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La nozione di profitto del reato ai fini della confisca dell’equivalente

Capitolo 2. La confisca per equivalente

2.4 La nozione di profitto del reato ai fini della confisca dell’equivalente

Il riferimento al profitto del reato, così come avveniva per la confisca tradizionale, è ancora indefinito e circondato da un vuoto normativo notevole. Se, come si dirà, la confisca per equivalente assume il carattere di sanzione, diventa ancora più importante delimitarne i confini per evitare reazioni spropositate rispetto alla gravità della condotta illecita. Tale mancanza di chiarezza è stata sottolineata anche dalla dottrina: «L’esegesi dell’art 322-ter c.p., ma in generale di tutte le norme che ruotano intorno al concetto di profitto del reato, ha dovuto fare i conti con un vuoto normativo e giurisprudenziale preoccupante intorno a questa nozione[…]. Ciò che resta è una nozione di profitto che al più evoca un orientamento finalistico dell’agire criminoso, che se può rilevare in una prospettiva criminologica, risulta vuota di contenuti tipizzanti ai fini dell’esegesi e dell’applicazione

della misura, esponendo così al rischio di reazioni punitive sproporzionate»116. Altro aspetto non di

poco conto che la norma non chiarisce è se il profitto vada inteso al lordo o al netto delle spese per conseguirlo. La giurisprudenza, sebbene orientata verso la prima soluzione, vale a dire confiscare il profitto lordo, così da evitare di «consolidare nell’homo oeconomicus la certezza che in caso di condanna egli non perderà più di quanto abbia ricavato dal reato, e ciò potrebbe esercitare su di lui

una forza seduttiva irresistibile»117, non era unanime. Confiscare al netto dei costi sostenuti avrebbe

115 Sebbene vi sia una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n.18374 del 31 Gennaio 2013) che pare legittimare la confisca transnazionale anche in caso di patteggiamento.

116 F. Vergine, “Confisca e sequestro per equivalente”, pp.66-67, Ipsoa, 2009.

117 F. Vergine, ivi p. 68. L’autore non manca di rilevare gli effetti di un tale orientamento, che potrebbe portare non solo ad un ripristino dello status quo ante, ma anche ad un suo peggioramento ad opera della confisca: «così commisurata,

la confisca di valore si veste di un contenuto punitivo e afflittivo che esorbita dalla logica meramente remunerativa e compensativa, per atteggiarsi a vera e propria pena che sottrae al reo più di quanto abbia guadagnato con l’attività

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potuto comportare un sacrificio per lo Stato, che avrebbe dovuto subire un’esposizione al rischio di esito negativo del reato, mentre il reo potrebbe sottrarsi da qualsiasi rischio economico. Dall’altro lato però si esponeva il reo ad una misura che sarebbe diventata fortemente punitiva e affatto ripristinatoria, in grado di sottrargli più dell’effettivo guadagno.

Ad oggi, il contrasto è sanato grazie all’intervento delle Sezioni Unite118, le quali riprendono quanto

rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, che intende il profitto in senso ampio, non semplicemente come utile netto bensì come qualsiasi “beneficio aggiunto di tipo patrimoniale”; esse arrivano così alla soluzione, che non lascia margini di dubbio, secondo cui il profitto va inteso al lordo delle spese sostenute per realizzarlo. Partendo dalla considerazione che: «Quanto al profitto, oggetto della misura ablativa, osserva la Corte che non è rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della relativa nozione né tanto meno una specificazione del tipo di “profitto lordo” o “profitto netto”,[…] ma il termine è utilizzato, nelle varie fattispecie in cui è inserito, in maniera meramente enunciativa, assumendo quindi un’ampia “latitudine semantica” da colmare in via interpretativa», la Corte prosegue rilevando come «Pur in assenza di una definizione della nozione di profitto, è indubbio che questa assume significati diversi in relazione ai differenti contesti normativi in cui è inserita» e conclude statuendo che «Il profitto del reato, in definitiva, va inteso come complesso dei vantaggi economici tratti dall’illecito e a questo strettamente pertinenti, dovendosi escludere, per dare concreto significato operativo a tale nozione, l’utilizzazione di parametri valutativi di tipo aziendalistico». Il riferimento ai parametri aziendalistici porta alla chiara conclusione che l’utile da confiscare non sia da intendere come un risultato netto, bensì lordo, non potendosi così ammettere in detrazione alcuna delle spese sostenute per generarlo.

