La macchina produttiva televisiva ha ridimensionato il concetto di divismo rendendolo più familiare. Il fascino dei divi cinematografici è aumentato dalla distanza incolmabile che li separa dal loro pubblico. I divi della tv sono dèi minori che vivono separati, ma in un mondo che non è lontano e irraggiungibile.
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A ben pensarci, del resto, divismo (quello autentico e assoluto, quello proverbiale), in un certo senso, fa rima con fordismo, giacché soltanto in un universo massificato e omologato chi si distingue ed «eleva» appare soggetto di spasmodica attrazione per gli altri. E unicamente al cospetto delle masse adoranti degli spettatori del cinema in epoca (standardizzante) fordista che vale l’alone dell’unicità per differenza, quello di cui erano circonfusi i grandi attori americani e i «sublimi» cantanti d’opera europei. E se, invece, ci si trova tutti quanti immersi all’interno dello stesso brodo di cultura (e, sempre di più, a partire dagli anni Ottanta della neotelevisione, anche di «sottocultura»), il richiamo del divo si stinge di specificità e carisma, per consegnarsi alla generica indistinzione della «famosità di massa», alla quale tutti, giustappunto, «legittimamente» aspirano.109
Nell’Avvetenza Siti specifica il ruolo dei vip (e dei loro nomi) all’interno del romanzo. Essi sono da considerarsi personaggi fittizi al pari di Walter. I loro nomi non possiedono dei referenti extradiegetici, ma sono soltanto dei «marcatori funzionali» che hanno lo scopo di rendere credibile la parodia del gossip. Le ragioni che hanno spinto Siti a scrivere la sua Avvertenza non sono solamente mimetiche e narrative ma anche prudenziali: i legali della casa editrice Einaudi, per evitare denunce per diffamazione da parte dei personaggi reali citati nel romanzo, hanno esortato l’autore affinché giustificasse e contestualizzasse le sue scelte letterarie.
Compaiono nel libro molti nomi e cognomi di persone note (i cosiddetti vip); tali nomi e cognomi hanno una pura funzione segnaletica, e le biografie delle persone che essi designano sono volutamente e palesemente falsificate. All’opposto di quanto accade nei romanzi-a- chiave, dove i fatti veri sono attribuiti a personaggi “in maschera”, qui a persone reali, indicate con nome e cognome, si attribuiscono fatti esplicitamente fittizi. Così funziona la post-realtà, nel regno dell’immagine, dove il prezzo da pagare per la notorietà è di essere trasformati in personaggi quasi-veri, condensatori di fantasmi.
A proposito di leggende metropolitane, la maggior parte di “nomi di vip” si affolla, nel romanzo, là dove si mima il gossip, l’atroce pettegolezzo da bar o da palestra. Il gossip non ha senso, ovviamente, se non esercitato su nomi noti; ma anche in questo caso si è cercato di confondere le piste, attribuendo a un nome un pettegolezzo che riguardava un altro nome e ricorrendo talvolta agli asterischi – gli asterischi non sostituiscono un nome preciso, ma sono dei “marcatori funzionali” per sottolineare la sostanziale intercambiabilità dei nomi nel mercato delle notizie: una “tronista” vale l’altra, se il protettore politico non fosse X sarebbe Y. Tutto l’impianto realistico, insomma, è un gigantesco soufflé pronto ad afflosciarsi in una poltiglia di finzione; punta estrema, forse, del quesito paradossale che regge la mia trilogia romanzesca: se l’autobiografia sia ancora possibile, al tempo della fine dell’esperienza e dell’individualità come spot». [TP 688]
Il vip è un personaggio privo di specifiche capacità che però appare piuttosto di frequente in televisione. La visibilità mediatica è il mezzo con cui il divo catodico
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conquista il suo seguito sia di fan e sia di detrattori. Nel vip tutto incarna l’appartenenza a un mondo separato da quello della «gente comune». I vip vivono e si muovono in un sovramondo, in un Olimpo di cui sono gli dèi. Su questa loro alterità si scatena l’ironia di Siti che li descrive come creature mitologiche mezze persone e mezze immagini.
