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CONTRATTO RELATIVO ALLA COSTRUZIONE DELLA DOMUS DI MOSCA DA SAN GIMIGNANO (1302)

Le fonti: problemi e metod

CONTRATTO RELATIVO ALLA COSTRUZIONE DELLA DOMUS DI MOSCA DA SAN GIMIGNANO (1302)

Si tratta di un contratto15 stipulato dal mercante Mosca da San Gimignano con Gerardo, mastro scalpellino di Firenze, per la costruzione di una lussuosa domus sul Lungarno di Kinzica, nella cappella di Santa Cristina. Questo documento è una preziosa fonte di informazioni perché descrive molto dettagliatamente le richieste del committente all’impresa edile. Si specifica che la struttura portante della domus dovrà essere costruita in conci di pietra fino al primo piano e proseguire in laterizio. Si dispone che la facciata sul Lungarno venga dotata di numerose aperture: due grandi archi all’altezza della strada per ospitare la bottega e trifore sostenute da colonne ai livelli superiori. Per il tetto si prevedono lastre di scisto16 e dei merli decorativi. Anche gli interni non sono trascurati: si chiede che le stanze siano ampie, luminose e ben intonacate. Inoltre si suggerisce di realizzare servizi igienici, scoli per l’acqua e camini per il riscaldamento “dovunque Mosca vorrà”.

13 Il braccio pisano equivaleva a circa 58 centimetri. 36 braccia corrispondevano a 20,3 metri. Cfr. M. Luzzati,

Note di metrologia pisana, in Bollettino Storico Pisano, XXXII (1963), pp. 161-220, Questo limite doveva essere

preesistente perché anche il diploma di Enrico IV del 1081 lo cita.

14 Cfr. R. Bordone, La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV), cit.

15 Conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze, edito da F. Bonaini, Statuti, vol. II, p. 24, nota 1. 16

Una ulteriore conferma della frequenza dell’uso di materiali come scisto e ardesia per le coperture in età tardo - medievale. Si veda anche la Pala di San Nicola, dove la quasi totalità dei tetti di Pisa è di colore nero / grigio scuro.

È un raro esempio di progetto concepito organicamente, in cui un edificio è costruito ex novo, senza ricorrere all’accorpamento di fabbricati preesistenti e senza venire a compromessi fra esigenze di abitabilità e limiti imposti dalla struttura delle più antiche case-torri.

«In nome di Dio, amen. Attraverso questo pubblico strumento sia a tutti manifesto che Gherardo del fu Piero, maestro scalpellino e falegname di Firenze, del borgo di San Frediano e che ora vive a Pisa nella cappella dei SS. Cosma e Damiano spontaneamente e consapevolmente e non per errore, volendosi obbligare e attenere a quanto segue, attraverso questo pubblico strumento convenne e promise a Mosca di San Gimignano del fu Ventura, della cappella di Santa Maria Maddalena di Chinzica, che egli stesso avrebbe costruito tutta la domus da farsi per il detto Mosca sopra i casalini17 dello stesso, posti a Pisa in Chinzica nella cappella di Santa Cristina e aventi un capo verso l’Arno, passante in mezzo la strada, l’altro capo sulla pubblica via, un lato verso la terra e la casa degli eredi di Puccio di Ponte e l’altro lato, parte verso la terra e la casa di Pao Paganelli e parte verso la terra e la casa degli eredi del signor Tedici di Cane e dei parenti, salvo altri confini. Nel modo qui descritto, naturalmente (l’edificio si farà) con due archi nella parte anteriore verso l’Arno, a cunei, di pietra e modanati, pieni nella parte superiore e con parapetti di marmo; e con due finestre con quattro colonnine per finestra, con archetti di marmo e un piastrino a conci squadrai a sostegno della travatura del primo ballatoio, distruggendo il pilastro esistente tra la soprascritta domus in costruzione del detto Mosca, e la casa del detto Pao, ricostruendo con robusti conci di pietra fino a tutto il primo ballatoio; e sopra si farà un arco ispinuto dal muro di Pao al muro degli eredi di Puccio di Ponte, e si farà murare sopra il detto arco in modo che risultino quattro solai; e sopra il tetto del ballatoio si faranno tre finestre e in ogni finestra si metteranno due colonnine; e si faranno tre finestre sopra le precedenti, dalle quali esca il tetto della domus, ognuna delle quali avrà due colonnine; e si farà murare sopra dette finestre tanto quanto sarà conveniente per la merlatura, e si merlerà la domus al modo della casa di Banduccio. E si faranno scoli quanti e dove Mosca vorrà nella domus; gli scoli da farsi per la parte anteriore della casa dovranno andare in Arno attraverso dei condotti[…].

