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La confisca per equivalente applicata agli enti: gli effetti del D Lgs 231/2001

Capitolo 2. La confisca per equivalente

2.7 La confisca per equivalente in ambito societario

2.7.1 La confisca per equivalente applicata agli enti: gli effetti del D Lgs 231/2001

Il D. Lgs. 231/2001 prova a dare una risposta all’esigenza di tutela dei soci incolpevoli o di tutti quei soggetti che, pur collegati ad una società o ente, non hanno nulla a che vedere con il reato. Esso ha una portata innovativa di estrema rilevanza perché introduce per la prima volta in modo esplicito la possibilità di configurare una forma di responsabilità per le persone giuridiche, che diventano potenzialmente destinatarie di una risposta sanzionatoria per gli illeciti amministrativi derivanti da reato. Il decreto si applica sia agli enti forniti di personalità giuridica (esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici non economici) che alle società, anche prive di personalità giuridica. Prima della sua introduzione, oltre ai limiti della confisca codicistica già evidenziati, il rimedio ablatorio pareva arrestarsi davanti al principio secondo cui “societas deliquere non potest”, ponendo nell’effettivo beneficiario e nella sua connessa punibilità un limite notevole anche alla misura della confisca per equivalente. Si riteneva, come anticipato, che attenendosi ad una stretta osservanza dell’art. 27 Cost. ne derivasse che il destinatario della sanzione non potesse che essere l’autore dell’illecito e che quindi la confisca dovesse agire sul solo patrimonio delle persone fisiche anche ove queste avessero agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente di cui facevano parte. Con l’inevitabile conseguenza che «il principio di colpevolezza, oltre a costituire una garanzia costituzionale, diventava, paradossalmente, causa di ingiustificati privilegi per l’ente e strumento di elusione dei precetti penali per le persone fisiche che lo amministravano[…]. L’effetto punitivo che ne derivava era, da un lato, ingiusto e irrazionale in quanto colpiva soggetti dai quali era inesigibile una condotta diversa, avendo agito costoro in ossequio ad una volontà sociale sovrastante quella individuale senza per altro godere, se non marginalmente, dei vantaggi economici procacciati all’ente per effetto del proprio comportamento; dall’altro paradossale perché i veri responsabili[…]

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restavano immuni da ogni punizione»162. Così, data l’urgenza di una risposta alle nuove forme di

criminalità economica, si è ritenuto fosse giunto il momento di accantonare il cardine della non responsabilità in capo alle società: ne è derivato il D.231/2001 con cui viene affiancata alla pena pecuniaria anche una ipotesi speciale di confisca «emancipata dalla tradizionale funzione cautelare sottesa alla sua qualificazione di misura di sicurezza, e preordinata piuttosto ad una finalità di tipo

sanzionatorio»163. L’ente viene ritenuto autonomamente responsabile per tutti i reati compiuti a

suo vantaggio o nel suo interesse da persone che rivestono posizioni apicali o che esercitano di fatto l’attività gestoria dell’ente (art. 5, c.1, lettera a) o da persone sottoposte alla loro direzione e vigilanza (art. 5, c.1, lettera b). Viene esclusa la responsabilità dell’ente se i soggetti sub a) hanno agito esclusivamente per conto proprio o di terzi. I successivi artt. 6 e 7 prevedono dei casi di esclusione della responsabilità dell’ente, riassumibili nella circostanza di aver predisposto un sistema di controllo, di gestione e di organizzazione idoneo a prevenire i reati che sono alla base dell’attribuzione della responsabilità164. L’art. 8 sancisce l’autonoma responsabilità dell’ente, che si

sostanzia anche ove l’autore del reato non sia individuabile o imputabile ovvero se il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.

L’art. 9 individua le sanzioni applicabili all’ente, tra cui sanzioni pecuniarie, sanzioni interdittive (per i casi più gravi), confisca e pubblicazione della sentenza di condanna. Ogni illecito amministrativo derivante da reato è sempre punito con la sanzione pecuniaria secondo un sistema a quote.

L’art. 19 prevede una forma speciale di confisca e dispone quanto segue:

«Nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato».

