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Il linguaggio analogico e i suoi us

Nel documento Ana-logica (pagine 68-70)

PARTE PRIMA

CAPITOLO SECONDO

1.1 Il linguaggio analogico e i suoi us

Dopo queste premesse, possiamo tornare alla descrizione degli approcci al linguaggio che durante il Medioevo hanno avuto una particolare influenza,79 per passare solo in un secondo momento a stabilire il nesso fra lo sfondo della storia intellettuale durante il Medioevo e la sua influenza sullo sviluppo delle teorie medievali sull’analogia. Le teorie medievali sul significato erano profondamente influenzate dal problema della natura degli oggetti, e in particolare della natura comune di alcuni oggetti; secondo alcune scuole, il significato primario di un nome comune doveva corrispondere alla sua natura, mentre il significato secondario era legato al fatto di possedere quella precisa natura, ad esempio per Tommaso D’Aquino il significato (significatum) di un termine era la concezione (semplice o complessa) che l’intelletto ha di quel termine; la res significata era invece la proprietà o la natura caratterizzante

predicato pongono in evidenza un attributo del concetto già contenuto nella sua definizione (ad esempio nell’espressione “i corpi sono estesi”, l’estensione è già contenuta nella definizione e nel concetto di corpo). Sintetici sono invece i giudizi in cui il predicato è aggiunto al soggetto in base all’esperienza, che di fatto attesta che un determinato predicato gli appartiene (es. “i corpi sono pesanti”). I giudizi sintetici sono a priori, se il fondamento della sintesi è dato dalle categorie; sono a posteriori se il fondamento della sintesi è dato esclusivamente dall’esperienza sensibile; altra distinzione è quella per cui i giudizi analitici sono dichiarativi mentre quelli sintetici sono estensivi del sapere.

79 La tradizione teologica del XII secolo è una fonte importante per lo sviluppo della dottrina sull’analogia. Il lavoro dei teologi durante questa fase storica si è concentrato sul problema del linguaggio divino e del linguaggio per la descrizione del divino. Gilbert de la Porrée (anche noto come Gilberto Porretano) e Alain de Lille (anche noto come Alano di Lilla), fra gli altri, hanno iniziato adinteressarsi ai lavori sulla Trinità di Sant’Agostino e di Boezio. Questi autori insistevano nel riconoscere in Dio una sostanziale semplicità e nell’evitare distinzioni fra l’essenza di Dio e la sua esistenza, fra Dio e le sue proprietà. Durante questo periodo si ritornò a studiare i teologi greci, i quali avevano insistito soprattutto sulla trascendenza di Dio e sulla teoria che fu in seguito definita “teologia negativa”, secondo cui non può affermarsi nulla di positivo su Dio, perché non si conosce nulla di un essere trascendente. Da queste teorie si svilupparono non poche questioni in filosofia: dire che “Dio è la giustizia” equivale a dire che “Dio è giusto”’? Dire che “Dio è giusto” equivale a dire che “Dio è buono”? Tutto ciò ha costituito la premessa per gli sviluppi successivi delle teorie del linguaggio - e della funzione della analogia nel pensiero - anche nei secoli successivi. A fianco alla teologia, un altro campo decisivo per lo sviluppo delle dottrine sulla analogia è stata la metafisica. Durante il XII secolo si lavorò moltissimo sulla Metafisica di Aristotele e sulle questioni poste da questo testo sull’ontologia e sul linguaggio. La prima parte della Metafisica era stata completamente tradotta già a metà del XII secolo, sebbene il testo integrale fu ricostruito solo gradualmente. Uno dei passaggi centrali per comprendere la rilevanza della Metafisica per la teoria della analogia è 4.2 (1003a33-35): “Vi sono molti sensi (multis modis) in cui un essere (ens) può essere detto, ma sono legati ad un punto centrale (ad unum), un tipo di cose ben definito, e non sono equivici (...)” (cfr. Metafisica, trad. a cura di Giovanni Reale).

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l’oggetto, mentre il referente (suppositum) era l’oggetto individuale esterno in sé, segnato dalle proprietà.

