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Walter nei paradisi artificiali dell’Occidente

Nel documento Schermi di carta (pagine 106-110)

Il romanzo Troppi paradisi è il capitolo conclusivo della trilogia che lo stesso Siti ha definito (nella quarta di copertina della prima edizione del romanzo) un’«autobiografia contraffatta». Il testo rappresenta anche una sintesi di diverse riflessioni sulla televisione, sulla contemporaneità e sulla letteratura che l’autore aveva avviato negli anni precedenti.

Il protagonista e narratore del romanzo è un Walter Siti (da qui in poi indicato semplicemente come Walter) che però condivide con l’autore reale solo parte della sua biografia. Siti inserisce in un’impalcatura autobiografica dei «fatti non accaduti». Le

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premesse teoriche di questa mescolanza sono apertamente dichiarate nell’Avvertenza che l’autore pone all’inizio del libro:

Anche in questo romanzo il personaggio Walter Siti è da considerarsi un personaggio fittizio: la sua è una autobiografia di fatti non accaduti, un fac-simile di vita. Gli avvenimenti veri sono immersi in un flusso che li falsifica; la realtà è un progetto, e il realismo una tecnica di potere. Come nell’universo mediatico, anche qui più un fatto sembra vero più si può stare sicuri che non è accaduto in quel modo. [TP 688]

Siti pone l’accento sulle parole «sembra» e «veri» proprio a sottolineare l’intenzionalità della sua operazione narrativa. All’interno del romanzo non è possibile distinguere e separare la componente biografica da quella immaginaria. Questa operazione riflette la volontà dell’autore di riportare in letteratura quella stessa confusione che colpisce gli spettatori televisivi.

Il Siti saggista ha più volte sottolineato quanto questa mescolanza di realtà e finzione fosse una delle maggiori novità presentate a partire dal XVIII secolo dal romanzo moderno. In esso alla narrazione di fatti inventati si aggiungeva un abito di realtà che creasse l’illusione che ciò che veniva narrato non fosse fantasia dell’autore, ma testimonianza di fatti realmente accaduti. Nel romanzo moderno la descrizione della quotidianità permetteva a ciascun lettore di riconoscere la propria realtà in quella del testo. La televisione ha compiuto la stessa operazione di innalzamento della quotidianità a materia di narrazione generalizzando la tendenza inaugurata dal romanzo. Siti fa notare come le obiezioni che furono fatte al romanzo ora vengono rivolte alla televisione: «La quotidianità pura, banale, tanto comune che non merita di essere raccontata; ma proprio così era partito nel Settecento il grande romanzo moderno, le stesse obiezioni di banalità erano state rivolte a Defoe, a Richardson e a Rousseau»86. A questa osservazione l’autore ne aggiunge un’altra che ridimensiona la differenza tra la quotidianità del romanzo moderno e quella attuale promossa dalla televisione e dai media in generale: «Rispetto alla fine del Settecento, questo bisogno di far sembrare vero il finto si è molto subdeterminato sociologicamente: e soprattutto si è incrociato, su dimensione di massa, col bisogno complementare, quello di truccare con la finzione il vero»87. Le narrazioni si sono adeguate non solo al mutato contesto storico, ma anche a quello economico e sociale

86 SITI 2013b, p. 248. 87 Id. 2005, p. 73.

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della cultura di massa che cerca non dei semplici fruitori, ma dei compratori. Le narrazioni contemporanee (sia letterarie sia mediatiche) si trovano di fronte alla necessità di attrarre il maggior numero di persone, le masse appunto, col preciso scopo di vendere loro dei prodotti e dei modelli comportamentali. La banalità del quotidiano non è più un oggetto narrativo rivoluzionario. La realtà è stata vestita di finzione per poter attirare più pubblico finendo col diventare un prodotto intermedio né completamente irreale, né completamente reale.

5.2.1 Quando i paradisi diventano troppi

Il titolo del romanzo merita una riflessione. Il concetto stesso di Paradiso ha subito una trasformazione subendo una moltiplicazione. Il Paradiso delle grandi religioni è insufficiente a soddisfare i desideri della contemporaneità perché il suo raggiungimento non è né immediato, né acquistabile. Si è resa necessaria la costruzione artificiale di una serie di paradisi molto più accessibili in cui fosse garantito un posto a chiunque fosse in grado di acquistarlo. Nei paradisi artificiali i desideri trovano un loro soddisfacimento (parziale) nel presente, senza attese e senza restrizioni morali.

Credo che si possa essere d’accordo sul fatto che il grande progetto dell’Occidente, l’unicum che lo contraddistingue tra tutte le società umane, sia l’ambizione di costruire una convivenza senza Dio. […] La gente stima gli uomini di chiesa, i santi, magari prega e va a messa, ma nessuno crede più davvero nell’esistenza di un altro mondo, col Paradiso e la resurrezione delle anime. Se ci credessero, vivrebbero in tutt’altra maniera.