Al di là dei dubbi che a tutt’oggi permeano la nozione di profitto, è opinione comune che, in genere, se l’illecito è di tipo tributario, il profitto del reato si manifesta non come conseguimento di un provento in denaro, ma mediante un risparmio economico o di spesa, corrispondente al mancato pagamento dell’imposta ovvero ad un indebito rimborso119. Infatti, ad esclusione dei casi in cui si

percepisce un indebito rimborso, non è pensabile un profitto da reato tributario che si traduca in un aumento delle consistenze patrimoniali del reo rispetto alla situazione iniziale, ma è identificabile

delittuosa[…]. Disponendo solo delle entrate nette del reato, che sono certamente inferiori al ricavato lordo, l’ordine di confisca dovrà necessariamente attingere beni affatto connessi con il reato».

118 Cass. pen., Sez. un., sent. 27 Marzo 2008 n.26654.

119 A contemplare l’ipotesi di indebito rimborso come evasione è l’art. 1 del D.74/2000 che tra le definizioni, alla lettera d), riporta quanto segue: «il "fine di evadere le imposte" e il "fine di consentire a terzi l'evasione" si intendono

comprensivi, rispettivamente, anche del fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d'imposta, e del fine di consentirli a terzi».

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come un mancato esborso corrispondente all’imposta dovuta ma non versata. In merito, la giurisprudenza è concorde nell’affermare che «in tema di reati tributari […] il profitto del reato coincide con il risparmio economico che consegue alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, atteso che l’ammontare dell’imposta evasa costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, riconducibile appunto alla

nozione di profitto»120. Quindi, la misura ablatoria va a colpire quei beni che sono rimasti nel

patrimonio come conseguenza di una condotta irregolare e che invece avrebbero dovuto fuoriuscirvi se la condotta del soggetto fosse rimasta nel lecito.

Il risparmio di spesa conseguito con illeciti tributari sarebbe confiscabile ex. art. 240 c.p. solo se fosse possibile stabilire una connessione diretta tra il denaro risparmiato e i beni investiti, o se fossero individuabili beni direttamente frutto del reimpiego del denaro illecitamente ottenuto. La mancanza di strumentalità non implica che il beneficio patrimoniale ottenuto possa difettare di un collegamento causale con l’attività illecita; tale vantaggio deve essere inoltre quantificabile121. Ciò

perché lo scopo della normativa non è un’aggressione ingiustificata al patrimonio del reo, pertanto non si potrà prescindere dall’accertare il vantaggio complessivamente ottenuto, vale a dire il profitto del reato. La sentenza “Miragliotta”122 non si limita a citare la necessaria presenza di

elementi indiziari, ma dà del profitto una definizione molto ampia e chiara: «la nozione di profitto o provento deve essere riguardata in rapporto all'arricchimento complessivo» e «il bene costituente profitto è confiscabile ai sensi degli articoli 240 e 322 ter, comma I, prima parte c.p. ogni qualvolta detto bene sia ricollegabile causalmente in modo preciso alla attività criminosa posta in essere dall'agente», tant’è che, nella medesima sentenza, la Corte non dubita di poter includere nel concetto di “profitto del reato” anche un bene immobile che risulti essere stato acquistato con denaro ottenuto illecitamente per mezzo di evasione d’imposte, se «l’impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo». Essa non dirime un’altra problematica che si innesta come conseguenza: se, una volta verificato e definito correttamente l’ammontare di prezzo e profitto del reato, intesi in senso ampio, sia o meno

120 Cass. pen, Sez. III, sent. 16 Maggio 2012 n.25667. Cfr. con Cass. pen., Sez. un., sent. 24 Aprile 2014 n.38343 dove si fa riferimento al risparmio di spesa come parte del totale costituente il profitto del reato tributario.