D’altro canto, Guglielmo d’Ockham e i suoi seguaci non solo negarono l’esistenza di “nature” comuni agli oggetti, ma insistettero sul fatto che le parole non possono significare concetti. Oltre ad avere dei significati, i termini avevano anche dei modi significandi che legati alle funzioni logiche e grammaticali dei termini e inclusivi di caratteristiche accidentali come essere un nome, un verbo, un aggettivo e altre caratteristiche accidentali come quelle riferite al tempo, al genere o al caso. Essi includevano inoltre le modalità della predicazione, che nel Medioevo era basata principalmente sulle categorie aristoteliche, come la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione (e così via), corrispondendo ciascuna ad una natura e a un senso fissato, per cui un termine che non rientrasse nel quadro delle categorie aritstoteliche aveva bisogno di una considerazione particolare. La questione della collocabilità di un ente in relazione alle categorie veniva avvertita in particolare nella teologia, poichè Dio era pensato e rappresentato nel pensiero medievale come trascendente le categorie, il che ne rendeva molto discussa la rispondenza ai criteri categorici. Come si può predicare qualcosa su Dio, quando questo concetto non rientra in nessuna delle categorie generalemente usate per dire qualcosa di qualcos’altro? Il medesimo problema, peraltro, venne discusso a proposito di altri termini caratterizzati da una forte accezione metafisica, come ‘essere e ‘bene’. Trascendendo le categorie, non essendo descrivibili né definibili in funzione di alcuna categoria, non corrispondendo nemmeno ad alcuna natura - che in qualche modo avrebbe potuto fare salva la necessità di dire qualcosa su di essi, questo tipo di termini ha spinto filosofi e teologi a ricorrere a nuovi meccanismi di descrizione; è in questo quadro che l’analogia ha assunto rilevanza sempre crescente, una rilevanza proporzionale alla complessità dell’ente da descrivere e alla sua distanza dalla realtà (in un certo senso alla sua inconoscibilità).

Il quadro intellettuale medievale era anche senz’altro caratterizzato dall’influenza del bagaglio ereditato dal patrimonio culturale latino. Se durante l’alto Medioevo la diffusione della conoscenza era limitata ai monasteri, e non si aveva un grande accesso ai testi antichi, tale condizione cambiò radicalmente intorno all’inizio del tredicesimo secolo, quando le prime università (Oxford, Bologna, Parigi) furono fondate e iniziò la riscoperta dei testi aristotelici

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fondamentali. Una delle fonti principali nel Medioevo per lo studio della analogia furono i testi classici di logica. Fino all’inzio del dodicesimo secolo, le sole sezioni dei testi aristotelici disponibili in latino erano le Categorie e il Peri

Hermeneias, in aggiunta a qualche altro scritto rilevante per lo studio della logica

e dei meccanismi linguistici, come i lavori di Boezio. Com’è noto, le Categorie si aprono con un discorso sull’uso equivoco ed univoco dei termini, ed è questa distinzione a rappresentare l’aspetto più importante per la teoria e anche per l’uso della analogia nelle pratiche del linguaggio. In cosa consiste questa distinzione? Il termine equivoco include anche i suoi omonimi (termini con la stessa forma ma significati differenti), è dunque polisemico, ovvero al singolo termine corrispondono multipli significati, essendo l’equivocità il carattere proprio di termini o proposizioni che danno adito a interpretazioni diverse.80 Al contrario, l’univocità è la proprietà di ciò che ha un solo significato, senza possibili ambiguità. Intorno alla metà del dodicesimo secolo, quasi tutti i testi di logica di Aristotele erano stati recuperati, compresi gli Elenchi Sofistici, che sono la sezione dell’Organon in cui si trova la descrizione dei tre tipi di equivocazione e del modo in cui questi generano fallacia nella logica. Durante tutto il Medioevo, la discussione sui termini ed i concetti analogici ha fatto parte di questa più vasta cornice, quella della relazione fra univocità ed equivocità già descritta da Aristotele e dai suoi commentatori, ed è a partire da questa dicotomia che l’ana-logica ha assunto rilevanza, come si dirà, nel processo di descrizione di Dio. La ricerca di attributi adatti al contesto della descrizione, e le cautele nell’uso di termini da riferire ad un essere non conoscibile, sono state le due caratteristiche essenziali dello sviluppo della predicazione attraverso l’analogia durante il Medioevo.

Nel documento Ana-logica (pagine 68-70)