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Il Trecento, epoca di fervore edilizio e reinvestimento di capital

Pisa nel Tardo Medioevo: il contesto geografico e storico

2.2 Il quadro storico e istituzionale: dall’antichità alla fine del XIII secolo

2.2.2 Il Trecento, epoca di fervore edilizio e reinvestimento di capital

Come abbiamo visto il XIV secolo non fu un periodo di totale declino e decadenza per Pisa136: al contrario, in più di una occasione le luci prevalsero sulle ombre, e dal punto di vista economico la città conobbe un notevole investimento di capitali nell’edilizia137 ed una riorganizzazione dei propri commerci verso nuove direttrici. Con una semplificazione si

134 A Pisa ben presto i viveri iniziarono a scarseggiare, ma anche le truppe fiorentine, accampate nella pianura paludosa intorno alla città, furono duramente colpite dalla malaria e altre epidemie.

135 Cfr. M. Luzzati, Una guerra di popolo. Lettere private del tempo dell’assedio di Pisa (1494-1509), Pisa, 1984. 136 Sull’economia pisana del Trecento cfr. M. Tangheroni, Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel Trecento, Pisa, 1973.

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Lo studio più approfondito sul rinnovamento urbanistico di questo periodo è: F. Redi, il fervore edilizio dopo la

potrebbe dire che la Repubblica da potenza mediterranea si trasformò in una potenza regionale, ridimensionandosi ma non scomparendo di colpo dallo scacchiere internazionale.

Marco Tangheroni, nel suo saggio Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel Trecento sintetizza efficacemente il concetto: «Non bisogna confondere l’assenza138 del settore armatoriale con abbandono del commercio»139.

La presenza pisana rimase abbastanza assidua e vitale in mercati anche lontani, come il Nord Africa, ma si intensificò specialmente lungo le vie del traffico peninsulare, intrecciando scambi e relazioni molto importanti con numerose città di Italia, tra cui le “nemiche” Lucca, Firenze e Genova ed altri centri dell’entroterra toscano, soprattutto Siena e San Gimignano140.

La descrizione di Tangheroni continua così:

«Il fatto è che Pisa era ormai punto centrale di un sistema di comunicazioni e di traffici, sede d’incontro tra vie marittime e vie terrestri e fluviali. Ciò non era capriccio della natura o della storia, ma frutto dell’opera dei mercanti pisani nei secoli precedenti. Nel Trecento questa funzione di Pisa non diminuisce, anzi, aumenta».141.

Un tipico esempio della capacità dei Pisani di intrattenere proficue relazioni commerciali con i propri vicini è una Provvisione del Consiglio degli Anziani del 1348 che sancì la creazione di una società tra Pisani e Fiorentini per la compravendita di cereali prodotti nelle campagne pisane; negli stessi anni il contado di Pisa era in grado di rifornire il Doge di Genova di “ottomila mine” di grano e vendeva a caro prezzo il sale ai doganieri di Firenze142.

L’agricoltura divenne una forma di guadagno sempre più appetibile e molte delle famiglie pisane che nei secoli precedenti avevano accumulato ingenti fortune con le imprese marittime, nel Trecento investirono una cospicua parte dei propri capitali nell’acquisto di beni immobili, chiamati all’epoca possessioni, all’interno e nelle immediate vicinanze della città143.

Emblematici furono i casi di Cecco Agliata e Mosca da San Gimignano che attorno al 1330144 abbandonarono il rischioso commercio marittimo e comprarono terre e case.

Conformandosi a questa tendenza quasi tutti i più illustri esponenti del ceto mercantile si dotarono di adeguate sedi di rappresentanza, da cui partecipare come protagonisti alla vita politica cittadina ed al tempo stesso coordinare e dirigere i propri affari; e spesso furono anche promotori e finanziatori della realizzazione di opere pubbliche e di edifici di culto, come vedremo nella parte finale di questo paragrafo.

La centralissima zona del Ponte Vecchio, in cui il valore delle proprietà immobiliari era già in precedenza molto elevato, fu uno dei punti nodali, se non addirittura il fulcro, di questa intensa attività di rinnovamento edilizio e di conseguenza subì radicali trasformazioni..

138 M. Tangheroni; Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel Trecento, cit., p. 79. 139

In fondo anche nei secoli precedenti il commercio pisano era stato essenzialmente un commercio di transito. 140 Patria del mercante Mosca, che commissionò la costruzione della domus sul Lungarno descritta nel capitolo 3. 141 M. Tangheroni; Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel Trecento, cit.,p. 82.

142 G. Del Guerra, Pisa attraverso i secoli, Pisa, 1977, pp. 106-107. 143

M. Tangheroni; Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel Trecento.cit., pp. 141-142. 144 All’indomani della perdita della Sardegna.

In alcuni casi le vecchie tipologie abitative145 erano già state in parte sostituite dalle più comode domus, con stanze di maggiore ampiezza e una ripartizione degli spazi interni più confortevole146, ma nella seconda metà del Trecento apparvero anche alcuni esempi di veri e propri palazzi, come la raffinata residenza della famiglia Astai (più tardi conosciuta come palazzo Agostini) e i due edifici di proprietà dei Gambacorti (il più noto sul Lungarno e un altro lungo la strada che all’epoca era nota come Carraia di San Gilio ed oggi si chiama Corso Italia). Questi edifici si caratterizzavano per essere stati costruiti ex-novo secondo un progetto unitario e coerente e per avere uno sviluppo prevalentemente orizzontale.

