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Responsabilità degli enti per gli illeciti tributari compiuti da un suo organo

Capitolo 2. La confisca per equivalente

2.7 La confisca per equivalente in ambito societario

2.7.2 Responsabilità degli enti per gli illeciti tributari compiuti da un suo organo

Come visto, la L. 244/2007 ha esteso ai reati tributari la confisca per equivalente. Tuttavia, tra i reati presupposto che fanno scattare la responsabilità in capo all’ente ex D.231/2001, non figurano i reati tributari. L’ente riporta un eventuale utile e da questo dipende la gran delle imposte a suo carico. La scelta di evaderle ricade però sui soggetti che hanno potere decisionale nell’ente, dunque è su di essi che dovrebbe configurarsi la confisca, anche nella forma per equivalente181. Altrimenti, l’ente

subirebbe una sanzione che va a colpire un soggetto giuridico diverso dall’autore materiale del reato. Quindi, nel caso di illecito tributario, pare non potersi configurare la confisca a carico dell’ente. Senonché, in seno alla giurisprudenza si è sviluppata un orientamento che prescinde totalmente dal mancato riferimento, ad opera del D.231, ai reati tributari. Così, l’estensione dell’art.322-ter ad opera del c.143, art.1, L.244/2007 opererebbe anche per il profitto che l’ente ricava dall’evasione fiscale. Ciò per un duplice ordine di ragioni182: in primo luogo perché colui che

decide di evadere o è parte della compagine sociale o riveste posizioni apicali ed agisce a vantaggio o nell’interesse, oltre che proprio, dell’ente; in secondo luogo è innegabile che l’ente beneficerebbe dell’illecito, e lasciarlo impunito sarebbe controproducente. Pertanto, l’ente non può essere considerato del tutto estraneo ad un illecito tributario e questo ne giustificherebbe l’estensione della confisca per equivalente. La misura non è invece possibile se non esiste alcun collegamento tra ente e persona fisica autrice del reato, poiché la natura sanzionatoria della confisca per equivalente fa sì che ci si debba attenere al principio della responsabilità penale personale.

Ergo, in sintesi, due possibili soluzioni alla questione: un primo orientamento, poc’anzi accennato,

181 Riflette G. Bonanno in art. prec. cit., p.8, che in questo caso «il soggetto passivo del tributo è l’ente collettivo ed è a

questi che è riconducibile il risparmio di imposta, ove invece il soggetto perseguibile penalmente, cioè il reo, è il legale rappresentante. Si verifica, quindi, una divaricazione tra il procedimento tributario che si svolge nei confronti dell’ente ed il procedimento penale che riguarda il legale rappresentante. Deve, tuttavia, rilevarsi che la diversità dell’oggetto dell’azione accertativa tributaria e di quella penale non può, in nessun caso, condurre ad una doppia ablazione stante l’unicità della fattispecie evasiva. Rimane, quindi, da risolvere il problema di individuare il patrimonio da aggredire con la confisca».

182 Forse sarebbe meglio dire triplice: a seguito dell’approvazione della L.186/2014, tra i reati presupposto del D.231/2011 è stato introdotto quello di autoriciclaggio, modificando l’art. 25-octies del Decreto, richiamando l’art. 648- ter.1 del c.p. I fautori del primo orientamento sostengono che di conseguenza anche i proventi da reati fiscali, se impiegati in investimenti o attività economico-finanziarie, si dovrebbero considerare auto-riciclati, pertanto i reati fiscali entrerebbero tra i reati presupposto. Per una ricostruzione della questione si veda C. Santoriello, “La circolare di

Confindustria sul nuovo reato di autoriciclaggio e la responsabilità degli enti collettivi: alcuni pericolosi equivoci”, sulla

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ritiene estensibile agli enti la confisca di valore se l’ente ha beneficiato degli incrementi economici che sono derivati dalla commissione dell’illecito e se l’amministratore o il soggetto in posizione apicale ha avuto la libera disponibilità dei beni della società e li ha gestiti in qualità di legale rappresentante; l’orientamento opposto contesta l’estensione in assenza di espliciti riferimenti ai reati tributari, essendo inidonei a fungere da reato presupposto per la responsabilità ex D.231/2011. Si finirebbe per ricadere in una applicazione analogica in malam partem della legge, il che è vietato. Il dibattito giurisprudenziale183, che era approdato a fratture insanabili non solo tra la giurisprudenza

di merito ma anche in seno alla Terza Sezione della Cassazione, è stato risolto da un intervento a Sezioni Unite della Cassazione184, chiamata a decidere "se sia possibile o meno aggredire

