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Vedere, televedere e farsi vedere

Nel documento Schermi di carta (pagine 93-96)

Vale la pena soffermarsi a indagare le trasformazioni epocali che il medium ha prodotto e continua a produrre nei suoi fruitori, favorendo un cambiamento profondo nel sistema di pensiero della contemporaneità. La mutazione più chiara imposta dalla televisione è il peso attribuito alle immagini e al vedere, mutato tanto radicalmente da finire con l’intaccare il nostro stesso modo di fruire l’informazione. Il vedere della televisione svela un’ambivalenza: da un lato si presenta come un’incredibile opportunità di conoscenza di realtà anche molto lontane; dall’altro lato si presenta come un limite, mostrando solo una ristretta porzione del rappresentabile: «Il visibile ci imprigiona nel visibile. Per l'uomo vedente il non visto non esiste. L'amputazione è colossale. Ed è peggiorata dal perché e dal come la televisione sceglie quel particolare visibile, tra cento o mille altri eventi egualmente degni di considerazione»77. Il vedere televisivo rivela, dunque, una parzialità che non può essere ignorata, ci mostra la perdita del fuori campo e di tutta quella massa di informazioni e di avvenimenti che, se non inquadrati dall’occhio della telecamera, smettono di esistere. Il ruolo di selezione che la televisione opera sullo sconfinato panorama del rappresentabile finisce con l’avere un peso enorme nel governare l’orientamento politico, culturale e sociale della massa dei suoi fruitori. Secondo la tesi di Giovanni Sartori, il televedere imposto dal modello informativo televisivo sta mutando la nostra capacità di giudizio, allontanandoci sempre di più da una visione globale del mondo, e impedendoci inoltre, di capire quale sia effettivamente la realtà:

Siamo in piena e rapidissima rivoluzione multimediale. Un processo a molti tentacoli che è però caratterizzato da un comune denominatore: il tele-vedere, e per esso un

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nostro video-vivere. Pertanto in questo libro la messa a fuoco è sulla televisione, e la tesi di fondo è che il video sta trasformando l'homo sapiens prodotto dalla cultura scritta in un homo videns nel quale la parola è spodestata dall'immagine. Tutto diventa visualizzato. Ma in tal caso cosa succede del non-visualizzabile (che è il più)? 78

Il non visualizzabile finisce col coincidere con la realtà stessa, la quale, privata della sua rappresentazione televisiva e della conseguente riduzione a immagini, subisce l’amputazione della sua veridicità intrinseca smettendo, di fatto, di esistere, motivo per cui si giunge a quel paradosso che è «la legge dell’oggi» in cui si registra una sempre più marcata «inversione per cui la televisione è vera, e la realtà è finzione»79. Ulteriore frutto di questa inversione è una compenetrazione tra realtà e finzione, per cui il pubblico perde la propria innata capacità di discernimento, non riuscendo a districarsi e a muoversi nella porzione di spazio escluso dalla rappresentazione televisiva. La televisione diviene a questo punto il garante del reale e l’unico referente a cui il pubblico si affida per distinguere tra esistente e immaginario, tra verità e finzione.

Il vero mondo è quello delle immagini televisive, mentre quello quotidiano ne è la copia degradata, manchevole, deludente. La televisione è il luogo miracoloso dove vivono le idee eterne, gli archetipi intemporali, la beatitudine del paradiso, i sogni infantili o prenatali appagati. […] Solo nella dimensione fantasmatica e allucinatoria i desideri possono essere soddisfatti, e la televisione produce, soddisfa, rinnova i desideri. Ma il sempre-nuovo di questo sopramondo è il velo dietro il quale sta il volto immutabile e inguaribilmente immaturo dei desideri individuali.

