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L’evoluzione del concetto di negligence per analogia e disanalogia: specie a genere

Nel documento Ana-logica (pagine 184-191)

PARTE SECONDA

CAPITOLO QUARTO

2. Stessa logica, quasi logica: un secondo sguardo su Adams v New Jersey

2.2 L’evoluzione del concetto di negligence per analogia e disanalogia: specie a genere

Si è rilevato, con gli esempi appena descritti, come il campo analogico assuma diverse forme. Fra le altre, abbiamo visto emergere l’analogia costruita fra parti e tutto, l’analogia per cui invece rileva il rapporto fra genere e specie, l’analogia che si racchiude nell’indeterminatezza di un concetto rispetto al contesto di riferiemento. La molteplicità di queste forme induce a sviluppare una prima, necessaria, riflessione: la relazione fra logica e analogia è molto complessa, ancor di più lo è il suo rapporto con la dimensione della giustificazione; soprattutto però, bisogna intendere l’analogia sempre come campo, all’interno del quale ciò che assume rilevanza non è l’una o l’altra forma in particolare, ma il fatto che comunque il diritto ne faccia un uso ripetuto. D’altronde, già i teologi tomisti avevano classificato diversi tipi di analogia, tutti altrettanto importanti, e in particolare l’analogia unius ad alterum (una qualsiasi relazione di somiglianza), l’analogia duorum ad tertium (basata sulla proporzionalità rispetto ad un terzo), e quella plurium ad plura (una relazione di proporzionalità, A sta a B come C sta a D).

La molteplicità delle forme in cui il campo può manifestarsi ha in comune un elemento: perché ci sia analogia, ci deve essere qualcosa in comune. Ci deve essere, in altre parole, uno spazio in cui le somiglianze (ma a volte anche le differenze) possano misurarsi. Anche la dimensione generale-inclusiva può, a sua volta, avere forme differenti. Due elementi nel discorso giuridico possono avere un attributo comune, due fattispecie possono riguardare relazioni giuridiche simili (che hanno un aspetto rilevante in comune). Spesso si è anche discussa la possibilità di ricomprendere anche i principi generali fra le dimensioni “inclusive”. Per esemplificare, riprendiamo un tema tipico della tradizione giuridica di Common law, in cui la relazionalità fra genere e specie (sotto forma di pensiero e sapere analogici) emerge in modo netto. Lo spunto questa volta è rappresentato dallo sviluppo che il concetto di “negligence” ha avuto negli ultimi centocinquant’anni, in particolare nel contesto del decision

making.244 Questo processo offre un’illustrazione efficace del ruolo che l’analogia ha assunto nello sviluppo della cosiddetta case law. “Negligence” indica una

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mancata cura che una persona ragionevolemente prudente dovrebbe usare in una determinata circostanza. Si presuppone generalmente che per diverse circostanze siano richiesti diversi tipi di cura o cautela, il che ha come conseguenza il fatto che la negligence ha un campo d’azione più o meno ristretto a seconda dei casi.

Nel corso degli ultimi centocinquanta anni la giurisprudenza di Common

law ha gradualmente ammesso, e poi catalogato come “pericolosi di per sè”,

alcuni tipi di oggetti. Nel 1851 con il caso Longmeid vs. Holliday245 la lampada ad olio viene esclusa dalla categoria degli oggetti intrinsecamente pericolosi; con alcune decisioni successive, George vs. Skivington246

, Parry vs. Smith247

e Heaven

vs. Pender248 la categoria degli oggetti per il cui utilizzo è richiesta una cautela maggiore (perché pericolosi di per sé) include invece un ascigacapelli difettoso, un impianto a gas difettoso, e un’impalcatura difettosa. Il che implica un alleggerimento dell’onere probatorio degli eventuali danneggiati - ai fini dell’accertamento della responsabilità. Ogni nuova voce nell’elenco in via di formazione, diventa un criterio ulteriore che va a completare il quadro generale in cui sono stabiliti i termini di riferimento per i casi futuri, come si evince dalle parole di un giudice del caso Heaven:

“The logic of inductive reasoning requires that where two major propositions lead to exactly similar minor premises there must be a more remote and larger premise which embraces both of the major propositions. That, in the present consideration, is, as it seems to me, the same proposition which will cover the similar legal liability inferred in the cases of collision and carriage. The proposition which these recognised cases suggest, and which is, therefore, to be deduced from them, is that whenever one person is by circumstances placed in such a position with regard to another that everyone of ordinary sense who did think would at once recognise that if he did not use ordinary care and skill in his own conduct with regard to those circumstances he would cause danger of injury to the person or property of the other, a duty arises to use ordinary care and skill to avoid such danger.”

245 1851, 6 Ex. 761.

246 1869, LR Ex. 1. 247 1879, 4 C.P.D. 325. 248 1883, 11 Q.B.D. 503.

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La logica essenziale del ragionamento induttivo richiede che in presenza di due premesse maggiori (ragionando nei termini del sillogismo aristotelico) che conducono alla stessa premessa minore, deve esserci allora una premessa ancora più generale che comprende le due premesse maggiori, accomunandole sotto un aspetto rilevante. Ancora una volta, una conferma del fatto che l’assimilazione per analogia deve sempre passare da uno stadio intermedio, che abbiamo chiamato inclusione o ricomprensione.