direttamente i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della medesima”185. La Corte, oltre ad occuparsi dettagliatamente del sequestro

preventivo finalizzato alla confisca, su cui si tornerà in seguito, precisa che è possibile procedere con la confisca diretta nei confronti di una persona giuridica, per i reati commessi dal suo legale rappresentante o da altro suo organo nel suo interesse, solo se il profitto del reato o i beni ad esso direttamente riconducibili si trovano ancora nella disponibilità della persona giuridica. Altrimenti, occorre procedere per equivalente, ma questo non è possibile se non è stato reperito il profitto del reato tributario compiuto dagli organi della società stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio. A conferma di ciò si riportano alcune considerazioni della Corte nella sentenza “Gubert”186. Essa rileva in primis come «non sia possibile la confisca per equivalente di beni della

persona giuridica per reati tributari commessi da suoi organi, salva l'ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l'amministratore agisca come effettivo titolare. In una simile ipotesi, infatti, la trasmigrazione del profitto del reato in capo all'ente non si atteggia alla stregua di trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura della interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato, in "apparente" vantaggio

183 Per una approfondita ricostruzione del dibattito si rimanda a L. Della Ragione, “La confiscabilità per equivalente dei

beni dell’ente per i reati tributari commessi dal legale rappresentante: in attesa delle sezioni unite”, 2014, ed a L. Troyer,

S. Cavallini, “Reati tributari commessi dagli amministratori e confisca per equivalente dei beni societari: lo stop and go

della giurisprudenza di legittimità”; entrambi gli articoli sono pubblicati su www.penalecontemporaneo.it

184 Cass. pen., Sez. un., sent. 30 Gennaio 2014 n.10561. Cfr. con quanto ribadito in seguito dalla Cass. pen., Sez. III, sent. 11 febbraio 2014 n.13990.

185 Così è formulato il quesito posto dalla Cass. pen., III Sez., nell’ordinanza di rimessione alle SS. UU. n.46726 del 30 Ottobre 2013.

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dell'ente ma, nella sostanza, a favore proprio»; il fatto poi che vi possa essere una “immedesimazione organica esistente tra il soggetto indagato e la società da lui rappresentata” non è sufficiente: «il rapporto fra ente ed un suo organo, di per sé, non è suscettibile di fondare l'estensione della confisca per equivalente, che si basa su specifiche disposizioni di legge». Prosegue la Corte: «il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che ha introdotto la responsabilità amministrativa degli enti conseguente a reato, non contempla i reati tributari fra quelli per cui è prevista tale responsabilità amministrativa della persona giuridica (...) tale confisca (ed il sequestro alla stessa finalizzato) - prosegue la Corte - non può avvenire ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato d. Igs. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l'adozione del provvedimento, con esclusione dell'ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti». Non manca, da parte della Corte, una riflessione critica sull’effetto che questo può avere sulle entrate tributarie: «il mancato inserimento dei reati tributari fra quelli previsti dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, rischia di vanificare le esigenze di tutela delle entrate tributarie[…]è possibile, attraverso l'intestazione alla persona giuridica di beni non direttamente riconducibili al profitto di reato, sottrarre tali beni alla confisca per equivalente, vanificando o rendendo più difficile la possibilità di recupero di beni pari all'ammontare del profitto di reato, ove lo stesso sia stato occultato e non vi sia disponibilità di beni in capo agli autori del reato».

Queste considerazioni sono sufficienti a concludere che deve ritenersi esclusa la possibilità di procedere per equivalente, salva l’eccezione riportata, nei confronti dell’ente per i reati tributari commessi dai suoi organi a suo vantaggio o nel suo interesse187, per assenza dei reati tributari nel

novero dei reati elencati dagli artt. 24 e ss. del D. 231/2001. Analogamente, non è possibile procedere in tal senso neppure per effetto dell’art. 322-ter c.p., la cui operatività è stata, come detto, ampliata ai reati tributari perché esso si applica solo all’autore del reato e la Corte esclude che la persona giuridica possa essere considerata come tale.

187 Sulla questione, G. Giangrande, prec. cit., p.210, afferma: «Quanto detto sembra rispondere ad una scelta politico-

criminale del tutto discutibile. È fisiologico, infatti, che gli adempimenti tributari di maggior spessore e consistenza[…]concretizzano ben precise scelte di politiche di impresa cui conseguono vantaggi indebiti soprattutto per l’ente. […] sembra quindi irragionevole escludere la confisca (anche) per equivalente nei confronti delle società, cioè dei contribuenti che, producendo ricchezze significative, rappresentano i protagonisti principali del rapporto tributario e, al contrario, affatto riduttivo punire il solo autore-persona fisica».

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