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Scavare nella profondità semantica: lessico fondamentale

Nel documento Ana-logica (pagine 37-42)

PARTE PRIMA

CAPITOLO PRIMO

1. Scavare nella profondità semantica: lessico fondamentale

Per sviluppare ora in modo completo il quadro di problematiche che sono state introdotte, è opportuno ricostruire l’evoluzione che il concetto di “analogia” ha avuto storicamente. Questo lavoro permette di collocare concettualmente anche i componenti del sapere analogico riguardo ai quali si è data un’anticipazione nel capitolo introduttivo, e che saranno meglio e più approfonditamente analizzati nel corso del lavoro.

La ricerca dei concetti che storicamente presenti nel campo semantico dell’analogia è utile, prima di tutto, per comprendere le dinamiche ne hanno caratterizzato le relazioni. Nel tracciato storico-concettuale ricorrono alcune dinamiche tipiche dei processi di comparazione, come uguaglianza-differenza,

compatibilità, e adattabilità: la dinamica comparativa è una delle chiavi per la

lettura e la comprensione profonda della analogia. La diffusa presenza di meccanismi di comparazione si riproduce sotto forme diverse, come la proporzionalità, la quale senza dubbio non solo appartiene al campo di significato del sapere analogico, ma ne è una delle strutture portanti, tanto che generalmente il termine ‘analogia’ è stato sostituito con ‘proporzione’, nel senso di una compatibilità fra discorsi in origine differenti.

Proprio dal concetto di proporzione partiamo allora in questo lavoro di indagine critica nella profondità storica della analogia, in una dimensione intermedia fra storia del pensiero, storia delle scienze, linguistica, storia del

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pensiero filosofico e storia giuridico-normativa. L’analogia è stata ed è tuttora anzitutto proporzione matematica, come emerge dal Timeo di Platone:36

“Onde, messosi Iddio a comporre

l’universal corpo, sì ebbelo fatto di terra e fuoco. Ma non può essere che siano due cose sole legate speciosamente senza una terza; imperocché, necessità è che alcuno legame sia in mezzo di loro, il quale le congiunga. E il più bello dei legami quello è, che faccia di sé e delle cose che lega, quanto esser può, uno. E la proporzione fa ciò in forma bellissima; imperocché, quando tre numeri o corpi o potenze quali si vogliano, il primo sia verso al medio, ciò che il medio è verso all’ultimo; e, nuovamente, ciò che l’ultimo è verso al medio, il medio sia verso il primo; allora divenendo il medio primo e ultimo, e l’ultimo e il primo divenendo medii, tutti divengono medesimi fra loro necessariamente; e medesimi divenuti fra loro, tutti sono uno”

Con un utlizzo simile, si ritrova l’idea di analogia in quanto proporzione nell’Etica Nicomachea di Aristotele (ἡ ἀναλογία ἰσότης ἐστὶ λόγων),37 qui però anche nella accezione del “trovarsi fuori della proporzione” (ὑπὲρ τὴν ἀναλογία τινός). L’analogia in quanto proporzione è dunque il punto da cui partire, poiché in questo concetto sono già racchiusi il problema del medio (“necessità è che alcuno

legame sia in mezzo a loro”), della congiuzione fra differenze alla ricerca di un

equilibrio (“legame (...) che faccia di sé e delle cose che lega, quanto esser può, uno”), della relazionalità fra gli elementi di un discorso, e dell’identificazione nelle differenze attraverso l’ana-logica, che mette appunto in relazione per mezzo di elementi comuni, pur mantenendo elementi di differenziazione. Un primo crinale fra logica è analogia emerge già a partire dallo scarto fra la proporzione matematica, naturalmente accostata all’analogia, e l’analogia “geometrica” che inizia ad essere riferita ad una proporzione inserita in un contesto dinamico. In linea con la proporzionalità, la progressione diventa uno referenti senza i quali l’analogia non può e non deve essere compresa. Già a partire da Aristotele, il

36 Platone, Timeo, ed it. a cura di Giovanni Reale, Milano, 2000, 31c. 37 Aristotele, Etica Nicomachea, Milano, Bompiani (2000).

