto figlio di Michizane, con l’esilio del padre viene cacciato anche lui dalla capitale e mandato
a Harima (odierna prefettura di Hyōgo). In seguito alla revoca delle accuse a Michizane viene richiamato alla capitale e diviene kami del Daigakuryō e monjō hakase. Alcune sue poesie sono raccolte nell’Honchō monzui 本朝文粋.
L’erba di robbia,5 tinge la brina, un’emozione senza fine
Come lama d’un coltello il vento miete, una pena a cui non reggo
Solitario in piedi, come ad incontrare un viaggiatore vestito di broccato.6
Gettate ai quattro venti, ti diresti in compagnia d’un prete che sparge i fiori7 Il crisantemo è secco e il loto spezzato, il susino ancora malinconico Di poetico in tutto questo, vi è solo il cadere delle foglie.
Kawaguchi interpreta questa poesia, inviata al figlio che al tempo era studente di letteratura al
Daigakuryō, come un incoraggiamento nella composizione dello shi, attività che come abbiamo
visto veniva spesso dimenticata da altri – la maggiorparte? – letterati del periodo, che privilegiavano discussioni più “pratiche” – per Michizane sterili – sui Classici. In questa giusta lettura possiamo osservare l’attenzione di Michizane per l’educazione dei propri figli, secondo quello spirito di orgoglio di appartenenza a una famiglia di letterati più volte dichiarato dallo stesso nelle sue poesie.
Ma questa poesia è anche un’istantanea dello stato d’animo di Michizane a poche settimane dalla sua improvvisa espulsione dalla capitale. Come abbiamo detto, Michizane era una persona perspicace oltre che accorta: sebbene assecondare i progetti di Uda, che lo voleva chiaramente porre in una posizione di spicco nella corte, stimolava il genuino orgoglio di Michizane come politico e letterato, si rendeva benissimo conto che la posizione in cui era lo rendeva il facile bersaglio di critiche da buona parte della corte, e in particolare dall’alta aristocrazia. Questa poesia può essere quindi letta come una sorta di avvertimento per il figlio, alla stregua di quanto doveva aver fatto Koreyoshi per Michizane a suo tempo.8
Senza dubbio il paesaggio descritto e i sentimenti veicolati, seppur consoni al momento stagionale, ci delineano uno stato d’animo non esattamente lieto e sereno. Al contrario, i crisantemi, una delle passioni botaniche di Michizane, e il susino, spesso associato al poeta, sono secchi e privi di fiori, e per quanto possa sembrare un’interpretazione a posteriori dettata dai successivi sviluppi a noi noti, non possiamo fare a meno di vedere in questa poesia il presagio di una caduta. Tanto più che, trattandosi di un componimento inviato al figlio, e quindi privo delle restrizioni della poesia formale, abbiamo un motivo in più per intenderlo come un sincero riflesso delle preoccupazioni e stati d’animo di Michizane in quel momento critico.
Da un punto di vista stilistico, è da sottolineare l’uso di similitudini tra mondo naturale e mondo umano, legati tra loro da una comune sensibilità; è quello che Fujiwara9 indica con la definizione «espressioni di insolita allegoria veicolante il sentimento», intendendo il risultato di fusione tra le metafore “insolite” (noi diremmo allegoriche) già presenti nel Classico delle Odi o nelle Arie di Chu – come l’associazione nubi = falsa accusa – con il lamento delle sventure dell’esistenza umana, tecnica già adottata da Bai Juyi (ad es. in Nove scritti indirizzati a Yuan Zhen10). Anche Michizane in molte sue poesie non si limita alla mera contemplazione della natura ma coglie in essa lo spunto
5 Maosou: secondo Kawaguchi (1966, p. 475) corrisponde alla giapponese akanegusa, ovvero la rubia argyi
(sinonimo rubia akane), sottospecie della rubia cordifolia, un’erba diffusa in Asia, Europa e Africa e utilizzata come materia prima per la produzione del colore rosso. Iwatsuki Kunio, Yamazaki Takashi, David E. Boufford e Ōba Hideaki, Flora of Japan IIIa, 1993 p. 232. In italiano corrisponde alla robbia (detta anche rubia tinctorum o rubia maior). Il problema è che la robbia di per sé non ha foglie rosse, ma, al limite, solo le radici (utilizzate per l’estrazione dell’alizarina, un colorante rosso). In questa poesia quindi non si indica la presenza della pianta di robbia, bensì si paragona le foglie d’autunno al colore della robbia. Si gioca inoltre sull’ambiguità della brina che – congelando le foglie ne accelera l’ingiallimento – e delle foglie rosse che al contrario tingono la brina.