Chiamasi “vip” non chi ha realizzato qualcosa di importante ma chi viene regolarmente invitato in televisione; i vip vivono tra loro, anche nella vita normale si conoscono quasi tutti, vanno alle stesse feste e si danno del tu; il gossip ci garantisce che, pur stando incommensurabilmente più in alto di noi, sono pieni di difetti e non sarebbe difficile mettersi al loro posto. Anzi, li potremmo perfino superare ed essere noi a ricoprire il ruolo prestigioso, un giorno, degli “ospiti d’onore”. Cazzeggiano e sono sempre contenti perché l’essere invitati regolarmente in televisione è per se stesso motivo di contentezza; la situazione è il messaggio, l’evidenza è lo spettacolo; non devono esibirsi in ciò che li ha resi noti, che so, cantare recitare o guidare la moto, devono solo divertirsi tra loro, testimoniare la piacevolezza del vivere. Parlano del loro matrimonio, del loro piatto preferito, del loro cane, e ascoltandoli siamo sicuri che la quotidianità più semplice può risplendere della luce delle stelle. Ogni tanto c’è qualche new entry e di qualcuno, decotto, non si sente più parlare: normale ricambio nel fiume della divinità, che assicura quaggiù l’alternarsi delle stagioni. Universo fantastico, pieno di sorprese: come nelle piazze del Maghreb dove la folla si accalca intorno al narratore più bizzarro, o al più ammaliatore; perfino le news sono tanto più memorabili quanto più si iscrivono nel registro della bizzarria. Se leggo i giornali mi sento male, la coerenza implacabile e la linearità degli eventi mi ammazzano; la televisione invece procede per salti, ogni immagine si accumula alle altre ma si sottrae un attimo prima di diventare dolorosa; più che la singola trasmissione conta l’effetto di moltiplica, l’enorme ipnotico programma di cui si può godere con l’uso accorto (o anche distratto) del telecomando. Come un cazzo meccanico che entri in un numero X di buchi, compiacendosi dell’operazione più che del rapporto. [TP 696-697]
I vip incarnano un edonismo e un’agiatezza che divengono il fine e il sogno di frotte di aspiranti divi catodici. La realizzazione personale a cui molti telespettatori ambiscono non passa attraverso il lavoro o gli affetti, ma coincide con la notorietà televisiva. Sergio stesso vede nello schermo la propria fonte di sostentamento, tanto che una volta perduta la sua visibilità televisiva inizia a deperire:
«Un animale senza territorio può diventare sterile» dicevano l’altra sera a Superquark: il territorio di Sergio era lo schermo televisivo. [TP 783]
Il telespettatore che voglia partecipare al carnevale mediatico ha solo due strade per prendervi parte: in modo passivo e indiretto guardando i programmi in cui i vip sono ospitati e leggendo i giornali di gossip; in modo attivo e diretto mettendosi in gioco e partecipando alla selezione dei concorrenti per un qualche programma televisivo. Il
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gossip, «l’atroce pettegolezzo da bar o da palestra», si configura come una sicura chiave d’accesso all’Olimpo divistico senza però i rischi e i fallimenti di una partecipazione diretta.
Il gossip si rivela utile anche per i divi. Esso ha un doppio scopo: da un lato alimenta il mito dell’alterità del vip, e dall’altro lato lo umanizza rendendolo più vicino ai suoi fan.
La fluida personalità dei vip permette loro di adattarsi ai cangianti gusti del pubblico e di mantenere vivo l’interesse nei propri confronti garantendosi la permanenza nell’Olimpo mediatico. La loro adattabilità però ne favorisce anche il ricambio in quanto diventano visi intercambiabili tra loro: «se non fosse X sarebbe Y», perché non incarnando alcuna caratteristica peculiare sono sostituibili con un altro contenitore di una “famosità diffusa” vuoto quanto il primo.
La precarietà della situazione dei vip produce in essi una serie di cambiamenti che abbiamo già riscontrato nel Conduttore di Talk show. Si verifica una spaccatura schizofrenica tra la loro l’immagine pubblica e quella privata. I due piani sono spesso indistinguibili per gli spettatori che si convincono che la loro personalità non sia scissa in due, ma che sia solida e, soprattutto, reale. Questa divisione è favorita dalla stessa partecipazione del vip allo spazio ultraterreno che è la televisione perché esso è chiamato a rappresentare l’eccezionalità nell’ordinarietà: il vip deve raffigurare a un tempo sia la propria superiorità rispetto alla gente comune, sia la propria vicinanza a essa.
Walter nel suo confrontarsi con la realtà paradisiaca del mondo dei vip si sente sempre mosso da una certa soggezione che si traduce in un’indulgenza ossequiosa nei confronti dei suoi esponenti.
Finalmente ho incontrato de visu uno di quegli esseri mitologici dalla doppia natura, simili alle chimere e ai centauri, che sono i Personaggi Televisivi. La chiamerò soltanto Lei, per non attribuirLe troppa importanza e non indurLa a inalberarsi. Lei non è di seconda tacca, è una di quelle che i palinsesti li determinano e che fanno la fortuna dei Loro agenti (il Suo è anche il Suo amante, pare – dev’essere un fenomeno diffuso, come quello che legava negli anni Cinquanta le attrici ai produttori cinematografici). È biondissima, con due tette che una volta devono essere state irresistibili e ora sono solo ingombranti. Ci avevano riunito in un “gruppo di ascolto” per una trasmissione che La vedeva protagonista, e che andava in contemporanea con un esordio importante su Canale 5 – condotto da un’altra top, quindi scontro di regine. [TP 757]
L’esperienza diretta e il contatto con i personaggi televisivi permettono a Walter di scoprire delle caratteristiche che investono tutta la specie antropologica dei vip:
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Dal minuscolo apologo ho ricavato alcune riflessioni sui Personaggi Televisivi (o PT): 1) il PT è talmente abituato a percepire il mondo attraverso dei filtri (l’agente, il factotum, la segretaria, la baby-sitter, i fan) che non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello che potrebbe per esempio afferrare lui la cornetta e scusarsi personalmente; 2) il PT è solo per metà uomo, o donna: per l’altra metà è un effetto ottico, un’Immagine che lui stesso non padroneggia – quindi non capisce mai bene se a essere invitato è lui o l’Immagine, e chi dei due debba eventualmente reagire; 3) per non cadere preda della schizofrenia, il PT decide che talvolta agisce come uomo (o donna), talvolta viene agito come Immagine; ma non gli si può chiedere anche di sincronizzare la coerenza delle azioni; se si fa scopare dall’agente, o scopa la segretaria, è per un bisogno umanissimo di autenticità, per cercare di unire le due parti scisse di sé; 4) è per questo che spesso i PT scontano difficoltà familiari: se una madre si fa prendere da crisi di amnesia, o un figlio ne combina tante da farsi arrestare, è per verificare che il congiunto PT sia ancora lui e abbia ancora le reazioni di una donna (o di un uomo); io stesso, che non Le sono niente, avevo voglia di prenderLa a schiaffi per sentire una guancia vera sotto le dita. [TP 758-759]