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Dalla Meloria alla prima conquista fiorentina (1284-1406)

Pisa nel Tardo Medioevo: il contesto geografico e storico

2.2 Il quadro storico e istituzionale: dall’antichità alla fine del XIII secolo

2.2.1 Dalla Meloria alla prima conquista fiorentina (1284-1406)

Si arrivò allo scontro frontale il 6 agosto del 128474; quel giorno la flotta pisana capitanata dal Morosini, subì una gravissima disfatta presso l’isolotto della Meloria, pochi chilometri a Sud- Ovest dalla foce dell’Arno. Le galee pisane, inferiori di numero e più antiquate75 tennero testa alla prima squadra navale genovese76 per gran parte della giornata, ma furono colte di sorpresa dall’arrivo dei rinforzi genovesi, le trenta galee di Benedetto Zaccaria che erano rimaste nascoste al largo della costa. Anche le differenze nell’equipaggiamento individuale dei contendenti contribuirono a determinare le sorti della battaglia; i soldati genovesi avevano armature più leggere che permettevano loro di muoversi più agilmente, mentre i fanti pisani erano intralciati da pesanti corazze, inadatte al combattimento a bordo di navi. Il bilancio della sconfitta fu particolarmente severo: oltre i due terzi dei vascelli pisani furono affondati o presi dal nemico, le vittime ammontarono ad almeno cinquemila77 e i prigionieri a più di diecimila, di ogni ceto e condizione sociale78. Insieme ai comuni cittadini, furono catturati decine di membri delle famiglie mercantili più ricche e potenti di Pisa e numerosi esponenti del governo, tra cui il Podestà Morosini e molti rappresentanti del Consiglio degli Anziani.

Approfittando della situazione di estrema difficoltà in cui si trovavano i Pisani, Firenze e Lucca, scorgendo una occasione per espandersi nell’entroterra a spese della rivale, invitarono Genova a formare una lega militare contro il comune avversario.

Il 13 ottobre del 1284 a Firenze i delegati della città ligure stipularono un patto con i Lucchesi e i Fiorentini, impegnandosi a proseguire la guerra contro Pisa per mare e per terra, fino al totale annientamento della resistenza pisana ed alla conquista militare di tutto il territorio della Repubblica. La grave minaccia ebbe però l’effetto di scuotere gli animi dei Pisani: il 18 ottobre il Consiglio degli Anziani si riunì e all’unanimità conferì la carica di Podestà all’attempato ma energico Conte Ugolino della Gherardesca.

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Sull’argomento si vedano il volume 1284, l’anno della Meloria, Pisa, AA.VV., 1984, pp. 93-127 e Genova, Pisa

e il Mediterraneo tra Due e Trecento, Atti del convegno per il «VII Centenario della battaglia della Meloria»

(Genova, 24-27 Ottobre 1984), Genova, 1984.

75 Quasi tutte erano di vecchio tipo, cioè dromoni, e meno manovrabili dei legni genovesi. 76

Composta da 63 navi e guidata dall’ammiraglio Oberto Doria.

77 A cui si devono aggiungere coloro che morirono nei mesi e anni successivi, durante la dura prigionia a Genova. Come si vedrà in seguito soltanto poco più di mille tornarono a Pisa dopo quasi quindici anni di detenzione. La zona della città ligure dove furono reclusi i prigionieri della battaglia della Meloria si chiama ancora oggi Campo Pisano.

Ugolino, decano di una delle più illustri e antiche casate di Pisa79, era sulla scena politica da vari decenni80, ma era stato a lungo escluso dal governo della Repubblica per la sua appartenenza alla fazione guelfa, minoritaria ed emarginata in una città di provata fede ghibellina.

I buoni rapporti della famiglia Gherardesca con il Pontefice e la nobiltà guelfa della Toscana, anche se guardati con sospetto dai Pisani, all’indomani della Meloria e in un quadro politico drammaticamente cambiato81, potevano rivelarsi preziosi. Ugolino in quei frangenti era forse l’unico in grado di salvare la città dalla distruzione, ma la fiducia dei Pisani nei suoi confronti era incerta e adombrata da dubbi. Su di lui pesava anche la condotta che aveva tenuto durante la Battaglia della Meloria, quando aveva preferito lasciare la sua piccola squadra di galee a guardia del porto piuttosto che guidarla in battaglia. La sua innata prudenza appariva ad alcuni come viltà o, ancor peggio, propensione al tradimento e la sua proposta di effettuare concessioni territoriali a Lucca e Firenze per convincerle a smarcarsi dai Genovesi fu accolta con ostilità e contestata. Durante una animata riunione del Consiglio degli Anziani svoltasi all’interno della Cattedrale il giurista Giovanni Fagioli, celebre docente di diritto e esponente della parte ghibellina, attaccò apertamente Ugolino, e riuscì a convincere la maggioranza dell’assemblea a rifiutare ogni ipotesi di compromesso con Lucchesi e Fiorentini e a votare a favore di una pace separata con Genova.