E avrà un fondaco o una bottega tutta pavimentata nella parte anteriore e in quella posteriore. E avrà muri di gesso per dividere le stanze, per chiudere nel mezzo e altrove, e dovunque vorrà detto Mosca; e gabinetti ovunque Mosca vorrà; e i muri saranno tutti intonacati dall’alto al basso con all’interno parti da dipingere; e si faranno ballatoi ovunque murati a mattoni, focolai e camini dovunque vorrà il detto Mosca, e grossi muri come quelli che ci sono ora […].

E si faranno i tetti della detta casa e dei suoi ballatoi comprando piastre di scisto, coprendoli a sue spese con buone e sufficienti piastre, come sono quelle di Banduccio Buonconte […].

Si faranno scale foderate da tavole di fianco e di sotto, con sottoscala chiusi da assi di legno e porticine[…].

E in detta domus si faranno all’interno pancali in muratura per sedere e nicchie ovunque voglia il detto Mosca; lavorando angoli, colonnine e archetti […].

Anno dell’incarnazione del Signore millesimo trecentesimo terzo18, quarto giorno delle calende di Aprile»19.

STATUTI PISANI: il Breve Pisani Communis del 1286

Gli Statuti Pisani costituiscono una delle principali sorgenti di informazioni per la toponomastica, la giurisprudenza ed i provvedimenti amministrativi, in particolare per il periodo che va dalla metà del XII secolo alla fine del XIV secolo. Dobbiamo allo studioso ottocentesco

17 Il termine era sinonimo di edificio in rovina o comunque in precarie condizioni.

18 Nel Medioevo l’anno a Pisa iniziava il 25 marzo, data dell’annunciazione secondo il calendario liturgico. Pertanto il 4 aprile 1303 in stile pisano corrisponde al 4 aprile 1302 in stile moderno.

Francesco Bonaini20 la loro collezione e pubblicazione in tre volumi; leggendo il proemio della sua opera è possibile comprendere le ragioni che lo spinsero a condurre una lunghissima e complessa indagine nelle biblioteche ed archivi di Pisa.

Secondo il Bonaini gli eruditi come il Muratori21 ebbero il grande merito di studiare gli avvenimenti relativi al “primo e più oscuro periodo del Medioevo”, ma tralasciarono o comunque non approfondirono l’indagine delle istituzioni del periodo più maturo dell’età comunale; con la pubblicazione della raccolta è sua intenzione cercare di colmare questa lacuna, almeno per il caso pisano. Un'altra conclusione a cui giunge il Bonaini è che gli Statuti non fossero “compilati a guisa dei moderni codici”, ma costituissero un “patto vicendevole di difensori e difesi”. Nella prefazione trova spazio anche una nota di rammarico; non è stato possibile trovare degli Statuti relativi agli “uffici minori”, ovvero tutte quelle magistrature non direttamente preposte al governo della città che tuttavia producevano documentazione.

I capitoli direttamente legati ad interventi nei settori dell’urbanistica e dell’edilizia rappresentano solo una parte dei provvedimenti all’interno della raccolta, ma danno comunque un’idea dell’attenzione che gli enti pubblici, i funzionari del Comune ed i soggetti privati riservavano alla costruzione, manutenzione e messa in regola degli edifici.

Nel primo dei tre volumi del Bonaini è riportato per intero il Breve Pisani Communis del 1286 (non il più antico, ma il più completo), promulgato all’epoca del conte Ugolino della Gherardesca. Nell’intestazione è possibile leggere la data di approvazione dello Statuto e i magistrati in carica (si può notare la concentrazione di cariche nelle mani di Ugolino, che in quel momento era de facto signore di Pisa).

