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Conoscenze tacite e conoscenze esplicite

1.7 Possibili interpretazioni sull’ apprendimento e sulla conoscenza

2.1.6. Conoscenze tacite e conoscenze esplicite

Il termine conoscenza è difficilmente definibile con un unico concetto. Essa as-sume significati diversi a seconda del contesto, della visione culturale della mente e della limitatezza umana che non può accedere a tutte le informazioni esistenti, ed ha in qualche modo a che fare con i concetti di significato, di istruzione, di comunica-zione, di rappresentacomunica-zione, di apprendimento, di stimolo mentale e culturale, di atteg-giamento naturale e inconscio.

I processi di generazione di conoscenza possono essere processi di conoscenza consapevole, dichiarata, diffusa, condivisa, ma anche di conoscenza inespressa, im-plicita, che esiste nella testa degli individui, che nasce dall'esperienza, e che, come tale, si collega alla capacità di comprensione dei contesti di azione, intuizioni e sensa-zioni che difficilmente possono essere comprese da chi non condivide tali esperienze.

Nell’agire sociale molti modi di operare e molte procedure sono attuati in modo meccanico e derivano dalla conoscenza tacita152. ll soggetto non sempre è in grado di riconoscere in modo cosciente le conoscenze, ma in base ad essa sono compiute molte attività quotidiane.153

La conoscenza può essere classificata (sulla base delle modalità di comunicazione e trasferibilità della stessa), in:

152Il primo studioso che ha introdotto il termine conoscenza tacita è stato M. Polanyi152, il quale sostiene che «noi sappiamo più di quanto sappiamo dire» (o esprimere), tutta la conoscenza o è tacita o è basata su conoscenza tacita, le esperienze quotidiane sono occasioni in cui l’individuo sviluppa dei saperi non intenzionali, spesso inconsapevolmente. M. Polanyi, ritiene vi possano essere due dimensioni interdipendenti della conoscenza, una dimensione esplicita della conoscenza fondata anche su una dimensione tacita precedentemente interiorizzata, cfr. M. Polanyi (trad. it.), La dimensione inespressa, Armando, Roma, 1979., op. cit. Interessante è anche, dal punto di vista sociologico, il contributo di A. Marradi, che propone una visione delle conoscenze tacite come operazioni mentali inconsce. Il sociologo trae spunto dall’esistenza di un “referente”, ovvero di un possibile oggetto dei nostri pensieri più o meno tangibile. Il concetto di referente si rifà ad antecedenti come “induzione intuitiva”, “categorizzazione” per gli psicologi cognitivisti, “tipizzazione” per i sociologici e “sapere con” e “sapere prima” per i filosofi di corrente fenomenologica. Le conoscenze tacite sono delle operazioni mentali spesso inconsapevoli, che permettono ad un individuo di adattarsi a una vasta gamma di situazioni specifiche, adottando comportamenti più idonei a raggiungere i propri obiettivi, e costituiscono un patrimonio di conoscenze presente in ogni attimo della nostra esistenza. (cfr. A. Marradi, Il ruolo della conoscenza tacita nella vita quotidiana e nella scienza, in Lazzari F., Merler A., La sociologia delle solidarietà, F. Angeli, Milano, 2003, pp. 321-336.

153 P.G. Rossi, Apprendimento, conoscenza tacita, identità, autovalutazione, in Id., Progettare e realizzare il

• tacita: accessibile solo direttamente attraverso l’osservazione della pratica altrui, è difficile da comunicare verbalmente e viene trasferita a volte con l’esempio e la pratica fianco a fianco e pertanto è “tacitamente” condivisa in una comunità, ha radici profonde nell’esperienza personale e collettiva, non è formalizzabile con un linguaggio (naturale o artificiale).

• implicita: accessibile attraverso colloqui, interviste e riflessioni sul campo con un esperto

• esplicita: è la conoscenza storicamente accettata dalla comunità scienti-fica, è formalizzata, sistematica, trasferibile con linguaggio formale, du-plicabile, interpretabile.