Nei giorni successivi due frati domenicani furono inviati come ambasciatori nella città ligure, offrendo una proposta di pace che somigliava molto ad una resa incondizionata, ma la missione fu un completo insuccesso, e il governo di Genova rifiutò l’offerta e dichiarò di voler continuare la guerra a oltranza.

I Pisani a questo punto furono costretti a seguire la linea dettata dal Conte Ugolino e a mettere l’intera gestione della politica estera e interna nelle sue mani. Gli concessero dei poteri straordinari che lo resero de facto signore della città: la carica di Podestà per una durata di dieci anni e quella di Capitano del Popolo. Ugolino riuscì a realizzare un vero e proprio capolavoro diplomatico, sfaldando la lega anti-pisana e isolando progressivamente Genova. Sfruttò la propria amicizia con le famiglie aristocratiche guelfe e fece promesse di cessioni territoriali per stipulare un primo trattato che poneva fine alle ostilità con Firenze. Anche con Lucca fu ottenuta una tregua, probabilmente82 con la rassicurazione che Pisa non si sarebbe opposta alla loro occupazione delle piazzeforti di Bientina, Ripafratta a Viareggio.

In effetti poco dopo i tre castelli vennero annessi ai domini lucchesi e la resistenza opposta dai soldati pisani fu molto debole, al punto da sembrare soltanto formale. La pressione su Pisa si allentò e la città fu per il momento salva, ma si aprì una stagione di contrasti interni e aspre contese tra fazioni che si sarebbero concluse alcuni anni dopo con un esito tragico. I Pisani mal tolleravano i poteri straordinari del Conte e lo accusavano di non essersi affatto impegnato per

79 I Conti di Donoratico, conosciuti anche come famiglia Della Gherardesca erano nobili di origine longobarda e possedevano molti feudi in Maremma.

80 Al momento della nomina a Podestà era quasi ottantenne.

81 E molto sfavorevole alla parte ghibellina. Solo Arezzo era rimasta fedele al partito filo-imperiale. Tutte le altre città della Toscana si erano allineate a Firenze e Lucca e avevano aderito alla Lega Guelfa.

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Non esiste alcun documento che provi la cessione delle tre località a delle rispettive fortezze a Lucca, ma quando Ugolino fu accusato di tradimento, deposto e incarcerato, i suoi avversari lo incolparono anche di questo.

garantire il ritorno dei prigionieri ancora trattenuti a Genova, fra i quali si annoveravano illustri esponenti della parte ghibellina83.

In questo clima politico incandescente, all’interno della famiglia di Ugolino emerse un possibile rivale e pretendente alla signoria, il nipote Nino Visconti84, Giudice di Gallura in Sardegna. Dopo essere stato per breve tempo assistente personale e segretario del nonno, nel 1286 il venticinquenne Nino riuscì a raccogliere intorno a sé molti consensi e fu eletto a sua volta Podestà e Capitano del Popolo. Si istituì così un vero e proprio duumvirato, che dominò la città con autoritarismo e condizionò l’intera vita politica e istituzionale, promulgando nuove leggi e regolamenti pubblici, nel tentativo di porre fine alle lotte intestine.

Ma la co-reggenza del Conte e di suo nipote non durò a lungo; Nino Visconti si avvicinò progressivamente alla fazione ghibellina e in particolare all’Arcivescovo Ruggeri degli Ubaldini e alla fine del 1287 suo nonno Ugolino, ormai diffidente, decise di esiliarlo, insieme a molti altri potenziali oppositori. Mentre le trattative con i Genovesi, risentiti per la defezione degli alleati Lucchesi e Fiorentini, si concludevano con un nulla di fatto e la ricostruzione della flotta85 procedeva a rilento, la popolazione di Pisa era sempre più esasperata dal cattivo andamento dell’economia cittadina e dal ristagno dei commerci, che provocavano un aumento dei prezzi dei generi di prima necessità.

Dopo un periodo di tensioni e scontri, in cui persero la vita diversi illustri cittadini, fra cui il nipote dell’Arcivescovo, nell’estate del 1288 si arrivò alla resa dei conti fra la parte ghibellina (maggioritaria in città) e la parte guelfa, schierata con i Gherardesca.

