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Il Conduttore e il suo pubblico: una dittatura benevola

Nel documento Schermi di carta (pagine 45-49)

3.6 Il Conduttore e la «gente»

3.6.1 Il Conduttore e il suo pubblico: una dittatura benevola

Il rapporto che il Conduttore instaura con la gente passa attraverso il pubblico presente in sala, infatti a questo momento è dedicato un piccolo spazio prima dell’inizio della trasmissione. Il microfono che passa di mano in mano si carica di un forte simbolismo diventando la metafora dell’attenzione che il Conduttore riserva alla gente comune che per qualche istante può uscire dalla sua passività prendendo parte allo spettacolo. Gli spettatori si sentono protagonisti di questi pochi istanti, ma Doninelli mostra quanto sia illusoria questa loro convinzione. L’unico che trae vantaggio da questo confronto è il Conduttore stesso che nel concedere spazio agli inascoltati non fa altro che riconfermare la propria magnanimità e la propria centralità. L’autore dice che il Conduttore «nel parlare col pubblico appariva particolarmente serio in viso. Forse voleva convincere gli spettatori che questa, secondo lui, era la parte più autentica della trasmissione, perché era fuori scaletta. Però si vedeva benissimo che non era questo ciò che pensava» [TS 21]. Doninelli dimostra che l’intento reale del Conduttore non è quello di dar voce al pubblico ma è quello, molto più egoistico, di dimostrare la propria attenzione nei confronti della gente cosicché il suo ruolo di garante degli interessi comuni ne esca rafforzato. I pochi brandelli di autenticità che sopravvivono a questo scambio artificiale vengono ulteriormente smantellati dalla sbrigatività con cui il Conduttore gestisce l’andamento del dibattito: «se gli interventi del pubblico si facevano un po’ troppo lunghi lui subito si seccava, e se scoppiava un battibecco immediatamente decideva per chi tifare, in modo da chiudere alla svelta il match» [TS 21]. A questo atteggiamento sbrigativo il Conduttore ne oppone uno più conciliante e rassicurante da cui emerge un’umanità artificiale che però appare spontanea al suo pubblico: «Il Conduttore intendeva lanciare un messaggio che a me

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parve questo: “Purtroppo c’è una scaletta da rispettare, perché questa è la dura legge della televisione; però sappiate che vorrei ascoltarvi uno per uno”» [TS 21].

Nei confronti degli spettatori il presentatore ha un atteggiamento paternalistico che sancisce la distanza fra loro. Il Conduttore permette al suo pubblico di orientarsi nel mare magnum delle opinioni divergenti e contrastanti fornendo loro una chiave di lettura prefabbricata che li solleva dalla responsabilità di elaborarsi una propria idea dell’argomento trattato. Gli spettatori vengono guidati dolcemente verso la verità dalla figura autorevole del Conduttore, essi annullano la loro capacità di discernimento aderendo totalmente alla realtà preconfezionata che viene loro fornita. La verità che il Conduttore somministra ai telespettatori non si trova nella puntualità delle sue argomentazioni, ma nell’autorità e nella credibilità che è riuscito a costruirsi presso di loro. Nel romanzo il potere e l’influenza del presentatore vengono rese evidenti dalle sue stesse parole: «“Non avrò combinato molto in questi anni, ma un pubblico come si deve l'ho tirato su – un pubblico voglio dire che sa apprezzare la sincerità...”» [TS 38]. Non sono la forza e la validità dei ragionamenti dell’uomo a convincere il pubblico, ma sono la sua mutevole visione del mondo e la sua autorità a farlo. Per il pubblico la posizione del Conduttore non può nascondere interesse o faziosità perché, come già detto, è un «uomo che non vuole ingannare» e che si fa portatore di verità e giustizia. Doninelli, però, svela la pallida fermezza che si nasconde dietro a quello che apparare come una semplice manovra politica, una manovra che nasconde una doppiezza di intenti, una capacità di calcolo che gli spettatori più ignari non riescono a cogliere:

«Vede, qui», aggiunse, avvicinandoglisi e parlando più sottovoce, come se volesse fargli una confidenza, «vede, caro mio, noi del mestiere...»