121 Non è un caso che l’unico reato tributario escluso sia quello di “distruzione o occultamento di documenti contabili”, come rileva C. Santoriello, op.cit., p.193. Infatti, dalla commissione del reato di cui all’art.10 solitamente non si trae alcun profitto, salvo che esso non sia funzionale alla realizzazione di un più grave reato di evasione.

122 Cass. pen, Sez. un., sent.10280/2008 già cit. Così per gli elementi indiziari si precisa: «È necessario, pertanto, che

siano indicati in modo chiaro gli elementi indiziari sulla cui base determinare come i beni sequestrati possano considerarsi in tutto o in parte l'immediato prodotto di una condanna penalmente rilevante o l'indiretto profitto della stessa, siccome frutto di reimpiego da parte del reo del denaro o di altre utilità direttamente ottenuti dai concussi».

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da considerare parte del risparmio di spesa anche il mancato versamento di interessi e sanzioni. La giurisprudenza ritiene che «il profitto confiscabile è costituito da qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione dell’illecito e può dunque consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni

dovuto in seguito all’accertamento del debito tributario»123. In questo modo, però, si finisce per

considerare vantaggio economico il mancato pagamento di somme che sono dovute per previsione del sistema tributario e non sono parte del profitto realizzato dall’evasore. Se si sostiene la tesi maggioritaria in giurisprudenza, che ammette l’estensione della confisca anche a interessi e sanzioni, ci si basa sull’assunto che il profitto, sotto forma di risparmio del contribuente evasore, non può che essere comprensivo di tutte le voci che lo compongono, essendo la condotta illecita preordinata ad evitare completamente il pagamento dell’imposta e degli ulteriori possibili altri vantaggi che ne derivano.

Per gli interessi è astrattamente possibile ammetterne la confisca, non perché spetterebbero automaticamente al fisco, ma in conseguenza proprio del mancato pagamento; se il reo sceglie di non pagare, trattiene per sé delle somme che possono avvantaggiarlo, producendo interessi che non gli spetterebbero. Di più difficile giustificazione teorica è ammettere l’allargamento della confisca anche per le sanzioni; esse non possono essere intese come parte del risparmio124, al più

sono una conseguenza dell’omesso pagamento. Se si confisca la sanzione, allora si attribuisce alla confisca la funzione, non prevista da alcuna disposizione di legge, di mezzo di riscossione delle sanzioni tributarie. Va poi considerato che, in virtù del doppio binario, il giudice penale potrebbe giungere ad una quantificazione di imposta evasa diversa da quella definita in sede di accertamento125. In questo caso andrà inteso come profitto del reato quanto stabilito nel processo

penale.

123 Cass. pen., Sez. V, sent. 10 Novembre 2011 n.1843. Cfr. con Cass. pen., Sez. III, sent. 4 Luglio 2012 n.11836, secondo cui, analogamente, «in tema di reati tributari il profitto comprende non solo il risparmio di spesa derivante dall’evasione

di imposta, ma anche ulteriori vantaggi riconducibili alle sanzioni e alle altre somme eventualmente dovute».

124 Rileva sul punto A. Marcheselli, op.cit., p.16, che «Altrimenti, dovrebbe affermarsi che la multa prevista per i delitti

di furto o detenzione di stupefacenti è un importo risparmiato dal ladro o dallo spacciatore. Sia l’imposta che la sanzione sono importi da pagare, ma l’imposta va pagata dal contribuente reo, in quanto contribuente (e indipendentemente dal reato), la sanzione dal contribuente reo, in quanto reo. La sanzione non può, quindi, essere considerata in alcun modo un profitto del reato e in quanto tale non si vede come possa essere confiscata in base a una norma che prevede solo la confisca del profitto. Più in generale, poi, quand’anche potesse superarsi tale argomento fondato sul principio di legalità, starebbe il fatto che la confisca della sanzione non sarebbe concettualmente compatibile né con la affermata natura punitiva della confisca per equivalente, né con quella di misura di sicurezza».