«Breve Pisani Communis MCCLXXXVI

Potestatibus et capitaneis Ugolino comite de Donnoratico

Et Ugolino vicecomite iudice Gallurensi»

Il Breve si compone di quattro libri, in cui i provvedimenti sono sommariamente divisi per “aree tematiche”. Il primo libro ha centonovanta capitoli (I – CLXXXX) e pur non avendo un titolo specifico si occupa di una grandissima varietà di argomenti, che riguardano la politica estera e interna, le cariche pubbliche e le magistrature ed infine le comunità sul territorio che facevano parte della Repubblica. È sicuramente la parte del Breve più legata agli aspetti istituzionali e amministrativi.

Il secondo libro è chiamato De privilegiis, ha solo undici capitoli (I-XI) e come suggerisce il nome, si occupa dei privilegi (diritti ed esenzioni) che spettano a vari enti e soggetti pubblici o

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Nacque a Livorno nel 1806 e divenne professore di diritto canonico e più tardi di storia del diritto a Pisa. A lui va il merito di avere riordinato gli archivi fiorentini, di cui era soprintendente. Dopo l’unità di Italia si occupò del riordinamento degli archivi delle Marche, dell’Umbria e dell’Emilia. Fu accademico e segretario della Crusca. Gli Statuti Pisani furono pubblicati tra il 1854 ed il 1870.

21

Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), erudito e storico, scrisse tre grandi opere: i Rerum Italicarum

privati. Ad esempio il capitolo I riguarda la Chiesa di San Sisto, il capitolo II le quattro arti (De privilegiis quator artium), il capitolo III la curia del mare22 (De privilegiis curie maris).

Il terzo libro si chiama De maleficiis e ha settantasette capitoli (I-LXXVII). Si tratta di una sorta di codice penale o comunque di una raccolta di provvedimenti relativi a delitti e pene.

Ad esempio il capitolo III si intitola De raptu mulierem, il capitolo IX De cultello et aliis armis, il capitolo XIII de incendiario, il XXI De verbis iniuriosis, il XII, che forse ha un maggiore interesse ai fini di uno urbanistico si intitola De proiciente de turri vel domo e si occupa del lancio di oggetti pericolosi da torri o case.

Non mancano capitoli relativi al controllo ed alla regolamentazione di attività professionali che potevano spesso essere coinvolte in frodi o illeciti.

Ad esempio il capitolo XL si chiama De molendinariis (i mugnai), il XLI De furnariis e il XLII De vinariis.

Un altro capitolo che fornisce utili elementi di conoscenza della vita cittadina è il XLVIII, intitolato De non eundo de nocte, et custodibus civitatis, nel quale si stabilisce che dopo il suono della campana i cittadini che non hanno valide motivazioni (necessitate imminente vel alia iusta causa) per uscire non girino per le strade durante la notte. Inoltre si fissano i turni di guardia ed i compiti delle ronde.

Infine merita di essere ricordato il capitolo LXVIII, chiamato De turribus destruendis, relativo alla distruzione ed abbattimento di edifici e torri di chi si sia macchiato di particolari crimini. Si prevede anche il recupero di pietre e legname ex dictis turribus et domibus destructis.

Il quarto libro del Breve si chiama De operibus ed è composto da settantadue capitoli (I-LXXII). Sicuramente è la parte del documento più interessante per uno studio di storia dell’urbanistica perché è incentrata sulle opere pubbliche, come ponti, strade e mura.

La maggior parte dei provvedimenti non riguarda l’area dei Lungarni, ma ho trovato di particolare pertinenza (ai fini della mia ricerca) questi capitoli:

XI De ponte Spine

XXXIII De gyctis Sancte Christine.

XLIII De logiis, gittis23, tectis, banchis et aliis obstaculis que sunt supra ripam Arni.

Per gli spunti che offrono rimando una trattazione più dettagliata al capitolo IV della mia tesi, nei paragrafi relativi ai singoli edifici e strutture che questi capitoli descrivono.