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Il sequestro applicato agli enti: i riflessi del D Lgs 231/2001

Capitolo 3. Il sequestro penale in rapporto alla confisca

3.5 Il sequestro applicato agli enti: i riflessi del D Lgs 231/2001

Nel sistema della responsabilità formalmente amministrativa, ma concretamente penale, degli enti introdotta dal D.231/2001, le misure applicabili non si limitano alle sempre presenti sanzioni pecuniarie o, ove ne sussistano i presupposti, all’applicazione di una delle forme di confisca precedentemente analizzate (artt. 6 c.5, 15 c.4, 17, 19), ma contemplano anche due forme di sequestro. Infatti, possono essere applicate agli enti misure cautelari, purché non congiuntamente e proporzionate, su richiesta del P.M., se «sussistono gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell'ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e vi sono fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa

indole di quello per cui si procede»265. Le misure cautelari applicabili sono quelle di cui all’art. 9, 2°

comma, vale a dire le sanzioni interdittive. Tra esse non si trova alcun riferimento al sequestro, che viene disciplinato separatamente. Per quanto riguarda il sequestro preventivo, l’art. 53 dispone, al primo comma:

«Il giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell'articolo 19. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 321, commi 3, 3-bis e 3-ter, 322, 322-bis e 323 del codice di procedura penale, in quanto applicabili».

Non rientrando esplicitamente tra le sanzioni interdittive, non occorrono i “gravi indizi” di colpevolezza richiesti dalla legge affinché possa applicarsi il sequestro. Esso potrà avere ad oggetto prezzo o profitto del reato, se diretto, ovvero beni di valore corrispondente, se anticipa la confisca per equivalente. La dottrina266 ha evidenziato come manchi il riferimento ai commi 1, 2 e 2-bis

dell’art. 321, con la conseguenza che il mancato richiamo al primo comma fa sì che non occorra che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravarne le conseguenze o agevolare altri reati; il mancato riferimento agli altri due commi è perché essi disciplinano una diversa tipologia di sequestro, non impeditivo ma finalizzato alla confisca. È chiaro però come, all’interno del

265 Così prevede l’art. 45, 1°comma, D.231/2001.

266 S. Pizzetti, “Nota a Cassazione penale del 7 febbraio 2012, sez. II, n. 47”, in Resp. civ. e prev., 2012, p.830. L’autore rileva che: «il fatto che l'art. 53 non richiami l'art. 321, comma 1, c.p.p., evidenzia come il sequestro preventivo, di cui al

d.lgs. n.231/2001, non sia stato considerato come lo strumento per evitare che la libera disponibilità del bene in capo alla società possa aggravare o protrarre le conseguenze del fatto sanzionato, ovvero agevolare la commissione di altri illeciti; anzi, questa misura cautelare è stata considerata servente rispetto all'irrogazione della confisca, sanzione prevista dall'art. 19 in termini più ampi di quelli previsti dall'art. 240 c.p.».

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microcosmo del D.231, il sequestro sia anticipatorio della confisca e permetta di intervenire prima della condanna a carico dell’ente. Inoltre, il mancato riferimento al protrarsi degli effetti del reato è implicito nella natura preventiva del sequestro penale ex. art. 321 c.p.p. nonché indirettamente richiamato dalle condizioni applicative delle sanzioni interdittive, che disciplinano le misure cautelari reali applicabili agli enti, pur non prevedendo tra esse il sequestro in maniera esplicita. Non sono chiari nemmeno i limiti applicativi del sequestro applicato agli enti: si ripropone il dibattito circa la gravità degli indizi ai fini della valutazione del fumus. Sebbene la giurisprudenza prevalente si fosse adeguata all’orientamento meno stringente, secondo cui basterebbe una semplice configurabilità in astratto dell’ipotesi di reato, non mancano posizioni diverse, tra cui, per rilevanza, si segnala la sentenza267 della Sesta Sezione penale. In essa, la Cassazione richiede la sussistenza di

un fumus commissi delicti “allargato” per legittimare il sequestro preventivo diretto agli enti; partendo dalla considerazione che «deve rilevarsi che in questa materia non appare corretta una automatica trasposizione del regime dei presupposti legittimanti il sequestro preventivo previsto dall'art. 321 c.p.p., in quanto nel caso dell'art. 53 d.lgs. 231/2001 il sequestro è direttamente funzionale ad anticipare, in via cautelare, la confisca di cui all'art. 19 d.lgs. cit. che è sanzione principale, obbligatoria e autonoma[…]. Periodicamente, si sono registrati tentativi volti a svalutare il requisito del fumus delicti, equiparandolo all'esistenza di una "notizia di reato"[..] ed è proprio la natura di sanzione principale e obbligatoria della confisca che impone, con riferimento alla misura cautelare reale ad essa funzionale, una più approfondita valutazione del presupposto del fumus delicti, che cioè non si limiti alla sola verifica della sussumibilità del fatto attribuito in una determinata ipotesi di reato», la Corte ritiene che le misure interdittive cautelari e quelle reali siano da considerare sul medesimo piano. Pertanto, occorre fare riferimento all’art. 45 che parla di gravi indizi come presupposto delle misure interdittive. Come riflessione finale, la Corte afferma: «In conclusione, presupposto per il sequestro preventivo di cui all'art. 53 d.lgs. 231/2001 è un fumus delicti "allargato", che finisce per coincidere sostanzialmente con il presupposto dei gravi indizi di responsabilità dell'ente, al pari di quanto accade per l'emanazione delle misure cautelari interdittive. Sicché i gravi indizi coincideranno con quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, anche indiretti, che sebbene non valgono di per sé a dimostrare oltre ogni dubbio l'attribuibilità dell'illecito all'ente con la certezza propria del giudizio di cognizione, tuttavia globalmente apprezzati nella loro consistenza e nella loro concatenazione logica, consentono di fondare, allo stato, una

