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Palazzo Pretorio (C L nn 1618, 1619, 1625-1628)

EDILIZIA PUBBLICA E PRIVATA SUI LUNGARNI TARDOMEDIEVALI.

52) Palazzo Pretorio (C L nn 1618, 1619, 1625-1628)

L’edificio è stato conosciuto con molti e diversi nomi, che si sono alternati con il passare dei secoli, indicando il progressivo cambiamento di funzione della struttura: Palazzo del Podestà228 o Palazzo di Giustizia nel Medioevo, Palazzo dei Commissari Fiorentini dal Quattrocento al Seicento e Palazzo Pretorio229 o Palazzo dell’Orologio in epoca successiva. La facciata tardo- medievale (XIV secolo) corrispondeva soltanto alla parte più occidentale dell’attuale prospetto sul Lungarno; si articolava su tre livelli ed era scandita da sette pilastri, che separavano le aperture, in numero di sei per ogni piano. Al livello della strada non c’era un portico, come quello che fu creato nell’Ottocento, ma tre grandi archi; i due più laterali erano gli ingressi veri e propri, mentre l’altro, nel mezzo230, era un cavalcavia che passava sopra ad un vicolo, oggi chiamato Via del Moro; tale dettaglio potrebbe suggerire che l’edificio si sia formato per unione di diversi corpi di fabbrica231, ma in mancanza di riscontri archeologici questa rimane soltanto una ipotesi. Al primo piano c’erano, procedendo da Est verso Ovest, due trifore e quattro bifore, di grandi dimensioni e sorrette da colonnine di marmo. Al secondo ed ultimo piano232 invece esisteva una galleria, che correva lungo una parte della facciata (tre archi); non è possibile stabilire se questa loggia coperta in origine si estendesse per tutto lo sviluppo orizzontale del fabbricato oppure no; nella più antica rappresentazione in nostro possesso (la già citata veduta seicentesca di Figura 3.10) e in altre immagini successive si vedono soltanto tre archi aperti; forse fu concepita così fin dall’inizio o più probabilmente alcuni degli archi vennero tamponati in un secondo tempo per creare dei locali chiusi. Sull’angolo formato dal Lungarno con la Carraia di San Gilio (attuale Corso Italia) sorgeva una torre merlata, di altezza inferiore alla moderna Torre dell’Orologio e a pianta quadrata; un dipinto di un anonimo della seconda metà del Seicento (Figura 4.54 a) ci mostra un altro particolare interessante ai fini della ricostruzione: la torre doveva essere costruita con pietre bianche e nere, disposte in fasce bicrome. Come vedremo nel paragrafo successivo, fino al 1640 circa l’edificio era collegato da un cavalcavia alla Torre del Bargello, che sorgeva appena più ad Ovest, oltre la Carraia di San Gilio e faceva parte di un più vasto complesso di immobili dedicati all’amministrazione della giustizia.

Le demolizioni dei decenni centrali del Seicento risparmiarono Palazzo Pretorio, che mantenne quasi inalterato il proprio aspetto trecentesco fino alla fine del Settecento, fatta eccezione per il parziale tamponamento233 di alcune delle aperture delle bifore, che comunque rimasero perfettamente riconoscibili, mantenendo le colonne e i capitelli, anche se ridotti ad una funzione decorativa. Ma negli ultimi decenni del XVIII secolo tra gli amministratori della Comunità di

228 Da non confondersi con il più antico Palazzo del Podestà che si trovava a Nord dell’Arno, nelle vicinanze di Piazza dei Cavalieri, e per l’esattezza tra Via del Castelletto e Via Ulisse Dini.

229 Cfr. E. Tolaini, Le Logge e la zona di Banchi nella storia urbana di Pisa, in “Architetture Pisane”, 1, Pisa, 2004, pp. 8-19.