Ugolino alcuni mesi prima si era prudentemente ritirato nel proprio castello di Settimo86, in compagnia di una nutrita schiera di uomini armati, ma il 30 giugno tornò in città, con l’intento di riprendere il controllo della situazione. La mattina del 1 luglio fu convocato dal Consiglio degli Anziani riunito presso la chiesa di San Sebastiano, con la motivazione ufficiale di discutere a proposito della pace con Genova. Giunto sul posto trovò ad aspettarlo numerosi ghibellini da lui esiliati, rientrati in città di nascosto mentre si trovava a Settimo. L’Arcivescovo Ruggieri, che presiedeva il Consiglio, chiese al vecchio Conte di rinunciare ai poteri straordinari e porre fine alla signoria senza ulteriori lotte e spargimenti di sangue.

Ugolino in un primo tempo accettò e rimise le cariche di Podestà e Capitano del Popolo nelle mani del Consiglio degli Anziani, ma appena l’assemblea si fu sciolta, chiamò a raccolta i propri fedeli, appartenenti alla consorteria dei Gherardesca e alle famiglie guelfe dei Gaetani, Upezzinghi e Visconti e tentò il colpo di stato, occupando i palazzi del governo che sorgevano nella centralissima area del Castelletto e sbarrando le strade adiacenti con barricate.

Le milizie delle famiglie ghibelline dei Gualandi, Lanfranchi e Sismondi, reagirono immediatamente e cinsero d’assedio Ugolino e i suoi partigiani, mentre il suono delle campane richiamava dal contado simpatizzanti di entrambe le fazioni; centinaia di uomini armati si riversarono nelle strade dei quartieri, e Pisa visse uno dei giorni più violenti della sua storia.

83 Cfr. M.L. Ceccarelli Lemut, I Pisani prigionieri a Genova dopo la battaglia della Meloria: la tradizione

cronistica e le fonti documentarie, in 1284, l’anno della Meloria, cit., pp. 77-87.

84 Figlio di una delle figlie di Ugolino, che aveva sposato Giovanni Visconti. 85

Decimata dalla disfatta della Meloria. Le galee erano usate sia come navi da combattimento che come mercantili. 86 Località oggi nota come San Frediano a Settimo, pochi chilometri a Est di Pisa e non lontana da Cascina.

Ma la sorte di Ugolino fu segnata quando il clero e numerosi esponenti della piccola nobiltà e dei ceti mercantili, rimasti fino ad allora in cauta attesa, si schierarono con l’Arcivescovo. I sostenitori del Conte, in inferiorità numerica, si difesero valorosamente per molte ore e subirono gravi perdite. I pochi supersiti, asserragliati nel palazzo del Comune, si arresero soltanto quando i ghibellini li costrinsero ad uscire appiccando il fuoco all’edificio.

Come è già stato accennato nel paragrafo 2.1.2, le case torri di proprietà dei Gherardesca che si trovavano in Kinzica, sulla riva dell’Arno che oggi fa parte del quartiere di San Martino, furono saccheggiate e completamente rase al suolo; si stabilì che in quel luogo non si costruisse nessun nuovo edificio e che lo spazio vuoto restasse a monito per le generazioni future. In effetti tale divieto fu sempre rispettato: ancora oggi l’isolato al civico numero 19 di Lungarno Galilei è l’unico appezzamento affacciato sul fiume dove non sorgono costruzioni87.

La Repubblica di Pisa in quegli anni subì altre dure prove, ma il punto più basso della parabola discendente fu probabilmente toccato nel 1290, quando i Genovesi effettuarono una spedizione punitiva contro Porto Pisano88 e danneggiarono gravemente le infrastrutture portuali, abbattendo le torri e i magazzini e spargendo sale sulle rovine. Inoltre conservarono come ricordo dell’impresa ed esposero come trofeo gli spezzoni della grande catena di ferro che sbarrava l’accesso alla rada89.

Ma già si intravedevano alcuni segni di una ripresa; nel 1289 a Pisa era stato nominato Capitano Generale il condottiero ghibellino Guido da Montefeltro90, grande conoscitore dei campi di battaglia e delle strategie militari. Dopo avere pacificato la città e il contado, ripristinando l’ordine e la legalità e favorendo la riconciliazione tra guelfi e ghibellini, Guido riorganizzò e ammodernò l’esercito, rendendo le truppe di terra dei Pisani pronte al confronto con le milizie di Lucca e Firenze. Istituì un corpo di circa tremila balestrieri bene addestrati, fece costruire palizzate e opere di difesa nei dintorni della città e intraprese una paziente ma vittoriosa opera di riconquista delle piazzeforti della Valdera e del Lungomonte91 che dopo la sconfitta della Meloria erano cadute in mano ai nemici di Pisa. Guido colse il momento favorevole, ben sapendo che i Fiorentini avevano impegnato la maggior parte delle proprie truppe per

87 L’area è occupata dal giardino dell’ente Fiumi e Fossi e questo palazzo sorge in posizione arretrata, a circa trenta metri di distanza dal Lungarno.