Per resistere senza la speranza nell’aldilà, e nel Paradiso, bisogna poter sperare nel paradiso in terra. (Non sto parlando di pochi intellettuali stoico-epicurei, sto parlando della gente comune.) Dare l’illusione del paradiso in terra è l’obiettivo finale del consumismo; o, se si vuole, il consumismo è una protesta per l’inesistenza di Dio. Comprando si è onnipotenti, soprattutto se compri qualcosa che ti serve a poco; i centri commerciali sono isole dei beati dove (grazie all’aria condizionata) è sempre primavera, dove ogni tuo desiderio è un ordine, dove le distanze si annullano perché i prodotti di tutto il mondo si offrono fianco a fianco, a tua completa disposizione. [TP 798-799]

Non solo il Paradiso è stato cancellato e sostituito da una schiera di paradisi minori, ma anche Dio ha affrontato una frammentazione diffondendosi in una serie di divinità minori: le merci. I prodotti hanno subito una sacralizzazione tale che il consumismo è

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diventata una nuova forma di religione. Secondo Siti il consumismo non sarebbe solo una nuova religione che ne sostituisce un’altra, ma sarebbe una reazione all’assenza di Dio.

Secondo l’autore il progetto di sostituzione di Dio con la merce ha incontrato una serie di difficoltà che minacciavano di arrestare «l’avanzata trionfale» dell’Occidente. I prodotti non erano più sufficienti a soddisfare i desideri instillati dal nuovo modello. Si è resa necessaria un’ulteriore sostituzione che coinvolgesse il reale nella sua interezza. La realtà è stata sostituita con l’immagine della realtà.

La merce come surrogato della felicità, non è certo una scoperta nuova. […] Ma più il tempo passava, più ci si rendeva conto che alcune cose non erano comprabili: le persone, gli oggetti troppo distanti da noi, i sogni, i rapporti umani. La falla rischiava di far abortire il progetto, o almeno di ritardarne l’avanzata trionfale; un modello di soluzione è stato fornito proprio dall’arte e dalla letteratura. Fin da quando Dio c’era ancora, e la realtà era puzzolente, bruta, refrattaria, l’arte garantiva una via di mezzo, un mondo alternativo informato a una ratio superiore. A ogni scatto in avanti dell’economia, man mano che i cittadini d’Occidente facevano una vita più meccanizzata e standard, l’arte li risarciva di quel che andavano perdendo, i fiori i sentimenti puri l’eccesso l’infanzia. In quell’universo parallelo che assomigliava tanto alla realtà, ma che si poteva comprare, niente era più sottratto all’onnipotenza dell’uomo. […] L’immagine, ecco la parola magica. Se si accettava che la realtà fosse sostituita dall’immagine della realtà, il paradiso in terra tornava a essere possibile. [TP 799-800]

Le immagini sono modellabili, non oppongono resistenza. Per questo sono necessarie alla creazione del nuovo paradiso artificiale.

Se la scommessa dell’Occidente è di comprarsi il paradiso in terra, questo comporta che alla realtà ci si abitui a sostituire l’immagine della realtà: solo l’immagine può essere perfetta (e acquistabile), come la realtà mai potrebbe essere. 88

Una volta operata questa sostituzione non solo è possibile costruirsi un paradiso surrogato, ma si può anche raggiungere l’onnipotenza di Dio. L’uomo occidentale diviene il dio di un mondo che non prevede più la presenza del Dio delle grandi religioni.

Ma, facendo un passo indietro, com’è stato possibile compiere questa sostituzione? Il mezzo principale che l’ha compiuta è stata (ed è tuttora) la televisione. La realtà passa sullo schermo trasformata in immagine. Si è giunti al punto in cui quelle immagini sono

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diventate più credibili e reali della realtà che ritraggono. Siti fa notare come il processo che la televisione ha generalizzato fosse stato avviato già prima dell’introduzione del medium: «Gli specialisti dell’immagine come surrogato del vero sono da sempre gli artisti»89. L’arte ha sempre tentato questa sostituzione, ma lo ha fatto dichiarando esplicitamente la trasformazione subita dal reale. L’esposizione alle immagini surrogate della tv ha promosso «un’artistizzazione di massa» che però non ha favorito la proliferazione dell’arte, ma al contrario ne è diventata «la principale antagonista»90. La

tv, a differenza dell’arte, non dichiara l’artificialità dell’operazione di sostituzione della realtà con le sue immagini surrogate.

Se l’arte era capace di compiere questo [risarcimento] non restava che ampliare il procedimento, soprassedendo sulla qualità e puntando a un’arte di massa. È quello che il Novecento ha lentamente ottenuto, col cinema, col design, con la pubblicità, coi video musicali; e alla fine col look, con l’estetizzazione dell’esistenza, col trasformare in spettacolo la stessa informazione e l’economia tutta. Ormai si comprano (gli analisti sono concordi) non i prodotti ma le immagini dei prodotti, la «life quality» che è garantita dal logo. Lo “stile di vita” Nike, Versace eccetera. [TP 800]

La vittoria televisiva è sancita dall’occultamento di questa sistematica sostituzione, resa possibile dall’illusione che quello che si vede coi propri occhi sia necessariamente testimonianza diretta della realtà:

È in televisione che sta facendo le prove quella che potremmo chiamare post-

realtà: programmi a basso costo (reality e talk) che si presentano come

rappresentazioni della vita vera di persone reali, e che sono “aggiustati” secondo le regole dell'appeal estetico e narrativo, secondo le “esigenze” d’immagine.91

Nel documento Schermi di carta (pagine 106-110)