230 Non esattamente al centro, ma più spostato verso Est. 231

Spesso i cavalcavia venivano costruiti in un secondo tempo, per collegare edifici più antichi che sorgevano sui due lati di una strada; si vedano gli esempi di Palazzo Ricucchi o Palazzo Giuli / Palazzo Blu.

232 Corrispondente però al terzo piano di molti altri edifici del Lungarno; i solai di Palazzo Pretorio erano maggiormente distanziati perché i locali interni avevano soffitti più alti delle normali abitazioni.

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Forse perché era decisamente più economico ridurre l’ampiezza della finestra chiudendone gran parte con mattoni piuttosto che realizzare enormi vetrate.

Pisa si aprì un intenso dibattito a proposito di Palazzo Pretorio e la discussione contrappose i sostenitori di due opposte posizioni; i primi sostenevano che il Palazzo fosse una importante parte della memoria cittadina e che andasse preservato nelle sue forme medievali, lasciando in vista anche i numerosi stemmi e blasoni dei Commissari fiorentini cinque-seicenteschi che decoravano l’interno e l’esterno; i secondi ritenevano che “la non pregiabile antichità”234 e la difformità rispetto alla maggior parte degli altri fabbricati nella zona danneggiasse il decoro del Lungarno. Si arrivò ad un compromesso, avviando una parziale ristrutturazione che risparmiò per il momento la facciata e si limitò alla costruzione (nel 1785) di una Torre dell’Orologio sull’angolo di Nord-Ovest del complesso; tale intervento era particolarmente urgente perché si doveva sostituire in fretta la vecchia e pericolante Torre delle Ore, sull’altro lato del fiume235. Ma nel 1815 il Granduca Ferdinando III ordinò che il Palazzo divenisse la sede delle carceri e della Cancelleria Civile e Criminale236 e così fu indetto un concorso per il rinnovo dell’edificio; il progetto presentato da Giuseppe Martelli in un primo tempo fu ritenuto il migliore, ma poi ragioni di ordine economico e pratico suggerirono di ripiegare sulla proposta di Alessandro Gherardesca. I lavori andarono avanti con lentezza (1821-1829) e non senza polemiche; alcune delle idee del celebre architetto, tra cui la costruzione di una seconda torre sul lato Est, allo scopo di rendere simmetrico il prospetto, furono bocciate e nel 1826 gli subentrò nella direzione dei lavori l’ingegner Giuseppe Caluri. Al Palazzo propriamente detto furono saldati i corpi di fabbrica adiacenti, venne creato un portico al piano terreno e il tutto venne coperto da una lunga facciata in stile rustico-toscano e vagamente classicheggiante, decorata da un fregio marmoreo realizzato dallo scultore Michele Van Lint237. Il Gherardesca comunque tornò ad occuparsi di Palazzo Pretorio nel 1846, quando ricevette l’incarico di riparare e consolidare dal punto di vista strutturale la Torre dell’Orologio settecentesca, danneggiata da un forte terremoto.

Per circa un secolo l’edificio non subì altri interventi, ma nel 1943 fu in gran parte distrutto dai bombardamenti aerei, come molti altri palazzi di Lungarno Galilei; il restauro del dopoguerra, guidato dal sovrintendente Sanpaolesi, non fu completamente fedele al disegno ottocentesco. Oltre all’impiego di materiali più moderni per le strutture portanti (calcestruzzo armato), la ricostruzione introdusse alcune importanti modifiche: il portico venne esteso anche sui lati della facciata del Lungarno (portandolo da cinque a undici archi) e la nuova torre fu di alcuni metri più alta e di forma più slanciata e della precedente. Un’altra differenza, di minor rilievo,

234 Per una più approfondita cronaca del dibattito che si tenne all’epoca si può consultare questo link: <www.sbappsae-pi.beniculturali.it/index.php>.

