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Corpo, persone, cose

Nel documento Ana-logica (pagine 139-143)

PARTE PRIMA

CAPITOLO TERZO

4. Estremo e ordinario: generalizzazione analogica

4.1 Corpo, persone, cose

Il caso giuridico della communauté disparue è stato discusso per la prima volta intorno al 1140 fra Mosé, esperto di diritto canonico, prima arcidiacono di Vercelli e poi arcivescovo di Ravenna dal 1144, e un tal Gualfredo, di incerta identificazione, ma senz’altro riconosciuto come legis doctor.171

Nel ricostruire il dibattito emerge l’analogicità tanto dei concetti in discussione, che sono passibili sia di un uso univoco che di uno equivoco, ma emerge tempo stesso l’uso predicativo dell’ana-logica, che fa spingere l’argomento oltre il mero dato logico-razionale per sostenere la possibilità di una descrizione di un constesto nuovo (e sotto certi aspetti ignoto) come se fosse un caso noto. Secondo la posizione di Bassiano avrebbe dovuto applicarsi il diritto del signore donante, in linea con una analogia con il caso romano di un fedecommesso in favore di un collegio religioso scioltosi anzitempo; in quel caso, il diritto romano stabiliva che la liberalità ricadesse in favore dell’erede incaricato del fedecommesso.172 Questa lettura, secondo cui i beni debbano rientrare nel patrimonio del donante – poiché la sua posizione è analoga a quella dell’erede del fedecommesso nel caso romano - si contrappone a quella secondo cui i beni della comunità scomparsa debbano considerarsi patrimonio della Chiesa, avendo Cristo come erede e competendo alla Chiesa in quanto istituzione, e non come insieme di individui. Al diritto del signore si oppone quello di Cristo, al diritto del fisco pontificio si oppone il diritto di proprietà del signore, alla capacità a succedere di Cristo si oppone la legge romana sul ritorno del fedecommesso al legatario.173

Nel dibattito si inseriscono le opinioni di altri due giuristi, Mosé e Gualfredo. Per tentare di risolvere la questione, il problema giuridico venne focalizzato su un aspetto determinate: l’identità del beneficiario dei beni concessi. L’interrogativo da risolvere divenne dunque: i beni sono stati donate ai monaci in persona, in carne ed ossa, oppure a qualche altra entità, astratta e virtuale? Per Gualfredo, i donatari erano i monaci in persona, mentre per Mosé i beni dovevano ricadere nel patrimonio della Chiesa come istituzione, come

171 Secondo quanto risulta dai documenti che vengono fatti risalire ad un periodo fra il 1130 e i 1140. Di certo, la reputazione dei due giuristi era affermata: questa disputa è rimasta infatti per lungo tempo uno dei casi esemplari per gli studenti di diritto.

172 “Que les biens doivent retourner au patron, cela peut être argumenté par la loi Tusculanus, où

s’applique la distinction d’un legs initialment utile, mais qui par la suite devient inutile”, p. 48.

173 “Contre cet argument, on peut dire que les possessions [de l’église] ne doivent pas retourner au patron.

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persona astratta. Dalle persone, Mosé preferiva passare alle cose, non necessariamente attraverso un processo di personificazione, ma piuttosto per sostenere che anche qualcosa di diverso da un individuo vero e proprio poteva essere proprietario di un bene.174 D’altronde, nella cultura giuridica dell’alto Medioevo questa tendenza era piuttosto diffusa, essendo tradizione diffusa quella di considerare chiese e monasteri come donatari e proprietari di beni.175 Questa tendenza poggiava sulla tradizione romanistica, nella quale già (secondo la legislazione giustinianea) le terre appartenevano di diritto al tempio come istituzione e non ai monaci.

La controversia riportata figura per la prima volta nelle Questiones di Ioannes Bassianus,176 nel cui lavoro tutte problematiche analizzate vanno nella direzione del medesimo interrogativo, lo status giuridico delle comunità ecclesiastiche; in particolare nella prospettiva della teorizzazione del caso della comunità ecclesiastica scomparsa, furono richiamate altre opinioni oltre a quelle di Gualfredo e Mosé, come ad esempio questa interpretazione nella Glossa di Accursio: “che succede se uno dei membri di una universitas è insolvente [...]? E che succede se qualcuno, appartenente alla universitas, ti aggredisce e commette contro di te un delitto: l’universitas si considera autore del delitto e puoi agire contro di essa?”