6 Si riferisce ovviamente all’albero dalle foglie rosse. Il termine “abito di broccato” è presente in Li Bai, nella poesia
越中懐古詩: 越王勾践破誤帰、義士還家尽錦衣. Cit. in Kawaguchi 1966, p. 476. Per l’associazione foglie autunnali-broccato cfr. V-4.3.a.
7 In giapp. sangesō, lett. monaco che sparge i fiori. Monaci erranti che spargono dei fiori per la strada recitando
preghiere al budda.
8 KBKK I-87.
9 Fujiwara 2001, p. 288.
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per una riflessione di carattere diverso, sia esso politico (come in Poesia di brina e crisantemo dove vi si associa il concetto di fedeltà, cfr. IV-5.7), sociale (le poesie allegoriche a Sanuki, dove si associa la compassione per i poveri, cfr. IV.4.4), che religioso (Risposta in vece della luna dove vi si associa l’idea di una rassegnazione dettata da leggi cosmiche, cfr. V-2.4). Anzi, sembra quasi che gli elementi naturali siano lo strumento per esprimere, in una perfetta coniugazione di forma e sentimento, il messaggio portante della poesia.
Non voglio qui affermare che in ogni poesia di Michizane si debba ricercare un secondo significato, alla stregua di certa letteratura allegorica del medioevo europeo, e d’altra parte lo stesso Fujiwara è molto prudente su questo punto. Innegabile è però che, alla luce di un confronto col
waka del Kokinshū, il legame tra mondo naturale e mondo umano nello shi di Michizane, che
condivide col waka alcune espressioni e lessico, risulti però di natura diversa, per certi versi più esplicita, sicuramente più funzionale a un’idea ragionata di poesia; nonostante abbia da una parte una fondamentale vena di lirismo, dall’altra si basa su una visione quasi strumentale della letteratura come esercizio delle funzioni intellettuali in senso lato, e come applicazione della cultura a campi come la politica e l’amministrazione dello stato – cioè quell’idea di letteratura “attiva” che ha origine nell’ideale di «letteratura per il governo del paese» ma soprattutto nell’esempio di poesia allegorica di Bai Juyi.
In particolare, il verso “il crisantemo è secco e il loto spezzato, il susino ancora malinconico” per Fujiwara «è chiaro che mentre descrive il paesaggio invernale, sottointenda la condizione di fallimento dell’intenzione di fedeltà del poeta»,11 e l’albero rimasto solo nel giardino, colpito dal vento e dalle intemperie simboleggi lo stesso Michizane che, dopo l’abdicazione di Uda è rimasto sempre più isolato nel mondo politico. Questa lettura prettamente allegorica della poesia, potrebbe sembrare azzardata se riferita ad altri poeti giapponesi, ma in Michizane risulta perfettamente accettabile, considerate sia le vicende di vita che l’evoluzione dello stile personale del poeta – dalle poesie in cui racconta le prime difficoltà come funzionario, a quelle in cui allegorizza le sofferenze del popolo a Sanuki – e soprattutto il fatto che ciascuno di questi atteggiamenti abbia il suo precedente in Bai Juyi.
Per certi aspetti possiamo dire che Michizane, pur nella sua rielaborazione degli elementi poetici e delle espressioni in chiave giapponese – alcune poesie del periodo di Sanuki mostrano riferimenti inequivocabili alle fattispecie dell’arcipelgo – risulta essere più autenticamente vicino al modello cinese (in particolare di Bai Juyi, ma non solo) di quanto non lo fossero i poeti della prima metà del IX secolo (cioè quelli delle tre antologie di kanshi), con il loro pedissequo ricalcare le forme dello
shi cinese. Quello che ad esempio mancava nelle poesie dell’imperatore Saga, che propugnava
l’ideale di letteratura per il governo dello stato, si ritrova invece concretamente realizzato in Michizane, con una nuova e critica – seppur penosa e sconsolata – constatazione che tale ideale in Giappone non avesse sostanzialmente modo di attecchire stabilmente: mi riferisco alla critica sociale, l’ammonimento morale, e la convinzione di fondo che, shi o fu che sia, ogni verso ed ogni carattere di una poesia non doveva limitarsi ad essere un mero isolamento nella letteratura, ma doveva bensì avere un riscontro e una funzione nel mondo reale.12
Vedremo come, fino alle ultime poesie di Michizane, questo atteggiamento e convinzione non abbandoneranno mai il poeta, sebbene si possa osservare una specie di catarsi coniugata a una maggiore presenza di elementi religiosi, che pure non rinnega gli antichi valori.
2. La poesia in esilio: il Kanke kōshū