235 Come si è visto in precedenza era l’antica Torre dei Vinaioli, facente parte del complesso dell’attuale Royal Victoria Hotel, che dalla fine del Trecento era stata trasformata in Torre delle Ore

236 Tra il Settecento e l’inizio dell’Ottocento le carceri di Pisa erano situate presso l’ex convento di San Lorenzo, nel quartiere di San Francesco. Nel 1815 il Granduca decise di demolire il complesso e di creare nell’area una ampia e ariosa piazza alberata per il passeggio dei cittadini. La nuova piazza prese il nome dalla vicina Chiesa di Santa Caterina.

237 I Van Lint erano una famiglia di artisti di origine fiamminga; il capostipite fu Pieter Van Lint, pittore nato ad Anversa nel 1609, ma attivo anche in Italia. I suoi discendenti si stabilirono a Roma, dove nel 1767 nacque Michele Van Lint, disegnatore e scultore. Da giovane Michele studiò presso l’Accademia di San Luca, poi intorno al 1790 si trasferì a Volterra dove diresse per alcuni anni la scuola per la lavorazione dell’alabastro ed infine prese dimora a Pisa. Fu il padre del celebre pioniere della fotografia Enrico Van Lint (Pisa 1808 – Pisa 1884), a cui dobbiamo molti dagherrotipi che ci mostrano l’aspetto della città tra il 1855 e il 1880. Anche Enrico comunque, prima di appassionarsi alla fotografia e dedicarvisi completamente, fu scultore e pittore di notevole talento.

riguardò i quadranti dell’orologio; prima della guerra erano presenti solo su tre lati, dopo divennero 4.

Figura 4.54

Palazzo Pretorio prima e dopo la modifica della torre.

(Fonti: a sinistra anonimo del XVII secolo, collezione del Museo Stibbert, Firenze; a destra incisione di A. Sasso, da Vedute pittoresche della Toscana, Vol. II, Firenze, 1827.)

Attuale quartiere di Sant’Antonio.

Fino al Settecento l’area fu identificata come la metà più occidentale del terziere di Kinzica, poi di San Martino, ma aveva una fisionomia ben distinta già in epoca medievale. Era sede di importanti istituzioni monastiche, tra cui ricordiamo San Paolo a Ripa d’Arno e il convento delle Benedettine ed ospitava le case di illustri e potenti famiglie, in particolare i Gambacorti, i Dell’Agnello ed i Gualandi; questi ultimi alla fine del XII secolo promossero la costruzione di un ponte proprio con l’intento di valorizzare la parte della città in cui abitavano e per disporre di un collegamento più rapido con la riva settentrionale dell’Arno, senza essere obbligati a passare dal più lontano Ponte Vecchio. A partire dal XVII secolo, quando Palazzo Gambacorti fu scelto per alloggiare i Priori238, Sant’Antonio è divenuto anche la sede degli uffici del primo cittadino (dapprima il gonfaloniere e da ultimo il sindaco) e degli organi di governo locali.

Malgrado le distruzioni belliche239 il patrimonio edilizio e monumentale del quartiere si è in buona parte conservato, soprattutto nelle vicinanze del fiume, meno colpite delle zone interne.

238 Come vedremo in uno dei paragrafi successivi l’edificio già dal Quattrocento ospitava importanti magistrature ed uffici pubblici.

239 In questo caso mi riferisco ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, che rasero al suolo le strade nei dintorni della Stazione e colpirono un po’meno intensamente gli isolati del Lungarno, ma è opportuno ricordare che la zona di Sant’Antonio subì alcuni danni anche in un conflitto molto più antico, ovvero la guerra tra Pisa e Firenze del 1494-1509, in particolare durante il lungo assedio e la battaglia per il controllo del Bastione di Stampace negli anni 1499-1500.

Due sono i tratti di Lungarno appartenenti a Sant’Antonio; dal Ponte di Mezzo al Ponte olforino troviamo Lungarno Gambacorti, lungo circa cinquecento metri; più ad Ovest, in direzione della foce240, si estende il Lungarno Sidney Sonnino, che finisce all’altezza del modernissimo Ponte della Cittadella.