Prima di analizzare le particolarità della confisca agli enti, va precisato che l’avverbio “sempre”, oltre a voler richiamarne il carattere di obbligatorietà, presuppone comunque che sia stato commesso un reato presupposto espressamente previsto che configuri la responsabilità in capo all’ente. Sin dall’introduzione del D.231/2001, il novero dei reati presupposto è andato via via allargandosi. Se

162 F. Vergine, op. cit., p.96.

163 Ibidem, p.107.

164 Importante segnalare però come, alla luce del 5°comma dell’art.6 D.231/2001, aggiunto dall'art. 14, c.12, L. 12 novembre 2011, n. 183, viene disposto che: «E' comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato,

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inizialmente la responsabilità scattava per un numero ristretto di reati, tra cui quelli di concussione, corruzione, indebita percezione di erogazioni pubbliche, truffa ai danni dello Stato, ecc., essa è stata estesa sia ad illeciti ambientali, ad opera della l.121/2011, che ad alcune tipologie di reati colposi ad opera della l.123/2007. Sono stati inseriti una serie di articoli aggiuntivi (dal 24-bis fino al 25- duodecies165, escluso l’art. 25, già presente e solo riformulato) contenenti tutta una lunga lista di

nuovi reati presupposto. Quanto ai reati tributari, la Commissione Greco, insediatasi presso il Ministero della Giustizia, dedita a proporre riforme al decreto, ha successivamente proposto di inserire tra i reati presupposto anche alcuni illeciti tributari ex D.74/2000166, ma essi ad oggi non

rientrano nell’elenco.

Circa la natura giuridica di questa confisca, occorrono delle precisazioni. Se le considerazioni generali sulla natura della confisca per equivalente possono applicarsi a tutte le ipotesi viste in questo capitolo, lo stesso non può dirsi per la confisca a carico degli enti. Ciò è dovuto al fatto che è la stessa Relazione Ministeriale al decreto legislativo n.231/2001 a qualificarla in modo univoco come sanzione principale ed obbligatoria, non pena accessoria167.

Venendo ora alla confisca ex art. 19, essa presenta i caratteri dell’obbligatorietà sia per il prezzo che per il profitto del reato, equiparati a conferma della tendenza del Legislatore di allontanarsi sempre più dall’impianto della confisca tradizionale, che contempla una confisca di tipo facoltativo per il profitto, con il preciso scopo di combattere la criminalità del profitto. Non è richiesto quindi alcun giudizio discrezionale da parte del giudice; è la legge stessa ad introdurre una implicita presunzione di pericolosità del profitto. Per le nozioni di profitto e prezzo vale quanto già esposto in tema di confisca penale: a conferma di ciò la Relazione Ministeriale, che nel dare le definizioni dei due concetti riprende quanto unanimemente accettato dalla giurisprudenza: il prezzo del reato è «costituito dalle cose, dal denaro o da altre utilità date o promesse per determinare o istigare alla commissione del reato», mentre il profitto del reato è «da intendersi come una conseguenza

economica immediata ricavata dal fatto di reato»168. Il riferimento all’immediatezza può però

essere interpretato in termini restrittivi, volti ad escludere dal concetto tutta la gamma di vantaggi

165 Tra questi si segnala per significatività l’art. 25-ter che estende la responsabilità dell’ente a tutta una serie di reati societari.

166 Per approfondimenti sulle posizioni dottrinali in merito a questa proposta e sulle possibili violazioni del principio del “ne bis in idem”, si rimanda al contributo di C. Santoriello, op. cit., pp.69-73.

167Nella Relazione Ministeriale al decreto legislativo n.231/2001, p.21 si legge: «Di particolare rilievo la sanzione della

confisca irrogabile con la sentenza di condanna, che si atteggia a sanzione principale e obbligatoria. Essa viene configurata sia nella sua veste tradizionale, che cade cioè sul prezzo o sul profitto dell’illecito, sia nella sua forma ‘moderna’, quella per equivalente, in vista di una più efficace azione di contrasto contro la criminalità del profitto».

