• Non ci sono risultati.

Il talk show come rappresentazione

Nel documento Schermi di carta (pagine 58-61)

L’analisi di Doninelli mette a confronto lo svolgimento del talk show affiancandolo a quello di una rappresentazione teatrale. L’ordine della narrazione televisiva e l’assegnazione delle parti seguono le stesse logiche di una tragedia pur senza averne la precisione; infatti, i ruoli assegnati agli attori-ospiti sono estremamente mobili lasciando allo spettatore il compito di districarli.

Una tragedia – pensai – ha parti ben definite. Anche la televisione aspira a definire le sue parti, e cerca sempre perciò un protagonista, un antagonista, una vittima sacrificale, un coro e un corifeo. Ma la televisione non assegna bene le parti, perciò è facile scivolare da un ruolo all’altro nel giro di pochi istanti, secondo il moto marino che governa il trasmettere e il guardare, il mezzo e l’uso del mezzo, l’umore di chi conduce, quello degli ospiti e quello di chi regge il telecomando. [TS 88-89]

59

Nell’ondivago mondo del talk show i ruoli assegnati ai singoli attori seguono i moti del pubblico e nel continuo tentativo di accaparrarsene il favore molti ospiti finiscono per forzare la loro personalità passando da un ruolo all’altro.

La televisione esclude il senso del tragico dalla propria narrazione. Il tragico spinge ciascuno a superare la paura della morte tramite una rappresentazione di questa paura; la televisione lo esclude perché tende a liberare l’uomo dall’esperienza della propria mortalità. La tv vuole anestetizzare questa consapevolezza, vuole farla completamente dimenticare al proprio pubblico:

Il punto in cui sento di dover fare attrito è quello in cui la cultura di massa dà luogo a una mitologia euforizzante che esclude da sé il senso del tragico. La confusione tra reale e immaginario, la sfocatura tra realtà e finzione, serve, in ultima ipotesi a liberare l’uomo dall’esperienza della propria mortalità, e ad affrancarlo dalla responsabilità della mortalità altrui.

Non a caso, la cultura di massa prosegue la tradizione immaginaria del confronto basale con la morte, propria di tutte le altre culture, ma si distingue da esse per una esteriorizzazione multiforme, massiccia, permanente della violenza62.

L’unico modo in cui il tragico e la morte diventano esperibili in televisione è attraverso il sacrificio rituale del capro espiatorio. La morte che non si riesce ad accettare e a rappresentare senza l’elemento del tragico viene spostata su un elemento esterno e sacrificabile che diviene metafora della mortalità di tutti.

La cultura di massa è il luogo in cui il grande tema sacrificale – «Essi muoiono al mio posto» – si attenua sempre, irresponsabilmente, nel «Sono gli altri che muoiono e non io». La felicità offerta all’uomo-immaginario dalla cultura di massa, breve felicità e ingannevole, abbisogna del riflusso del fallimento, dell’invecchiamento, del deperimento, della morte.63

Una delle più importanti caratteristiche delle rappresentazioni teatrali è l’armonia che si crea nel dialogo tra i vari attori: tutti si muovono all’unisono verso la realizzazione dello spettacolo anche quando i personaggi sono in contrasto tra loro. Nel talk show questa armonia tra le parti non esiste: ognuno degli attori è lì solo per raccontare la propria storia, per recitare il proprio monologo. La dimensione corale della rappresentazione si

62 SCURATI 2006, p. 73. 63 Ivi, p. 74.

60

perde nella necessità di parlare di sé senza cercare un confronto e un dialogo con l’altro. Il quadro che ne viene fuori è quello di un insieme di singolarità, di voci monologanti completamente ripiegate su sé stesse in un atto di onanistico narcisismo. Il monologo degli ospiti è anche un momento di autoaffermazione in cui ciascuno di loro sottolinea la propria esistenza attraverso il vuoto parlare di sé. L’ascolto tra gli ospiti è bandito, l’unico ascolto che conta è quello del pubblico e in questa direzione si muovono tutti i soliloqui dei personaggi che affollano il palco del talk show.

Ognuno era lì per raccontare la sua storia in televisione: pietà, dolore, vanità, pura buffoneria si univano in un grumo inestricabile. Il Conduttore stesso, pensai, non poteva più sapere con certezza se il dar la parola a questa gente fosse un atto di giustizia, di solidarietà, oppure una presa in giro. E loro – i padri, i sofferenti! – non sapevano più se fossero lì per piangere, per far piangere (come nei fotoromanzi), per prendere qualche soldo o per gettare fango su di sé e sulla propria vita. Ma in televisione tutte queste cose erano un’unica, identica cosa. [TS 82]

Il Conduttore si rivela il campione indiscusso del trasformismo televisivo con la sua capacità di scivolare tra posizioni opposte nel giro di pochi istanti senza però che il pubblico, almeno quello meno scafato, se ne avveda. Questa sua duttilità d’opinione gli permette di essere sempre il protagonista delle diatribe e di trovarsi sempre dal lato del suo pubblico, anche facendo propri pensieri con non gli appartengono. In questo il Conduttore è l’attore principale e il regista della rappresentazione teatrale della verità.

Questo strano uomo, che rappresentava bene il pensiero comune, e che pure non aveva affatto un pensiero individuabile, sarebbe rimasto impresso in me per molti giorni, perché io non lo avevo mai guardato come lo guardai quella sera. Con abilità, era riuscito a farmi apparire naturale, quasi ovvio tutto ciò che aveva detto, eppure aveva detto tante cose che prese una per una sarebbe stato ben difficile attribuire a una stessa mente, a uno stesso individuo. [TS 88]

Il talk show e il suo attore principale rivelano una doppiezza che allo spettatore comune sfugge. Doninelli ci rivela che solo usando l’occhio vigile del sospetto è possibile intravedere la verità che si nasconde nel profondo della rappresentazione che il talk show mette in scena.

Tutto l'universo è, sotto sotto, qualcosa di diverso da come l’immaginiamo. I nostri occhi immaginano, ma il sospetto vede, perché fino al momento in cui non si vede

61

quello che sta sotto sotto siamo come ciechi. E gli occhi del Conduttore sapevano – con l'aiuto dei baffi – come si fa a guardare sotto sotto. [TS 88]

Nel documento Schermi di carta (pagine 58-61)