Le fonti: problemi e metod
ORDINANANZA DEL COMUNE DI PISA (1313)
2) la pianta di Mattheus Merian, molto nitida e dettagliata nella rappresentazione degli edifici Le strade sono disegnate con una ampiezza maggiore di quella reale, secondo una convenzione
3.5 Le fonti materiali e archeologiche
3.5.2 Restauri, campagne di scavo e rinvenimenti archeologici: alcuni esempi.
Negli ultimi tre - quattro decenni numerosi palazzi storici del Lungarno di Pisa sono stati acquistati da facoltosi soggetti privati (per lo più banche e fondazioni) o enti pubblici. Spesso il cambio di proprietà ha avuto delle ricadute positive, perché ha permesso di avviare interventi di recupero e restauro per troppo tempo rimandati105. Mi propongo di analizzare più dettagliatamente i singoli casi nel capitolo IV, ma voglio citare almeno tre edifici che hanno tratto enormi benefici da opere di restauro filologicamente corrette. Il primo è Palazzo Lanfranchi, complesso nato nel XVI secolo dalla fusione di quattro nuclei medievali. La ristrutturazione fu curata dall’architetto Massimo Carmassi, che tra il 1976 e il 1980 riqualificò l’edificio come centro esposizioni, rendendolo funzionale alle nuove esigenze ma rispettandone le peculiarità e la storia. Gli elementi caratteristici come travi, solai, buche pontaie, nicchie,
104 Questo paragrafo vuole illustrare soltanto alcuni esempi più significativi. I casi specifici saranno approfonditi e discussi nel capitolo IV.
105 I precedenti proprietari, spesso eredi di antiche famiglie pisane, non avevano i mezzi e le risorse per la manutenzione degli immobili e questa era una delle principali ragioni del degrado e dell’incuria a cui erano abbandonati molti di questi edifici.
decorazioni parietali, archi e finestre originarie (liberate dai tamponamenti otto-novecenteschi) furono riportati alla luce per mostrare la ricchezza e la complessità della stratificazione storica. Anche la facciata rinascimentale fu lasciata priva di intonaco per mettere in luce le diverse tessiture delle murature in mattoni e le sopravvivenze di elementi medievali106.
Il secondo è Palazzo Alliata, edificio gentilizio che ebbe origine nel Seicento, in seguito all’accorpamento di ben undici fabbricati preesistenti107. Dopo più di un secolo di decadenza e scarsa manutenzione, fu rilevato dalla Cassa di Risparmio di San Miniato alla fine degli anni Settanta del Novecento. La sapiente opera di restauro fu condotta dall’architetto Gaetano Nencini, in stretta collaborazione con l’archeologo Fabio Redi e lo storico Marco Tangheroni. Sulla facciata fu riportata in vista l’ossatura medievale, composta da piedritti in pietra verrucana e dagli archi di sostegno108 dei piani e del tetto. Le finestre seicentesche furono conservate, ma sul lato di Via Mazzini vennero rimesse in vista varie monofore e una bifora, che forse in epoca medievale creavano una sorta di loggiato.
Il terzo ed ultimo in ordine cronologico è il Palazzo Giuli Rosselmini Gualandi, divenuto dal 2007 Palazzo Blu109, sede di un museo, una fondazione culturale, e prestigiose mostre ed esposizioni temporanee. Lo stato antecedente il restauro era di grave degrado, dal momento che molti locali erano abbandonati ed altri erano utilizzati come magazzini dalla società telefonica SIP/Telecom. L’orditura del tetto era danneggiata e le soffitte soggette ad infiltrazioni di acqua piovana. La ristrutturazione dell’edificio, oltre a riportare agli antichi splendori uno dei palazzi più significativi di Pisa, ha permesso l’avvio di una indagine archeologica che ha fatto riemergere porzioni di murature e pavimentazioni stradali medievali. Questo rinvenimento è stato particolarmente importante, ma non rappresenta un caso isolato; tutte le campagne di scavo che hanno interessato il centro di Pisa nell’ultimo ventennio ci hanno fornito preziosi dati e informazioni, soprattutto per il periodo successivo al Mille110.
Si sono potuti comprendere più chiaramente modi e ritmi di crescita del tessuto urbano; in particolare la trasformazione della villa (agglomerato suburbano) di Kinzica in vero e proprio quartiere della città. Grazie ai numerosi manufatti rinvenuti è stato possibile riscoprire l’ubicazione di attività produttive e commerciali, come le vetrerie e officine di lavorazione del rame che sorgevano nell’area di Sant’Antonio nel Trecento, e gettare nuova luce sulle abitudini quotidiane (l’alimentazione, il modo di vestire, gli svaghi).