E fece una faccia come di chi la sa lunga. Io, però, di nuovo non capii bene quello che intendeva, ma stavolta nel non capire capii che lui non voleva farsi capire ossia – per uscire dai bisticci – che nella comunicazione televisiva esisteva una vasta area di ambiguità, un oceano di non-chiarezza i cui moti imprevedibili decidevano anche del senso che avrebbero assunto le parole chiare.

Di quest’area buia, insieme chiacchierona e silenziosa, il Conduttore era il re. Lui non aveva ideologia, non era servo di partiti o di padroni, lui era molto più di tutto questo. Lui non esprimeva una visione del mondo, ma poteva esprimerne tre o quattro in una stessa serata, magari contraddittorie tra loro. Questo non avrebbe fatto che accrescere il suo potere. [TS 48]

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Doninelli ci svela il trucco che si nasconde dietro la capacità del Conduttore e di tutti i conduttori di talk show di incarnare posizioni che trovano sempre ampia condivisione. Il trucco sta nel non avere una posizione effettivamente netta e ferma, ma nell’averne una che sia estremamente fluida, ma che sembri e suoni come ferma. Il Conduttore gioca in questo spazio di ambivalenza in cui si può oscillare senza scegliere un piano su cui fermarsi. L’uomo svela la sua sottile intelligenza nella capacità di muoversi nello spazio di ambiguità tra le cose, scegliendo di volta in volta da che parte stare e quale posizione assumere. Il Conduttore è camaleontico, cangiante e ondivago, quindi è in tutto e per tutto simile al suo pubblico.

La doppiezza e l’ambiguità del personaggio hanno finito per avere una forte incidenza anche sulla sua fisionomia finendo per diventare qualcosa di corporeo:

Erano occhi guizzanti, caldi e pieni di un’ironia costruita pezzo per pezzo – quell’ironia che, quando se ne va, lascia il posto all’ira che l’ha generata. Molti personaggi famosi, molti uomini pubblici hanno quest’ira in fondo agli occhi. Era l’ira di chi ha successo? L’uomo pubblico non si esprime più con gli occhi, che sono semplici strumenti del suo lavoro. E la forma della bocca, il suo taglio, a parlarci dell’uomo. La bocca di chi ha accettato qualunque condizione pur di affermarsi assume sempre una forma caratteristica: il disgusto di un tempo si è trasformato in una specie di smorfia crudele e insieme buffa, che suggerisce un’idea di meccanicità. Il modo di parlare di tanti personaggi pubblici ricorda i pupazzi meccanici.

[TS 42-43]

La meccanicità del Conduttore ne rivela la capacità di accettare il compromesso persino con se stesso. Quest’uomo ha forzato la propria umanità privata per favorire la sua maschera pubblica e proprio a quest’ultima gli spettatori si affidano per essere guidati, l’autorità del Conduttore risiede tutta in questa apparenza.

Secondo Doninelli il pubblico è stato forgiato dalla conduzione del programma e sulle linee di quest’ultima calibra le proprie reazioni rispondendo agli stimoli del presentatore: «Sospettai che il pubblico reagisse secondo il volere del Conduttore, e non secondo il reale interesse delle cose dette» [TS 68]. L’influenza del presentatore coinvolge non solo i telespettatori ma si fa sentire anche nelle risposte degli spettatori dal vivo che, educati a seguire il loro autorevole condottiero, si trasformano in educatori ed esempio diretto per il pubblico a casa:

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Un altro pensiero mi venne, e lo riporto qui: che il pubblico presente in sala fosse in realtà un pubblico anch’esso televisivo, messo lì per insegnare a chi stava a casa come ci si doveva comportare. E come ci si doveva comportare? Una sola parola: bene. Ossia: civilmente. E cosa significa «civilmente»? La risposta a questa domanda non è una definizione, ma un’espressione idiomatica molto cara al Conduttore: su,

da bravo. C'è gente a cui non serve mai dire su, da bravo: sono, appunto, le persone

civili. [TS 68]