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indiretti, mediati, prevalentemente immateriali che potrebbero conseguire dal reato. Si pensi a titolo esemplificativo all’acquisizione di quote di mercato o di vantaggi concorrenziali indebiti: queste potrebbero sì essere agevolate dalla condotta criminosa, ma non possono consolidarsi se non avendo alla base un’attività d’impresa lecita. Se si consentisse di colpire l’ente per un valore eccedente il guadagno materiale, si renderebbe spropositata la reazione punitiva prevista dal sistema169. La Corte, intervenuta sulla questione, ha precisato come la nozione di profitto ex. art. 19

vada in intesa in senso stretto, mentre i vantaggi economici indiretti possano al più rilevare per la nozione di “profitto di rilevante entità” che è alla base delle sanzioni interdittive, delle quali non fa parte la confisca: «Il profitto menzionato dall’articolo 13 cit. non corrisponde alla nozione di profitto cui si riferiscono le disposizioni in materia di confisca, quali, ad esempio, gli articoli 19, 15 comma 4, 17 comma 1 lettera c) D.Lgs 231/01[…]; oggetto del provvedimento ablativo non può che essere il profitto inteso in senso stretto, cioè come immediata conseguenza economica dell’azione criminosa,

che può corrispondere all’utile netto ricavato»170. Restano chiaramente indetraibili dall’utile tutti

quei costi sostenuti e riconosciuti come illeciti.

Resta presupposto indefettibile per la confisca la presenza di una sentenza di condanna; tuttavia, in mancanza di un richiamo esplicito, non è palese se si possa applicare anche in presenza di patteggiamento. Se ci si riferisse al solo dato testuale, ne conseguirebbe una risposta negativa, ma la presenza di un duplice rinvio contenuta rispettivamente agli artt. 34 (rinvio alle norme del codice di rito) e 63 (rinvio esplicito alle norme di cui agli artt. 444 c.p.p. e seguenti) del D.231/2001 dovrebbe consentirne l’estensione anche ai casi di pena applicata su richiesta delle parti. Inoltre, se non fosse così, si avrebbe una conseguenza paradossale171: dato che la confisca è obbligatoria anche

in caso di sentenza di assoluzione per l’ente, converrebbe sempre accedere al patteggiamento per evitare l’aggravio della confisca, quasi sicuramente avente un impatto maggiore rispetto a quanto dovuto in seguito al patteggiamento. Allo stesso modo, se vale per i singoli e non per soggetti collettivi, la persona fisica potrebbe ricorrere ad una intestazione fittizia dei proventi da reato in capo all’ente, il quale poi opterebbe per la pena patteggiata, per evitare la confisca172.

169 F. Vergine riflette su come, aderendo ad un’accezione troppo ampia di profitto, «la confisca tramuterebbe la sua

natura da misura in rem a misura ad personam, indicendo sul patrimonio del soggetto collettivo indiscriminatamente, rievocando tratti tipici dei rimedi punitivi coniati per combattere l’impresa criminale che si distingue dalla criminalità d’impresa».

170 Cass. pen., VI sez., sent. 23 Giugno 2006 n.32627. 171 Si veda sul punto F. Vergine, op. cit., p.110.

172 D. Fondaroli, op.cit., p.320: «Costituirebbe un paradosso giuridico consentire la confisca nei casi di esclusione della

responsabilità dell’ente, e negarla nell’ ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti: l’ente, infatti, avrebbe maggior interesse a patteggiare (evitando così l’ablazione) piuttosto che ottenere una pronuncia assolutoria».

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Oltre alla classica tutela dei terzi in buona fede, vi è un richiamo anche al soggetto danneggiato: dal totale confiscabile (rectius dal profitto, perché il prezzo, intrinsecamente pericoloso in quanto ha indotto il reato, deve essere confiscato) andrà dunque sottratta la quota parte di pertinenza al soggetto che è stato danneggiato dall’attività illecita dell’ente. Manca, invece, qualsiasi riferimento al prodotto del reato o agli strumenti utilizzati per commetterlo, per i quali potrà applicarsi la sola confisca penale in forma facoltativa. Il riferimento ai “diritti” dei terzi in buona fede è da considerare punto a favore di coloro che optano per un concetto ampio di disponibilità dei beni, comprensivo non solo del diritto di proprietà, ma di tutti i diritti connessi come quelli reali di godimento. L’estraneità del terzo andrà verificata non solo rispetto alla compartecipazione nel reato presupposto, ma anche rispetto all’illecito amministrativo a monte.

Quando la confisca diretta sul profitto o prezzo del reato nei confronti dell’ente non è possibile, il secondo comma consente di procedere per equivalente su “somme di denaro, beni o altre utilità” di pari valore. Riportando quanto previsto dalla Relazione, viene sottolineato che «essa opera, ovviamente, quando non è possibile l'apprensione del prezzo o del profitto con le forme della confisca tradizionale e permette così di evitare che l'ente riesca comunque a godere illegittimamente dei

proventi del reato ormai indisponibili per un'apprensione con le forme della confisca ordinaria»173.