Il mezzo televisivo mostra la sua capacità di inglobare tutto il conoscibile e tutto il desiderabile al proprio interno alimentando, tramite relazioni emozionali, il desiderio di partecipazione insito in ciascuno. La televisione si fa «portatrice di messaggi “caldi” che, appunto, scaldano le nostre emozioni, accendono i nostri sentimenti, eccitano i nostri sensi e, insomma, appassionano. Appassionare è coinvolgere, far partecipare, creare sinergie “simpatiche” (nel significato etimologico del termine: sympàtheia, conformità di pathos)»80. Il motore della televisione è proprio questo desiderio di partecipazione ottenuto facendo leva sulle passioni dei telespettatori, i quali diventano inconsapevole

78 Ivi, p. 7.

79 DONNARUMMA 2013, p. 54. 80 SARTORI 1999, pp. 79-80.

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carburante della macchina mediatica, aumentando gli ascolti e consumando i prodotti pubblicizzati. Inoltre, il desiderio di partecipazione attiva del pubblico, permette alla tv di nutrire se stessa e di avere frotte di aspiranti concorrenti ai suoi programmi; in quest’ottica la tv appare come una macchina che si autoalimenta, un efficiente meccanismo perfettamente lubrificato. Di questo sfrenato desiderio di adesione, il principale contraltare diviene il sempre maggiore distacco dal reale a cui il pubblico va incontro, un’alienazione che contribuisce in larga parte a diffondere la perdita della realtà.

Anche Covacich, attraverso il racconto di Sandro, svela quanto lo spostamento dei confini e la perdita di realtà siano fenomeni globali che non si limitano a insediarsi tra le fasce culturalmente meno attrezzate ma che, al contrario, investono qualunque spettatore, anche il più disincantato. Lo schermo è visto come il permeabile oggetto di un continuo scambio tra dentro e fuori che sottolinea l’influenza del sopramondo nel mondo e viceversa:

Per un attimo ho la sensazione che loro, dentro quello specchio, stiano guardando me acquattato sul pube di mia moglie. Ridono guardando entrambi [due concorrenti

di Habitat] dritti in camera, come se stessero proprio ridendo di questi due

quarantenni pieni di peli, sorpresi nel cuore della loro svogliata intimità. [F 23]

Il reale appare come uno scarto della lavorazione televisiva in cui i valori morali sono sostituiti con valori più tangibili, commerciali e consumistici. L’esistenza coincide con la rappresentazione, la visibilità, ed è proprio in questo solco che si pone il reality show con la sua promessa di trarre fuori dalla massa un numero limitato di esseri umani, e di darli in pasto a quella stessa massa indistinta da cui sono usciti. I concorrenti diventano doppiamente rappresentativi per i telespettatori: da un lato il pubblico riconosce in essi la propria normalità, dall’altro vede nella loro visibilità un modello a cui aspirare. Il reality incentiva questa identificazione inculcando negli spettatori sia il desiderio inarrestabile di uscire dalla massa, sia quello esibizionistico di essere posti al centro dell’attenzione collettiva: «Il dover “far vedere” ingenera poi il desiderio o l'esigenza di “farsi vedere”»81,

di spogliarsi della propria dimensione privata per abbracciare quella pubblica, l’unica che gode del riconoscimento collettivo. Il reality show si pone come il mezzo privilegiato di questo slittamento, in quanto, con la sua pretesa di documentazione della quotidianità e

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della normalità finisce con l’abolire completamente l’intimità e la dimensione privata dei concorrenti, trasformandoli in un prodotto televisivo, un oggetto del desiderio che non possiede il volto definito dei partecipanti ma che assume lineamenti più sfocati: quelli di tutti.

Nel romanzo, i concorrenti di Habitat diventano gusci vuoti, le loro fisionomie divengono interscambiabili e sovrapponibili a quelle di chiunque stimolando l’identificazione e l’aderenza del pubblico. Covacich, nella sua volontà disvelatrice, scopre l’illusione di cui la televisione si fa detentrice privilegiata: l’illusione della partecipazione sia del pubblico, sia dei concorrenti-prodotto.

Nel documento Schermi di carta (pagine 93-96)