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quale, sempre nell’Etica Nicomachea, ha usato l’espressione “ἀναλογία γεωµετρική” per indicare una proporzione inserita in un contesto dinamico, la progressione è la proporzione all’interno di una successione continua, rappresentando dunque l’impossibilità di discernere un elemento da un altro, ciò che caratterizza il pensiero analogico in contrapposizione alla logica: nel pensiero classico si trovano dunque le prime tracce del rapporto relazionale che lega logica e analogia nell’ana-logica. Se per la logica vale il principio del tutto-o-nulla, cosiddetto di bivalenza o del terzo escluso, all’analogia si applica il principio di gradazione continua, che è coerente pure con i principii di contraddizione inclusa, di contrarietà e di tensione, nonché con il principio di continuità. Tutte le relazioni attraverso cui si sviluppa il pensiero analogico, e attraverso esso il sapere analogico, sono per definizione relazioni “interne”: fra ogni due elementi, per quanto prossimi, c’è sempre posto per un terzo (che è quel medio di cui parlava Platone nel Timeo a proposito della proporzione).38

Dalla analogia come proporzione o come progressione, erano distinte la analogia come ἁρµονική e l’analogia come ἀριθµητική. La prima, l’armonia, è intervallo tra le frequenze di suoni diversi: anch’essa è quindi prima di tutto un rapporto fra elementi differenti, ed il suo fondamento è il bilanciamento fra differenze, che ancora una volta non è altro che una comparazione fra diverse

rationes. In questi termini si esprime Aristotele nella Poetica: “κατὰ τὴν ἀναλογία”,

ma l’analogia rimane sempre e in primo luogo una relazione in senso più ampio (“ἀναλογία ἔχειν”) fondata su una corrispondenza, una somiglianza (“ὁµοιότης ἢ

ἀ”).

Legata originariamente alla semplice proporzione matematica, già a partire dal pensiero classico l’influenza del concetto di analogia si è estesa ai concetti dal concetto di proporzione a quelli di progressione, armonia, comparazione,

corrispondenza, e più in generale di relazione.

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1.1 Dal basso verso l’altro: un anticipo sulla rilevanza della generalizzazione

Il segreto del termine ‘analogia’ non sta nel tanto discusso logos: pur essendo certamente fondativo,39

esso non è la chiave di lettura che permette di aprire un varco in una dimensione teorico-operativa piuttosto inesplorata. L’attenzione va invece spostata sulla particella anà, che in greco antico ha funzione sia di preposizione che di preverbio, e che generalmente è stata usata con un valore di pertinenza spaziale, che è “in alto”, e che può realizzarsi in modi differenti in relazione alle circostanze in cui è usato. In caso di concorrenza con un dativo, sebbene questo sia un uso piuttosto raro, ricorrente talvolta in poesia, la particella non si trova in relazione forte con l’espressione locativa realizzata dal caso, mantenendo di fatto la propria indipendenza e risultando qualificata esternamente rispetto al caso a cui è riferita.

Usato con l’accusativo di direzione, il significato della locuzione è rappresentabile con la formula

[T(in alto) T(x)]

mentre, con l’accusativo di estensione, la terminazione realizza l’idea di un movimento lungo un percorso, evidenziando così l’estensione del movimento in verticale da un punto iniziale ad uno finale. Ciò ha condotto la particella a sviluppare un allargamento della propria semantica, che dalla semplice idea di risalita dal basso verso l’alto è slittata verso la risalita lungo una serie di elementi all’interno di uno spazio percorribile, dal quale significato è derivato l’uso distributivo della preposizione, come è attestato in Senofonte nella

Anabasis (“ἐπορεύθησαν έπτὰ σταθµοὺς ἀνὰ πέντε παρασάγγας τῆς ηµέρας”).40

Come preverbio, anà ha più frequentemente un valore spaziale come in Erodoto

“ἀναβιβάσας τοὺς παῖδας εφ᾽ἴππος”

ossia “avendo fatto montare i fanciulli a cavallo”. Il riferimento spaziale è l’elemento più frequente nell’uso di anà come preverbio, e a partire da questa