L’apprensione per equivalente non deve diventare un modo per aggirare i limiti della confisca diretta ed abbattersi quindi su quei beni che ne rimarrebbero esclusi ab origine, per i limiti sovra esposti impliciti nella nozione di profitto; essa potrà invece colpire in via sussidiaria cose la cui apprensione materiale è divenuta improcedibile. In altri termini, non deve diventare un comodo strumento per rendere più agevole l’ablazione diretta; inoltre, la valutazione che porta ad identificare beni di valore corrispondente deve essere sostenuta da valide argomentazioni ed indagini che comprovino l’impossibilità sopravvenuta di rinvenire i profitti illeciti originari e dimostrino come è stato determinato il valore equivalente. Limite intrinseco alla confisca per equivalente, secondario, ma pur certo di maggior rilevanza nell’ambito societario che per le persone fisiche è che se l’ente non dispone di denaro liquido né di beni il cui valore unitario è inferiore al tantundem da confiscare, non è possibile procedere con la misura.

Un aspetto in cui il D.231/2001 si dimostra lacunoso è legato al concorso di persone nel reato. Non è chiaro cosa accade se, nell’ambito dei gruppi societari, una società controllata compie un reato a vantaggio o nell’interesse della capogruppo. A riconoscerlo è anche la Corte, che prova ad inserirsi

173 Relazione Ministeriale, cit., p.23.

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nel dibattito dottrinale per fare chiarezza: «Il D. Lgs. n. 231 del 2001 non contiene un'espressa disciplina in tema di concorso di persone[…]la società capogruppo (la c.d. holding) o altre società facenti parte di un "gruppo" possono essere chiamate a rispondere, ai sensi del D. Lgs. n. 231 del 2001, del reato commesso nell'ambito dell'attività di una società controllata appartenente al medesimo gruppo, purché nella consumazione del reato presupposto concorra anche almeno una persona fisica che agisca per conto della "holding" stessa o dell'altra società facente parte del gruppo, perseguendo anche l'interesse di queste ultime, non essendo sufficiente - per legittimare un'affermazione di responsabilità ai sensi del D. Lgs. n. 231 del 2001 della holding o di altra società appartenente ad un medesimo gruppo - l'enucleazione di un generico riferimento al gruppo, ovvero

ad un c.d. generale “interesse di gruppo”»174. Non basta quindi che una delle consociate persegua il

proprio interesse mediante la consumazione del reato, anche ove esso si tramutasse in vantaggio per un altro membro del gruppo, o soddisfacimento di interessi della controllante, anche nell’immediato, bensì occorrerà un accertamento concreto sull’effettività dei vantaggi o dell’interesse tratto dalla controllante, essendo esclusa alla luce della sentenza sovra riportata la presunzione di coincidenza tra interesse di gruppo e interesse delle singole componenti.

Alla luce di quanto esaminato fino ad ora in tema di confisca agli enti, si ritiene che questa forma speciale di confisca, che assume le vesti di confisca amministrativa175 a carattere sanzionatorio, pur

avendo molti tratti di similarità con le altre ipotesi di confisca fino a qui esaminate, voglia configurarsi come istituto autonomo e non alternativo alla confisca tradizionale. Infatti, la responsabilità in capo all’ente è aggiuntiva, e non sostitutiva, di quella delle persone fisiche176.

Da ultimo, preme segnalare come la confisca contemplata nell’art. 19 del D.231/2001 non sia l’unica confisca prevista per gli enti. Se si esclude il richiamo alla confisca operato dall’art. 23, c.2177, che

rimanda esattamente alla confisca prevista dall’art. 19, vi sono almeno altri tre richiami in diversi articoli del Decreto. Il primo, richiamato precedentemente, è all’art. 6 c.5 in cui è prevista comunque

174 Cass. pen, Sez. II, sent. 27 Settembre 2016 n.52316. Per ulteriori approfondimenti sul tema si rimanda al corposo testo della sentenza, la quale passa in rassegna le posizioni dottrinali antecedenti al suo intervento e prova a mettere dei punti fermi sulla materia.

175 Il Legislatore si riferisce alla “responsabilità amministrativa”, ma sarebbe più corretto parlare di responsabilità da reato e dunque penale, tant’è che poi si fa riferimento a questa fattispecie di confisca come pena principale. La qualificazione di sanzione amministrativa è perciò da intendersi come mera etichetta formale.