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Il casus belli fu una azione di pirateria condotta dai Pisani ai danni di alcune galee genovesi.

89 Nel 1860 gli spezzoni della catena, ad eccezione di alcuni anelli custoditi a Moneglia, furono restituiti alla città di Pisa, con un gesto di riconciliazione riconducibile al clima di distensione affermatosi negli anni dell’unificazione dell’Italia; oggi sono esposti all’interno del Camposanto Monumentale di Pisa.

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Guido da Montefeltro (1223 – 1298), fu conte di Giaggiolo, politico ghibellino e comandante di milizie. Fu protagonista di varie battaglie ed in particolare del vittorioso assedio di Senigallia nel 1267 e della battaglia di San Procolo del 1275, in cui sconfisse i guelfi bolognesi che combattevano contro i ghibellini di Forlì. Nel 1282 fu nuovamente vincitore a Forlì, contro i Francesi, ma l’anno successivo l’esercito di papa Martino IV espugnò la città e lo costrinse all’esilio. Guido, colpito dalla scomunica papale e ritiratosi ad Asti, nel 1289 fu chiamato dai Pisani a reggere le sorti della Repubblica. Nel 1294 Guido fu assolto e perdonato da papa Celestino V e nel 1295, quando lasciò Pisa, fu nominato da papa Bonifacio VIII signore di Forlì. Ma nel 1296 ebbe una conversione e decise di prendere l’abito francescano e di trasferirsi nel convento di Assisi, dove trascorse i suoi ultimi anni in meditazione e preghiera. Suo figlio Federico seguì le orme paterne e fu il capostipite della dinastia dei Montefeltro che nel Trecento e Quattrocento governò la città di Urbino.

91 Così è chiamata l’area a Nord e Nord-Est di Pisa, che sorge alle pendici del Monte Pisano. I più importanti centri abitati erano (e sono ancora) Ripafratta, Pugnano, Molina di Quosa, Rigoli, San Giuliano Terme, Asciano, Agnano, Calci, Caprona, Uliveto, San Giovanni alla Vena e Vicopisano. Quasi tutte queste località erano presidiate da torri o veri e propri castelli e rappresentavano il baluardo avanzato di difesa della Repubblica nell’entroterra.

combattere i ghibellini a Campaldino e assediare Arezzo92 e non potevano spendere molte energie e risorse sul fronte pisano. Come previsto, la reazione di Firenze non tardò e alla fine di agosto del 1289 un contingente si spinse fin sotto le mura di Pisa razziando il contado, ma gli effetti furono limitati; Pisa perse solo la località di Caprona e riuscì a difendere con successo Calci e gli altri castelli pedemontani. L’anno successivo, nonostante le gravi conseguenze dell’incursione genovese a Porto Pisano, Guido operò con successo sulla costa a Sud di Pisa e in Maremma; Piombino e Castiglione della Pescaia vennero riconquistate e Grosseto fu strappato a Siena dopo un lungo assedio. Lo stato di guerra continuò fino al luglio del 1293, quando le due parti, logorate da anni di conflitti, raggiunsero un accordo e stipularono la pace di Fucecchio, che aprì per la Toscana un periodo di relativa tranquillità, in buona parte coincidente con il pontificato di Bonifacio VIII. Il confine fu fissato ad Est di Pontedera, che rimase sotto il controllo di Pisa ma privata delle mura; i Fiorentini ottennero il libero transito delle loro merci all’interno dello stato pisano e pretesero che Guido da Montefeltro rinunciasse alle cariche di Capitano Generale e Podestà e abbandonasse Pisa una volta disbrigate le ultime incombenze del suo mandato.