Nella tarda età comunale anche l’edilizia ecclesiastica fu coinvolta dal “fervore” a cui abbiamo precedentemente accennato e si rinnovò147; la prima causa fu un progressivo mutamento di gusti e sensibilità artistica, segnato dall’avanzare dello stile gotico. Se all’inizio del Duecento gli edifici di culto venivano ancora costruiti nello stile “pisano” per eccellenza, il tradizionale romanico, alla fine del secolo avvenne una graduale ibridazione con i modelli ormai prevalenti in Italia del Nord e nel resto dell’Europa continentale.

Questa felice e originale sintesi è già visibile nella decorazione esterna del Battistero, un ordine di sessanta archetti inquadrati da trenta cuspidi gotiche e costruiti al di sopra del più antico basamento di arcate a tutto sesto148; una sovrapposizione di stili del tutto analoga si registra nella chiesa di San Michele in Borgo, dove una edicola gotica, capitelli scolpiti e archetti trilobati sostenuti da colonne (databili al 1304 - 1312) si innestano su una facciata romanica in gran parte preesistente149.

Ma tra il Duecento e il Trecento fu soprattutto l’espansione e l’arricchimento dei nuovi ordini monastici, in particolare Francescani e Domenicani, a dare un grande impulso alla costruzione di chiese e conventi, a Pisa come nel resto d’Italia.

Un progetto molto ambizioso fu quello della chiesa di San Francesco e del convento ad essa collegato: un complesso di edifici così imponente che successivamente avrebbe dato il nome all’intero quartiere sostituendo la più antica denominazione di Foriporta.

La prima cappella dedicata al santo di Assisi fu costruita intorno al 1233150 ed ingrandita nel 1241, ma era soltanto un modesto oratorio e ben presto risultò troppo piccola ed incapace di contenere le sempre più numerose folle dei fedeli. Così nel 1261 i Frati Minori, appoggiati dall'arcivescovo Federico Visconti (in carica dal 1254 al 1277), decisero di edificare una nuova chiesa, molto più spaziosa della precedente. Il progetto fu realizzato da Giovanni di Simone, l'architetto del Campo Santo di Pisa, secondo le norme fissate per la costruzione degli edifici di culto francescani dal Capitolo generale dell'Ordine tenuto a Narbona nel 1260: si prescrivevano delle linee architettoniche semplici e l’uso di materiali poveri ma l’aula doveva essere grande e luminosa.

145 In particolare le case torri a sviluppo verticale, con locali di piccole dimensioni tipiche dei secoli XI e XII. 146 Si veda l’esempio della domus di Mosca da San Gimignano, fatta edificare nel 1302 e di cui si parlerà più estesamente nei capitoli 3 e 4 di questa trattazione.

147 Sia pure in misura minore rispetto all’edilizia privata.

148 Questa parte dell’edificio fu realizzata intorno tra il 1277 e il 1295 da Nicola e Giovanni Pisano. Cfr. S. Renzoni - F. Paliaga, Chiese di Pisa. Guida alla conoscenza del patrimonio artistico, Pisa, 2005, p. 87.

149

Ivi, p. 66. 150 Ivi, p. 49.

Non si deve comunque pensare che il Trecento sia stato un secolo di ininterrotta attività edilizia: ci furono anche battute di arresto e periodi in cui i lavori si fermarono o andarono avanti con lentezza e difficoltà, a causa di eventi interni o esterni alla città.

La stessa chiesa di San Francesco non fu costruita in breve tempo; le spese e le perdite umane che affrontò Pisa in quel periodo per combattere le numerose guerre con le altre città della Toscana resero più difficile il reperimento di fondi e manodopera. Nel 1318 la copertura del tetto non era ancora ultimata e la facciata rimase incompiuta fino all’inizio del Seicento.

Un esempio altrettanto significativo è quello di Santa Caterina, chiesa conventuale dell’ordine dei Domenicani: nella prima metà del Trecento151 si dette inizio ad un ingrandimento dell’edificio, ma la peste del 1348, che decimò la popolazione di Pisa, interruppe definitivamente i lavori. Tutto ciò che oggi rimane di questo tentativo di ampliamento abortito è una breve navata sulla destra, separata da due colonne.

Ad ogni modo, nonostante le difficoltà attraversate dallo stato pisano nel XIV secolo, la costruzione e l’abbellimento degli edifici di culto continuarono ad essere sovvenzionati con ingenti donazioni da parte di privati appartenenti ai ceti più abbienti. Non si deve dimenticare che gli ordini dei Francescani e Domenicani accoglievano tra le proprie fila esponenti dell’aristocrazia e membri di ricche famiglie mercantili, in genere figli secondogeniti o figlie femmine, laddove esistevano conventi femminili.