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qualificata probabilità di colpevolezza». Successive pronunce268 non sono però sulla stessa

lunghezza d’onda, a testimonianza che la questione è ancora aperta.

Per quanto concerne la possibilità di colpire con la misura cautelare l’ente, in via equivalente, si ripropongono le considerazioni viste per la confisca per equivalente. Perciò, stando alla sentenza “Gubert”, solo se la società ha tratto effettivamente profitto a seguito del reato commesso dagli amministratori o dal legale rappresentante, ovvero se la persona giuridica è una fictio iuris, è possibile procedere con il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ma non è mai possibile procedere con sequestro per equivalente, dovendosi agire nei confronti di coloro che hanno realizzato materialmente l’illecito, salvo che la società sia uno schermo fittizio269. Più di recente, la

Cassazione270 è tornata sul tema con una sentenza che è stata oggetto di analisi anche da parte della

dottrina271. In un caso di dichiarazione fraudolenta, ha affermato che nel procedere per reati

tributari commessi dal legale rappresentante di un soggetto giuridico, non è possibile procedere a sequestro per equivalente nei confronti dell’ente ma solo in forma diretta. Però, se il responsabile è un soggetto che riveste un ruolo apicale nello schema organizzativo dell’ente, nei casi in cui la confisca nei confronti dell’ente deve essere diretta, è legittimo il sequestro per equivalente applicato ai beni di questo soggetto, se egli non è in grado di fornire la prova della concreta presenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui applicare il sequestro finalizzato alla confisca diretta272.

268 Cfr. Cass. pen., Sez. II, sent. 16 Settembre 2014 n.41435 e Cass. pen., Sez. IV, sent. 18 Novembre 2014 n.51806. 269 Lo ribadisce la sentenza “Gubert”, prec. cit.: «non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per

equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto del reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio».

270 Cass. pen., Sez. III, sent. 1 Dicembre 2016 n.43816: «il sequestro (a carico del rappresentante della persona giuridica,

indagato) è legittimo se l’indagato non fornisce prova della concreta esistenza dei beni della società giuridica su cui disporre la confisca diretta[…]. Cosa diversa è la disponibilità patrimoniale della società. Infatti i beni della società devono riguardare la confisca diretta, non essendo possibile relativamente al patrimonio della società il sequestro per equivalente[…]. Conseguentemente la capienza del patrimonio della società, relativamente al credito tributario, risulta irrilevante e non consente di escludere il sequestro per equivalente a carico dell’imputato».

271 C. Santoriello, nella rivista “Il Fisco”, n.41/2017, pp.3988-3989, commenta la sentenza di cui alla nota precedente. Egli, oltre a ricordare come vengano ripresi concetti già noti, si sofferma su quello che, a suo avviso, rappresenta il punto centrale della decisione, vale a dire «l’affermazione secondo cui, nel caso in cui il profitto c.d. accrescitivo derivante dal

reato sia costituito da denaro, il sequestro delle somme, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificato come sequestro c.d. diretto e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto del vincolo preventivo e il reato».

272 Lo afferma la Cassazione, Sez. III, sent. 10 Giugno 2015 n.42966: «nella fase successiva all'imposizione del vincolo

cautelare, che presuppone, come si è detto, l'accertata impossibilità, quantunque transitoria, di reperire presso la persona giuridica il profitto cd. diretto, e prima che sia disposta la confisca per equivalente dei beni nella disponibilità dell'imputato, vi è un onere di allegazione e prova da parte di quest'ultimo di indicare i beni sui quali sia possibile disporre la confisca diretta nei confronti della società». In termini analoghi una successiva pronuncia (Cass. pen., Sez. III, sent.

9371/2017) secondo cui: «Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona

giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell'imputato sul presupposto dell'impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la

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Per quanto attiene alla seconda forma di sequestro prevista dal D.231, se ne occupa il successivo art. 54, secondo cui il P.M. chiede, in ogni stato e grado del processo, l’applicazione del sequestro conservativo non solo su beni mobili o immobili dell’ente, ma anche sulle somme o cose ad esso dovute, in tutti i casi in cui sussiste fondata ragione di ritenere che possa disperdersi la garanzia per il pagamento non solo della sanzione pecuniaria, ma anche di ogni altro credito erariale o delle spese del procedimento.

Sono dunque sostanzialmente due le forme di sequestro applicabili agli enti, la prima delle quali ricalca il sequestro preventivo, pur con finalità diversificate in ragione della natura di soggetto giuridico rivestita dall’ente, la seconda di tipo conservativo, principalmente volta a tutelare l’erario.

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