La questione giuridica della comunità scomparsa riguarda più in generale l’idea di “comunità” e il possesso di beni originatosi in capo ad un soggetto, il quale si è integrato in un altro soggetto, per cui la risultante è che i due soggetti titolari del diritto sono mélangés l’uno con l’altro. Alla scomparsa di uno dei due, chi è titolare del diritto, se il terzo e nuovo soggetto giuridico “mélangé” non è più identificabile? Per rispondere alla complessa questione, il giureconsulto Pomponio aveva fatto ricorso allo studio - fatto da Aristotele e dagli stoici - sui corpi e sul loro grado di complessità, studio incentrato sulla

174 “Contre cet argument, on peut dire que les possessions [de l’église] ne doivent pas retourner au patron.

Car, de cette fille, il a un héritier suprême en la personne de notre Seigneur Jésus-Christ.” (…) Il disait que les terres appartenaient aux murs de l’église, et au lieu lui-même où elle était située; car, bien que tous ceux qui appartiennent à cette église sont morts, les terres de cette église n’en demeurent pas moins dans sa propriété.”

175 Come è riportato anche da Emanuele Conte, Intorno a Mosé: Appunti sulla proprietà ecclesiastica

prima e dopo l’età del diritto comune, in A Ennio Cortese, Vol.I, Il Cigno Edizioni, Roma (2001), p.

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176 Le quali corrispondevano sotto certi aspetti a ciò che attualmente ricade sotto la definizione di casuistique - soprattutto a partire dalla fine del XII secolo, si trattò di circostanze emerse dalla pratica dei tribunali (quaestiones ex facto emergentes).

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dicotomia parti-tutto, ovvero sul ruolo giocato dalle parti nella definizione del

tutto che queste compongono. I giuristi romani si erano diffusamente interessati

al problema dell’identità giuridica di fronte al mutare delle circostanze, problema simile a quello dell’appartenenza di un bene al suo proprietario anche dopo la modifica della situazione originaria. Le risposte alle questioni non erano sempre omogenee, come è comprensibile, anche perché di caso in caso il problema era la descrizione di un’identità, quella della res, rappresentante uno scoglio teorico rilevante. Dietro e insieme all’identità della

res – va da sé - si andava cercando il campo di imputabilità di un diritto. Tutti

questi tracciati teorici continuarono ad essere percorsi dai glossatori medievali, i quali trasposero l’analisi fatta a proposito dei beni - sulle persone. Il modello ermeneutico applicato agli insiemi di cose, venne così utilizzato per la descrizione degli insiemi di persone. Un corpus fatto di cose per comprendere un corpus fatto di persone: l’applicazione di un modello noto ad un contesto meno noto (se non del tutto ignoto) si conferma, in linea con quanto affermato finora, una dimensione adatta per la descrizione degli oggetti di cui si compone il discorso giuridico. Ancora una volta, dunque, la descrizione di un oggetto da incorporare nel diritto venne filtrata dal bagaglio di competenze già acquisite. D’altro canto, una linea interpretativa complementare avrebbe visto l’applicazione del concetto di “persona” alla comunità, con la conseguenza che la stessa, anche dopo la morte di tutti i suoi componenti, avrebbe dovuto mantenere la capacità a succedere, in una più vasta dimensione di personificazione che deve essere richiamata per completare il quadro della contorta teorizzazione della communauté medievale. Peraltro, il processo di “travestimento” delle cose come persone aveva avuto già a Roma discreto rilievo nel diritto successorio.177

Yan Thomas ha giustamente ritenuto che la soluzione per un caso trova sempre alcune ragioni in elementi esterni al caso

177 In un caso spesso riportato ad esempio, si trattava di stabilire come i creditori alla apertura di una successione potessero ottenere una forma di garanzia per il loro credito e trattare dunque con una persona (inevitabilmente un rappresentante). Si doveva inoltre assicurare che nello stesso contesto gli schiavi del defunto, che continuavano anche dopo la morte a prestare servizio, lavorassero a nome di qualcuno, di un soggetto, che andava per questa ragione identificato. La soluzione venne trovata nella personificazione della successione stessa. I creditori erano quindi creditori della successione, gli schiavi lavoravano al servizio della successione. Per ragioni molto simili, il ricorso alla rappresentazione fittizia tornò utile anche per il caso delle eredità giacenti, per cui ricorso alla persona rappresentativa serviva a colmare una eventuale vacanza.