176 Lo sostiene, tra gli altri, D. Fondaroli: «l’art. 19 descrive una misura autonoma di ablazione, per la quale si esclude

ogni ipotesi di sussidiarietà rispetto alla confisca avente per destinatario la persona fisica autore del reato», in op.cit.,

p.319.

177 Il 2°comma dell’art.23 prevede l’applicazione della confisca di cui all’art.19 quando un qualsiasi soggetto, sottoposto a misure interdittive o a sanzioni, trasgredisce gli obblighi da esse conseguenti e il reato del medesimo soggetto è configurabile come reato a vantaggio o nell’interesse dell’ente. Se vale ciò, l’ente è il destinatario della confisca.

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la confisca, anche per equivalente, in tutti quei casi in cui il reato non è ascrivibile all’ente o alla condotta di soggetti che in esso rivestono posizioni apicali. La ratio di questa disposizione sta nel voler sottrarre comunque i profitti illeciti all’ente per evitare che esso se ne avvantaggi, pur se incolpevole. Esso non deve trovarsi in una posizione più favorevole rispetto a quella che avrebbe se l’illecito non fosse stato commesso e, nonostante tale illecito possa non essere stato compiuto nel suo interesse, esso andrà quasi certamente a suo vantaggio. Questa disposizione non pare dunque rivestire carattere afflittivo o sanzionatorio178, a differenza della confisca ex art. 19, ed il concetto di

profitto va inteso come “profitto che l’ente ha tratto dal reato”179 più che come “profitto del reato”.

Allo stesso modo, non assume carattere sanzionatorio neppure il richiamo alla confisca operato dall’art. 15, c.4, che, in tema di sanzione interdittiva che determina interruzione dell’attività, prevede, come alternativa alla sospensione, la nomina di un commissario giudiziale. Egli può disporre la prosecuzione dell’attività se dall’applicazione della sanzione interdittiva di interruzione può derivare un grave danno alla collettività o avere ripercussioni sui livelli occupazionali del territorio in cui l’ente è situato, ma ogni profitto da essa derivante viene automaticamente confiscato. In questo caso il profitto confiscato non è quello causalmente connesso al reato, bensì il profitto lecito netto che deriva dalla “normale” (pur commissariata) attività d’impresa, perché «la prosecuzione dell'attività è pur sempre legata alla sostituzione di una sanzione, sì che l'ente non deve essere messo nelle condizioni di ricavare un profitto dalla mancata interruzione di un'attività che, se

non avesse avuto ad oggetto un pubblico servizio, sarebbe stata interdetta.[…]»180.

Un ultimo richiamo alla confisca dipende dall’art. 17, che disciplina i metodi con cui l’ente può rimediare alle conseguenze del reato. Se le sanzioni pecuniarie non sono evitabili, esso può evitare le sanzioni interdittive se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, congiuntamente l’ente risarcisce il danno o elimina le conseguenze potenzialmente dannose

178 La dottrina è unanime sul punto. Ad esempio N. Pisani, ne “Le ipotesi di confisca nel d.lgs 231 del 2001 in tema di

responsabilità amministrativa ex crimine dell’ente: profili sostanziali”, da una relazione tenuta al Csm nel 2005 e

pubblicata su www.diligo.it, sostiene che «si tratta di una forma di confisca che, prescindendo da un profilo di

colpevolezza dell’ente, lungi da assolvere ad una funzione ‘punitiva’, presenta caratteri più spiccatamente preventivi. Essa mira cioè a neutralizzare ogni possibile rischio ‘oggettivo’ connesso alla ricaduta del profitto nella sfera dell’ente, allorché esso provenga da reato commesso nell’interesse o vantaggio di quest’ultimo». Veduta analoga è quella della

giurisprudenza della Cassazione, sentenza “Gubert”, 10561/2014, in cui, riferendosi alla confisca ex. art.6 c.5, afferma che «si tratta, come è evidente, di una previsione di carattere generale […]secondo una prospettiva non di tipo

sanzionatorio, essendo fuori discussione la "irresponsabilità" dell'ente, ma di ripristino dell'ordine economico perturbato dal reato, che comunque ha determinato una illegittima locupletazione per l'ente, ad "obiettivo" vantaggio del quale il reato è stato commesso dal suo rappresentante».

179 D. Fondaroli, op.cit., p.327.

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