Accanto alle case torri ed alle domus delle grandi famiglie mercantili ed aristocratiche sono riemerse strutture abitative minori, più modeste e probabilmente abitate dai ceti meno abbienti. Alcune cisterne e dei pozzi, come quello quattrocentesco trovato nell’area di Palazzo Scotto
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Per la storia completa dell’edificio e del suo restauro cfr. Un palazzo, una città: il palazzo Lanfranchi in Pisa, a cura di G. Rossetti, Pisa, 1984.
107 G. Nencini, Il Palazzo Alliata. Un restauro-riuso sui Lungarni Pisani, Pisa, 1982. pp. 49-64. 108 Alcuni a sesto ribassato, altri a sesto acuto.
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Dal colore dell’intonaco che si è deciso di utilizzare, recuperando l’aspetto settecentesco dell’edificio. Cfr. Palazzo Blu. Restauro di arte e cultura. A cura di F. Redi, 2009.
110 M. Baldassarri, Pisa medievale, in Sotto la superficie. Archeologia urbana a Pisa in Atti della giornata di Studi. Pisa, 3 giugno 2011. A cura di F. Ghizzani Marcìa e M. Cristina Mileti, pp. 48-51 e F. Anichini – G. Gattiglia,
Nuovi dati sulla topografia di Pisa medievale tra X e XVI secolo. Le indagini archeologiche di piazza S. Omobono, via Uffizi, via Consoli del Mare e ia Gereschi, in “Archeologia Medievale”, XXXV, 2008, pp. 121-150.
Corsini, hanno permesso una mappatura, parziale ma di grande interesse, del sistema di approvvigionamento idrico.
Un’altra interessante scheggia di passato emersa dallo scavo di Palazzo Scotto Corsini è l’intervento di trasformazione urbanistica111 che seguì una disastrosa piena dell’Arno del XIV secolo. L’area all’epoca era chiamata Baractularia e faceva parte della parrocchia dei Santi Andrea e Vincenzo; nel 1333 il gruppo di abitazioni che sorgeva nei pressi della chiesa subì gravi danni112. L’esondazione del fiume depositò una grande quantità di sabbia e limo (strati spessi 60/80 centimetri) e nei decenni successivi gli edifici furono riedificati sulle nuove quote. Il caso del cantiere di Palazzo Scotto Corsini è stato particolarmente “fortunato” perché il progetto (la ricostruzione di un palazzo distrutto dai bombardamenti del 1943) prevedeva escavazioni molto profonde e gli archeologi hanno potuto lavorare in condizioni ottimali113, potendo contare sulla disponibilità dell’imprenditore edile, che non li ha costretti a chiudere in fretta l’indagine ed ha collaborato con la Soprintendenza per i Beni Archeologici, posticipando di alcuni mesi il completamento dell’edificio. Raramente si è instaurato un simile clima di cooperazione e sinergia tra ricercatori, proprietari degli immobili e funzionari pubblici.
Sebbene questi risultati siano molto incoraggianti si deve riconoscere che l’indagine archeologica sui Lungarni è fortemente condizionata dal fatto che oggi, come nel passato, sul lungofiume si snodano delle importanti arterie cittadine, costantemente attraversate da un intenso traffico veicolare e pedonale. Ne consegue che gli scavi in queste aree devono essere limitati nel tempo e nello spazio, soprattutto se interferiscono con la viabilità e coinvolgono accessi ad abitazioni e negozi, marciapiedi e parti del manto stradale. La soluzione più equilibrata è sempre quella di accettare un compromesso tra le esigenze della ricerca storica e quelle, di pari dignità, della città che vive e lavora.
Figura 3.16.
Lo scavo dell’area di Palazzo Scotto Corsini come appariva nel 2003-2004, prima del completamento dell’edificio. (Fonte: Palazzo Scotto Corsini. Archeologia delle trasformazioni di un’area urbana a Pisa tra XI e XX secolo, cit., p. 33.)
111 G. Gattiglia, Dalla terra alla storia in Palazzo Scotto Corsini. Archeologia delle trasformazioni di un’area
urbana a Pisa tra XI e XX secolo, a cura di G. Gattiglia e M. Milanese, Pisa, 2006, pp. 125-130.
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L’evento è segnalato anche negli Annali del Tronci. 113 E raccogliere una notevole quantità di informazioni e dati.