125 Per maggior chiarezza sui rapporti tra i due processi e su come coordinarli per evitare una doppia spoliazione si rimanda al contributo di T. Tassani, “confisca e recupero dell’imposta evasa: profili procedurali e processuali”, pubblicato per il periodico “Rassegna Tributaria”, n.5/2015, pp.1385-1410, dove l’autore affronta il delicato rapporto tra determinazione, conseguente al doppio binario, in via amministrativa e in via penale della pretesa erariale. Egli,

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La giurisprudenza non esita a riconoscere come vantaggio patrimoniale l’evasione di imposte, ed a ricondurla quindi alla nozione di profitto del reato. Ciò che risulta più difficile individuare sono semmai i beni di diretta derivazione dal reato, perché nel caso di risparmio di imposte nessun bene affluisce al patrimonio del reo. Nulla osta, però, alla confisca per equivalente, che viene così eletta a misura cardine per colpire i reati tributari che si manifestano sotto forma di risparmio di spesa. La quantificazione di tale vantaggio, nei reati tributari che si caratterizzano per il mancato versamento di imposte, va intesa come differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e l’imposta versata.

Di non facile soluzione neppure il contrasto sul tema di concorso di persone nei reati per i quali è prevista la confisca anche per equivalente. Due le posizioni emerse: la prima126 sostiene che, in virtù

del vincolo solidaristico che permea la disciplina del concorso in reato, possa essere confiscata ad ognuno dei concorrenti nel reato l’intero valore corrispondente al profitto o prezzo, sebbene alcuni possano aver beneficiato anche solo in minima parte dei proventi. Essi potranno poi rivalersi sugli altri concorrenti. Così facendo, si ottiene l’effetto di colpire il patrimonio del corresponsabile in misura superiore a quanto egli ha ottenuto mediante la condotta illecita e si vìola il requisito della disponibilità richiesto al fine di procedere per equivalente.

La seconda sostiene che l’importo confiscabile non possa eccedere la quota parte riferibile a ciascun correo: «in caso di pluralità di indagati[…] la confisca ‘per equivalente’, adottata all’esito del giudizio e dell’accertamento delle responsabilità, dovrà comunque riguardare la quota di prezzo o profitto effettivamente attribuibile al singolo concorrente o, nell’impossibilità di un esatta quantificazione, essere applicata per l’intero prezzo o profitto, ma nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra

i concorrenti (e cioè senza moltiplicare l’importo per il numero di concorrenti)»127.

Da notare come, essendo prevista solo per i reati espressamente richiamati, la confisca tributaria potrà colpire l’evasione di imposte dirette e dell’ i.v.a., ma non estendersi ad altri tributi quali ad

trattando della confisca tributaria, che può abbattersi sulla stessa ricchezza individuata dall’Agenzia delle Entrate, a p.1389 afferma: «simile duplicazione delle reazioni giuridiche manifesta la ratio legislativa di rafforzare il presidio

ordinamentale nelle ipotesi più gravi di evasione fiscale (quelle, appunto, di rilievo penale) per non lasciare che il recupero della ricchezza indebitamente sottratta sia solo affidata all’ordinario iter procedimentale/processuale tributario».

126 Vi si ispira la Cass. pen., Sez. V, sent. 16 Gennaio 2004 n.15445: «in tema di confisca per equivalente, sono

assoggettabili a tale misura i beni nella disponibilità di chiunque sia concorso nel reato, anche se il prezzo o il profitto non siano transitati, o siano transitati in minima parte, nel suo patrimonio e siano stati materialmente percepiti da un altro concorrente».

127 Cass. pen., Sez. V, sent. 15 Luglio 2008 n.37693. Analogamente si esprime la sesta sezione della Cassazione nella sentenza 23 giugno 2006 n.25880: «in tema di confisca per equivalente prevista dall’art. 322-ter c.p., nel caso di più

concorrenti nel reato non è consentito moltiplicare l’importo della confisca per equivalente per ognuno di essi, dovendo questi ultimi subire la confisca solo pro quota».

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esempio l’imposta regionale sulle attività produttive, per i quali l’Amministrazione finanziaria dovrà affidarsi ai soli strumenti tipici di riscossione, senza l’ulteriore supporto fornito dalla confisca.

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