Ben presto il convento di San Francesco richiese un ingrandimento, essendo divenuto un polo d’attrazione per religiosi provenienti da altre città d’Italia e d’Europa: la comunità monastica accoglieva al suo interno esperti di teologia, di diritto, di letteratura, di miniatura e persino di attività artigianali altamente specializzate come la fusione di campane. Con l’aumento del numero di frati si rese necessaria la costruzione di un grande porticato e chiostro, che fu realizzato nei primi decenni del Trecento.

San Francesco divenne anche uno dei luoghi più richiesti per la sepoltura e molti cittadini ricchi e potenti si fecero tumulare nel chiostro o nella chiesa, commissionando fastosi sepolcri decorati ed epitaffi per tramandare ai posteri la propria memoria. Ancora oggi possiamo leggere sulle lapidi i nomi di aristocratici come i Visconti e i conti della Gherardesca di Donoratico ma anche di Capitani del Popolo e Podestà, magistrati, giureconsulti e professori dell'Università, e di letterati come Francesco da Buti, il famoso commentatore della Divina Commedia.

Grazie ai lasciti di facoltosi benefattori come i Della Gherardesca, gli Alliata, i Gambacorti ed altri, la chiesa nel corso del Trecento si riempì di opere d’arte: il conte Fazio di Donoratico, fece erigere un monumentale sepolcro152 in memoria dei suoi avi e del padre, celebrando in questo modo l’antica nobiltà della propria famiglia. E nel 1342 i Gambacorti, pur essendo emersi da relativamente poco tempo nella scena politica cittadina, riuscirono ad ottenere il privilegio di farsi seppellire in prossimità dell'altare maggiore, e in cambio fecero costruire una magnifica vetrata policroma, purtroppo oggi in gran parte perduta, scolpire la grande pala dell'altare da Tommaso di Andrea da Pontedera ed affrescare una cappella da Taddeo Gaddi153

151 S. Renzoni - F. Paliaga, Chiese di Pisa, cit., p. 41. 152

In età moderna è stato in parte trasferito nel Campo Santo monumentale. 153 Taddeo Gaddi (1290 – 1366) fu allievo e collaboratore di Giotto.

Un altro intervento sostenuto almeno in parte dai Gambacorti fu la realizzazione del convento di San Domenico in Kinzica; la tradizione in base alla quale il signore di Pisa Pietro fece edificare il monastero per la figlia Chiara, monaca e più tardi beata, probabilmente non è attendibile154 anche perché la chiesa annessa al complesso fu consacrata soltanto nel 1457, ma è comunque vero che nel 1392 i lavori ricevettero una sostanziosa donazione dalla famiglia.

Per chi vive nella nostra epoca, potrebbe essere difficile considerare la costruzione di un edificio di culto come un vantaggioso investimento di capitali, ma nel Trecento e più in generale nel Medioevo lo era per molte e valide ragioni. In primo luogo perché chi finanziava il cantiere di una chiesa o di un convento accresceva la propria influenza nella vita politica cittadina (evergetismo), assicurandosi la benevolenza e il favore degli ordini religiosi. Poi perché il benefattore trasmetteva attraverso le generazioni il ricordo della gloria e del prestigio della sua casata. Infine anche per motivazioni di carattere personale e spirituale: un uomo d’affari che aveva molto da farsi perdonare, poteva redimersi sovvenzionando opere caritatevoli o lasciando una cospicua parte dei propri averi alla Chiesa.

Vorrei concludere la panoramica sull’edilizia religiosa con un esempio relativo all’area dei Lungarni e ben documentato dalle fonti155: la chiesa della Spina, inizialmente nota come Santa Maria del Ponte Nuovo, nel Trecento fu completamente ristrutturata, anche se in questo caso la maggior parte delle spese fu a carico del Comune. In origine era una semplice e rustica cappella romanica con tetto a capanna edificata sulla riva del fiume, vicino ai piloni di un ponte, ma nel 1333 ricevette una preziosa reliquia, una spina della corona di Cristo156 portata dalla Terra Santa e rapidamente divenne uno dei luoghi sacri più visitati di Pisa. Nei decenni successivi fu sottoposta a lavori di rinnovamento e ingrandimento, fino a quando (nel 1376) fu ultimata e sfoggiò una elegante e raffinata veste gotica157.

Figura 2.10.

La chiesa della Spina nella posizione in cui sorgeva originariamente, prima di essere smontata e ricostruita (1871 - 1884) alcuni metri più a Nord. Incisione tratta da R. Grassi, Le fabbriche principali di Pisa e alcune vedute della

stessa città intagliate da Ranieri Grassi incisore pisano con indice e descrizione delle tavole, Pisa, 1831.

154

S. Renzoni - F. Paliaga, Chiese di Pisa, cit., pp. 157-158.

155 Per gli edifici di culto una fonte particolarmente rilevante è il manoscritto di P. Tronci, Descrizione delle Chiese,

Monasteri et Oratori della città di Pisa, Pisa, 1643 circa.

156 Da cui prese il nuovo nome. 157

Per un approfondimento si veda L. Tanfani Centofanti, Della chiesa di S. Maria del Pontenovo detta della Spina

CAPITOLO III