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stesso, e che nel caso dei commentatori medievali possono essere ricostruite proprio dalle glosse:

“La solution apportée à un cas s’appuie toujours sur celle apportée à d’autre, que

fournissent les textes en marge desquels les juristes travaillent. C’est dans la boucle où se nouent toutes ces questions que furent d’abord essayées et mises à l’épreuve la catégorie et les techniques de la personne fictive ou représentative, qui ne saisit pas en dehors de cette constellation casuistique précise, telle qu’elle se laisse suivre à travers toute une trame d’allégations.”

Nell’analisi casistica sviluppata in prospettiva storica si osservano fenomeni che si collocano oltre la dimensione deduttiva del diritto. Nella dimensione contingente del caso-limite che esula da una trama ordinaria e ricade piuttosto nell’estremo, è contenuta tutta la spinta verso la generalizzazione che un caso critico, “limite” (cas limite), possiede, e che porta a scoprire meccanismi della normatività che comprendono il campo di applicazione delle regole e si spingono anche oltre esso. Si trovano, nelle considerazioni sulla questione giuridica da risolvere, configurazione inattese, talora apparentemente aleatorie e incongruenti, che finiscono per costituire una sorta di matrice alla quale i giuristi medievali fecero ricorso per ricostruire le referenze fra un testo e l’altro, per ritrovare ciò che i giureconsulti romani, nel trattare di cose così come di persone, avevano detto a proposito delle pluralità, o collettività, concetti complessi da analizzare in una prospettiva di semantica proposizionale, contestuale, e non soltanto nominale.

Il caso limite ha assunto nella storia una funzione chiave, perchè attraverso la predicazione analogica, il riferimento alle somiglianze – da intendersi nel senso di “aspetti simili” dei casi precedenti – somiglianze che, è sempre bene precisarlo, devono essere pertintenti o ancora meglio rilevanti, ha stabilizzato una anormalità in una nuova regolarità del sistema. Attraverso la finzione, la comparazione, la valutazione della coerenza, che sono tutte modalità operative del pensiero analogico e presupposti del sapere analogico che ne è la risultante, la stra-ordinarietà del caso “inatteso” viene stabilizzata ed incorporata nel sistema attraverso i meccanismi di controllo ed omogeneizzazione che sono tipici del ragionare analogico. Ciò che è davvero

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affascinante in questo discorso sul caso-limite non è, quindi, soltanto il trasferimento di categorie forgiate in un contesto all’interno di uno nuovo – ma piuttosto il fatto che dietro queste categorie vi siano associazioni ben più concrete di un caso ad un altro, fra le quali le questioni sono collegate le une alle altre metonimicamente. Ciò conferisce alle elaborazioni dei giuristi nella storia un aspetto spesso più poetico (nel senso di “costruttivo”) che esclusivamente logico. I casi, molto più che la speculazione filosofica in sé, mostrano il funzionamento di ciò che è stato definito “impératif de

généralisation”,178

che è quel processo attraverso il quale per la soluzione di un caso è necessario risalire alle classificazioni e alle categorie.179

Ciò significa,

evidentemente, che la discussione storica non finisce con il caso in sé, ma che il processo ed il risultato della generalizzazione iniziati con il caso critico meritano tutta l’attenzione degli storici, proprio per il potenziale argomentativo, concettuale e predicativo che è nel caso singolo, limite.

Quest’analisi della micro-storia dei singoli casi suggerisce riflessioni sugli equilibri dinamici fra pratica e teoria nel diritto nella prospettiva della metodologia storica.

Nel documento Ana-logica (pagine 139-143)