Gli spettatori non sono autonomi, ma devono essere educati dal Conduttore a reagire ai suoi suggerimenti, solo così si crea l’illusione della spontaneità. Il pubblico nella sua collettività sedata è incapace di guidarsi da solo, esso non si configura come un organismo indipendente, per questo si rende necessaria l’orchestrazione del Conduttore e l’esempio del pubblico in sala perché tutte le parti dell’orchestra inizino a suonare all’unisono. Le reazioni devono essere simultanee per apparire naturali, quindi l’uniformazione del pubblico è un passaggio fondamentale nell’economia del talk show. La questione lascia in sospeso una domanda: il pubblico viene educato dal Conduttore rinunciando alla propria spontaneità, oppure esso ha uno spazio di autonomia che però finisce col coincidere col volere del presentatore? La risposta di Doninelli a questo quesito non lascia spazi di ambiguità: è il Conduttore a orchestrare tutto, è lui che dà al pubblico il segnale perché quest’ultimo possa applaudire spontaneamente.

A questo, che era in ogni caso un commento, il Conduttore tentennò il capo in senso di approvazione e – poiché la scrittrice aveva urlato le ultime parole, forse in cerca di applausi – questo suo prolungato annuire funzionò come un viatico e il pubblico applaudi calorosamente, anche perché era da molto che non applaudiva più e probabilmente ne aveva voglia. [TS 73]

Il pubblico ha un suo spazio di autonomia che assume un sapore quasi illecito quando si discosta da quello del presentatore-guida. La leadership del Conduttore viene incrinata da queste sfasature col pubblico, per questo egli attua manovre correttive che riportino i colpevoli di quell’allontanamento sotto l’ala protettiva del suo comando.

«Stiamo perdendo la voglia di vivere a causa dello stato in cui abbiamo ridotto la vita».

Ci fu un modesto applauso – un applauso che mi parve libero dal consenso del Conduttore, e perciò un po’ eversivo. Ma il Conduttore, che oltretutto si sentiva un difensore civico, lo corresse immediatamente:

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«Dello stato in cui hanno ridotto la vita, professore: perché i poveracci e le brave persone non c’entrano per niente».

Subito risorse l’applauso, molto più potente e prolungato – forse il miglior applauso della serata. Intanto, io mi domandavo tra me: abbiamo o hanno? Ma, forse, era un problema da poco. [TS 74]

Doninelli sottolinea come le affermazioni forti e le accuse del Conduttore siano pronunciate non tanto per la puntualità del loro contenuto, ma per l’impatto emotivo che hanno sul pubblico. Le allusioni del Conduttore hanno, tra gli altri, lo scopo di strappare un applauso, infatti sono tanto vaghe da restare misteriose per il narratore. Il presentatore accusa qualche forza esterna e assente per assolvere e deresponsabilizzare tutti i presenti, tutto il suo pubblico. Gli spettatori sentendosi dalla parte giusta rafforzano il potere del Conduttore con la loro servizievole fedeltà. Doninelli si arrende a non trovare risposta indagando la veridicità delle affermazioni del Conduttore, perché sa che quelle affermazioni hanno uno scopo prettamente demagogico e non informativo. Il messaggio che l’uomo vuole trasmettere al suo pubblico è una profonda consapevolezza di dinamiche sommerse e misteriose di cui non può rivelare i risvolti più nascosti, ma di cui lui sa tutto. La sua vaghezza su argomenti tanto importanti non è altro che il modo in cui aumenta il proprio potere e la propria autorità nei confronti degli sprovveduti spettatori. La figura del Conduttore coincide con quella del colto nei villaggi contadini, l’alone di rispetto e di autorità che egli assume è dovuto alla netta separazione e alla lontananza di competenze tra lui che sa e la massa che ignora.

Nel documento Schermi di carta (pagine 45-49)