Se nell’entroterra Guido aveva salvato la Repubblica dalle mire dei vicini, rendendola forse ancora più forte e rispettata che negli anni precedenti la sconfitta della Meloria, diversa era la situazione sul mare. Nel Mediterraneo Occidentale ormai la potenza egemone era Genova ed era impensabile che Pisa potesse riguadagnare il terreno perduto. Nel 1299 i delegati pisani e genovesi si incontrarono e fu concordata una pace di venticinque anni, naturalmente con clausole che tenevano conto dei mutati rapporti di forza e dunque molto sfavorevoli per Pisa. La Repubblica fu costretta a rinunciare a qualsiasi mira espansionistica sulla costa toscana a Nord della Versilia e dovette cedere a Genova il dominio della Corsica e le città fortificate di Sassari e Torres in Sardegna. Genova si impegnò a rispettare la sovranità di Pisa sul tratto di costa tra la foce del Serchio e la Maremma e a liberare i cittadini pisani che aveva tenuto in ostaggio fin dalla battaglia della Meloria. Sfortunatamente soltanto un migliaio di persone tornarono in patria, dal momento che il gruppo dei prigionieri era stato letteralmente decimato dalle dure condizioni di vita nelle carceri, e dalle malattie.

L’inizio del XIV secolo comunque non segnò la fine delle attività di Pisa nel Mediterraneo93 e la Repubblica profuse un grande impegno nella protezione di ciò che ancora controllava. A Castel di Castro (Cagliari), la più importante fortezza della Sardegna, tra il 1305 e il 1307 vennero edificate la Torre di San Pancrazio e la Torre dell’Elefante94, mentre le attività commerciali del porto vennero regolamentate dal Breve portus Kallaretani95, dettagliato statuto in 68 capitoli

92 11 Giugno 1289. I Fiorentini sconfissero i ghibellini di Arezzo in una battaglia particolarmente cruenta e poi si diressero verso la città con l’intento di espugnarla. L’assedio si protrasse per un mese, fino alla fine di Luglio, ma gli Aretini si difesero tenacemente, le mura resistettero e i Fiorentini furono costretti a ritirarsi. Arezzo rimase indipendente fino al 1337.

93 O. Banti, Storia Illustrata di Pisa, cit., pp. 137-138. 94

Entrambe le torri, più una terza chiamata Torre del Leone e parzialmente danneggiata nel XVIII secolo e inglobata nell’ottocentesco Palazzo Boyl, furono progettate dall’architetto sardo Giovanni Capula su richiesta dei consoli pisani Giovanni de Vecchi e Giovanni Cinquini. In epoca spagnola la Torre dell’Elefante fu utilizzata anche come carcere.

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Cfr. L. Galoppini, Il Breve Portus Kallaretani in Pisa e il Mediterraneo, Uomini, merci, idee dagli etruschi ai

redatto nel 1317. Le relazioni con il Nord Africa e in particolare con il regno di Tunisi96 furono riprese e consolidate, sia pure con la necessaria prudenza e attenzione a non urtare gli interessi di Genova, e anche i traffici con le Baleari si mantennero stabili. Il re Giacomo II di Maiorca, in un trattato del 1303, concesse ai mercanti pisani il diritto di avere un proprio console, una loggia dove condurre i propri affari, un buon trattamento fiscale e diversi altri privilegi97.

La situazione di relativa tranquillità dei primi anni del Trecento e la minore pressione su Pisa da parte di Genovesi e Fiorentini favorirono il commercio, la cultura e le fioritura delle arti; nell’entroterra furono restaurati torri e castelli, mentre in città si dette l’avvio a importanti opere pubbliche, come la costruzione del nuovo palazzo del Podestà, negli stessi anni (1302-1310) in cui Giovanni Pisano fu incaricato di scolpire il pergamo della cattedrale.

Ma la tranquillità non durò a lungo; nel 1310 il re di Germania Enrico (o Arrigo)98, della casa di Lussemburgo, scese in Italia alla testa del proprio esercito, con l’intenzione di raggiungere Roma e di ottenere la corona di imperatore del Sacro Romano Impero. Lasciò a Praga il figlio maggiore Giovanni, appena nominato re di Boemia, e dopo una breve sosta ad Asti raggiunse Milano. Il 6 gennaio del 1311 Enrico fu proclamato re d’Italia e cercò di mostrarsi magnanimo e, almeno inizialmente, imparziale nei confronti delle le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini; ricevette i rappresentanti di entrambi gli schieramenti e richiamò molti esuli, tra cui Matteo Visconti, che fu nominato vicario imperiale di Milano. Ma appena cercò di ristabilire i diritti regi e di imporre delle tasse, suscitò malcontento e reazioni negative; alcune città lombarde, in particolare Cremona e Brescia, opposero resistenza e ricondurle all’obbedienza richiese molte settimane di assedio99.

Genova accolse il nuovo re d’Italia favorevolmente e ospitò il suo esercito per due mesi, ma le città della Toscana e dell’Emilia di tradizione guelfa (Bologna, Firenze, Lucca e Siena) si coalizzarono e si prepararono a ribellarsi al sovrano, chiedendo l’aiuto e la protezione di