39 Come discusso approfonditamente nel cap. VIII. 40 Anabasis: 4,6.

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semantica, a causa del valore distributivo legato alla progressione lungo un percorso nello spazio, si è sviluppata l’idea del ritorno sui propri passi, lungo una direzione già tracciata, come ad esempio nel Simposio di Platone (220e)

“ὄτε ἀπὸ Δηλίου φυγῆ ἀνεχώρει τὸ στρατοπέδον”

ovvero “quando l’esercito, in fuga, si ritirava da Delio”. Dalla risalita in direzione basso-alto alla risalita lungo un percorso, da questa, tramite l’estensione dell’idea di distribuzione lungo un percorso alla progressione, si trovano tracce di un valore di anà legato all’idea di ripetizione, come nelle

Supplici di Euripide (626)

“κεκληµένους µὲν ἀνακαλούµεθ᾽αὐ θεούς”

ovvero “invochiamo ancora una volta gli dei già invocati”; ripetizione che, dal piano spaziale, mostra uno slittamento verso il piano temporale, allargando ulteriormente il campo di significato della particella.

In Eschilo troviamo ancora un’altro uso di anà: qui la particella serve ad enfatizzare il concetto di emersione attraverso un movimento dal basso verso l’alto, e anche figurativamente dal visibile all’invisibile e, di conseguenza (ciò che è ancora più rilevante per questa tesi), dal noto all’ignoto, come se in un certo senso ciò che sta in basso fosse raggiungibile più facilmente e dunque anche conoscibile più facilmente.

Ricapitolando, dallo spazialità alla progessione lungo un percorso, dalla risalita dal basso verso l’alto ad un processo di generalizzazione, che, induttivamente, conduce dal noto all’ignoto, sempre passando però da livelli graduati di vicinanza (approssimazione) e senza salti. E’ per questo percorso logico che si è ritenuto rilevante analizzare le valenze della particella anà già nella letteratura greca. Il lavoro archeologico, come si è anticipato nell’Introduzione, contribuisce a ricostruire le domande di un intero lavoro a partire dalla loro origine e le accompagna lungo la loro evoluzione e le eventuali modifiche all’interno di nuove formazioni discorsive e di sapere. Le dinamiche che vedremo essere fondative del pensiero e del sapere analogici ancora oggi nel discorso giuridico sono già anticipate nei significati originari

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del prefisso del termine ‘analogia’: ad esempio, il legame fra sapere analogico e forme della generalizzazione (che riproducono il movimento dal basso verso l’alto) è insito nei significati possibili della particella anà, che vanno dunque ben oltre i significati tradotti in italiano con ‘stessa’ o ‘uguale’. La riflessione sulle possibilità semantiche, magari temporaneamente escluse ma non eliminate definitivamente, aggiunge profondità al discorso ana-logico dal mondo classico alla modernità; inoltre molte delle tracce di questi significati, fra cui la dinamica dal noto all’ignoto, o l’interrelazione fra induzione e deduzione, sono presenti ancora oggi nelle modalità operative del sapere analogico, sotto forma ad esempio di predicazione: questa, quando ha struttura analogica, si fonda proprio sul passaggio dal noto all’ignoto attraverso un’induzione, una formazione di sapere a livello generale, ed una successiva deduzione che permette di inferire qualcosa che altrimenti non potrebbe facilmente essere inferito. Il diritto, infatti, si serve per sua costituzione dei processi di generalizzazione, a diversi livelli (produzione legislativa, livello decisionale): ogni volta che nel sistema giuridico si ricorre ad un processo analogico al fine di fissare qualcosa che fino a quel momento era esterno ed estraneo ad esso, si verifica sul piano fenomenologico l’uso di una pratica del sapere analogico, come vedremo più avanti essere prassi consolidata nel diritto delle nuove tecnologie.

Nel documento Ana-logica (pagine 37-42)