La conoscenza tacita è una definizione problematica da descivere in maniera for-malizzata, è legata al contesto di riferimento, è personale e difficile da comunicare. Al contrario, la conoscenza esplicita è quella codificata, espressa secondo modalità for-mali e linguistiche, facilmente trasmissibile e conservabile, esprimibile in parole e in algoritmi; questo tipo di conoscenza, però, rappresenta solo la punta dell'iceberg dell'intero corpo della conoscenza.

Una successiva distinzione di forme di conoscenza tacita sono le cosiddette conce-zioni ingenue, esse sono conceconce-zioni (ma anche strategie) che il soggetto ha elaborato partendo dalla propria esperienza, dalle proprie azioni e dalle proprie inferenze, pos-sono anche essere non corrette e incomplete, generalmente pos-sono tali anche le conce-zioni generate da errori, incidenti critici , elaborati e vissuti anche da precedenti con-cezioni ingenue154.

P. Baumard155 propone quattro diverse forme di conoscenza (rifacendosi al pensiero aristotelico):

• episteme – conoscenza generalizzabile di natura astratta ed oggettiva, che può essere condivisa, conservata, può essere insegnata e appresa;

• techne – una conoscenza applicativa di natura astratta ma anche pratica, intesa come capacità e abilità di trasferire la conoscenza epistemica nella pratica e nell’azione;

• phronesis – forma di conoscenza personale e non condivisibile di natura autoriflessiva,, che proviene dall’esperienza del singolo soggetto e dalla sua personale autobiografia;

• metis – forma di conoscenza soggettiva, di natura nascosta, effimera, implicita, essa è solo narrabile o intuibile;

La suddivisione aiuta a comprendere il pensiero sulle proprie conoscenze, come il soggetto possa interpretare le proprie conoscenze tacite, esito di un sapere agito e della personale storia, attraverso percorsi riflessivi, auto-biografici, introspettivi, e come venga influenzato da conoscenze esplicite, acquisite nel contesto in cui lo stesso soggetto agisce e da influenze culturali.

Diversi sono gli studi condotti sul rapporto tra conoscenze dichiarative e cono-scenze tacite, e diverse sono le posizioni dei ricercatori: tra queste E. Wenger156 (noto studioso vicino all’orientamento socio-culturale e situato dell’apprendimento e della conoscenza) afferma, che solo in uno specifico contesto le conoscenze possono essere suddivise in tacite ed esplicite, l’apprendimento non è costituito solo dall’esplicitazione delle conoscenze, ma può essere anche presente una conoscenza tacita ed implicita, non del tutto formalizzata e cosciente, esito delle azioni, delle pra-tiche, delle concezioni ingenue degli individui e gruppi sociali.

Assumendo la suddivisione sopra descritta, seppure consapevoli della impossibilità di distinguere oggettivamente saperi e conoscenze nella dicotomia implicito versus esplicito, informale versus formale, come anche sembrava suggerire M. Polanyi157 e come la comunità scientifica si sta orientando, le dimensioni tacita ed esplicita della conoscenza, possono essere raggruppate nella categoria di un sapere pratico, elabo-rato da una comunità di attori sociali sulla base di risorse cognitive ed orientamenti comportamentali situati, non contrapposto distintamente da un sapere esplicito, ma costruito a partire da esso, attraverso esperienze condivise.

155 A. Fontana, Vivere in apprendimento nelle organizzazioni. Imparare da soli e con gli altri nei contesti

dilavoro, Le Monnier Università, Firenze, 2004, p. 62-63.

156 E. Wenger, Communities of practice: learning, meaning and identity, Cambridge, University Press, New York, 1998.

Sulla stessa linea anche M. Eraut158, conclude la sua tesi, accettando che la zione tra conoscenze tacite personali e conoscenze esplicite intenzionali è una distin-zione superata e che sarebbe opportuno definirle saperi pratici, tralasciando la di-scussione scientifica sull’argomento che per lo stesso M. Eraut è ormai superata e naife.