Nel 1932, il celebre caso Donoghue vs. Stevenson249

segna lo sviluppo del concetto di negligence nella tradizione di Common law e, ad un tempo, consacra definitivamente la dottrina del precedente vincolante. Vediamo brevemente come e per quali ragioni può essere rilevante in relazione alla dimensione operativa del campo analogico, che stiamo vedendo dipendere in modo netto dalle relazioni fra parte e tutto, e fra genere e specie. L’appellante, una commessa, chiedeva di essere risarcita dal convenuto, produttore di acque minerali, sostenendo di aver subito gravi danni per aver consumato una bibita al sapore di ginger prodotta dal convenuto, contenente i resti ormai decomposti di una lumaca. La donna sosteneva che al convenuto, produttore di un articolo destinato al consumo e confezionato dopo un’ispezione preventiva, fosse imposto il dovere di controllare diligentemente che i prodotti non contenessero sostanze nocive.250 Uno dei primi casi analizzati fu Langridge vs. Levy (1837, 2 M. & W. 519). Nella fattispecie, un uomo aveva venduto una pistola sapendo che essa avrebbe rappresentato un pericolo se usata dal figlio dell’acquirente. L’arma esplose, in effetti, nelle mani del ragazzo e l’acquirente fu legittimato ad agire contro il fabbricante a titolo di responsabilità extracontrattuale. Tale caso non fu ritenuto assimilabile, però, a causa della diversa pericolosità intrinseca degli oggetti.251

Una comune natura della responsabilità era l’elemento da trovare; come emerge da un passaggio nel ragionamento di Lord Atkin:

249 1932, A.C. 562.

250 La Common law, è noto, va ricercata nei testi di autorevoli scrittori e nei giudizi dei giudici che ne hanno l’amministrazione. Nel caso in esame si rese necessario il ricorso ai casi già decisi per verificare l’attendibilità della tesi sostenuta dall’appellante.

251 Nella stesura della sentenza, le parole della Corte furono infatti “Non dovremmo considerare un precedente la nostra decisione che è in realtà vincolante in caso di azione intentata contro i venditori di armi e di prodotti che essendo di per sé pericolosi, risultino lesivi ed in grado di danneggiare l’incolumità di qualsiasi persona nella cui mano possano cadere…”.

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“And yet the duty which is common to all the cases where liability is established must logically be based upon some element common to the cases where it is found to exist. To seek a complete logical definition of the general principle is probably to go beyond the function of the judge, for the more general the definition the more likely it is to omit essentials or to introduce non-essentials”

I casi in cui viene stabilità una qualunque forma di responsabilità dovrebbero essere tutti basati su un elemento comune: eppure, più un giudice cerca un principio generale, più si allontana dalla sua funzione primaria, poiché più generale è la definizione più probabile è che si omettano degli attributi essenziali per il caso mentre si cercano attributi generali. Sempre nella ricerca del precedente analogo, tra gli altri casi viene esaminato George vs. Skivington, che appare il più simile a quello da decidere. Si era trattato in quel caso della vendita di una lozione per capelli nociva, e l’azione intentata da chi ne aveva patito le conseguenze dannose, fondata sull’assunto che detta lozione fosse stata preparata negligentemente, era stata accolta.

Dopo altri confronti con i casi Blacker vs. Lake & Elliot L.t.d.252 e

Winterbottom vs. Wright253 (riguardante un’azione a titolo di responsabilità extracontrattuale nel caso di rottura di una carrozza dovuta a negligenza nella costruzione), le discussioni dei giudici si svilupparono fra la evidenza di una lacuna legislativa e l’analisi di ogni dettaglio identico, simile o differente fra la fattispecie Donoghue vs. Stevenson e gli altri casi riportati. Quale, fra i casi somiglianti, avrebbe dovuto essere assimilato? In funzione della tutela di quali interessi? Soprattutto, quale ruolo avrebbe dovuto ricoprire il principio di

reasonebleness nello studio approfondito delle analogie con i casi precedenti? Le

parole di Lord Atkin possono offrire lo spunto per un’osservazione intermedia: “Non disistimo la nostra giurisprudenza a tal punto da ritenere che i suoi principi siano così lontani dai comuni bisogni della società civile e dalle richieste che essa pone ai propri membri da negare un rimedio giuridico laddove si è chiaramente in presenza di una ingiustizia sociale”. Il problema pratico che innesca l’utilizzo del dispositivo analogico è il fatto che si renda

252 1912, 106 L.T. 533. 253 1842, 10 M. & W. 109.

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necessario, davanti ad un caso non previsto, colmare le lacune dell’ordinamento; la analogia in questo senso lavora come l’unica via utile da percorrere per approdare a quel carattere costitutivo di ogni sistema giuridico, ovvero la coazione a decidere. A guardare bene, attraverso una dinamica in continua evoluzione fra apertura e chiusura del sistema, l’analogia lavora sulla scia di un procedimento ermeneutico in qualche modo arbitrario. Il sistema giuridico non ha potuto fare a meno, lo si nota già in questi casi così risalenti, dell’artificio: fra classificazioni e definizioni, esso ha mantenuto con continuità un atteggiamento tipicamente costruttivo,254

grazie al quale ciascuna relazione di senso ha avuto - ed ha tuttora - il suo luogo naturale nella analisi funzionalistica del sistema stesso. Non si tratta d’altro che degli spazi fra la natura delle cose e i nomi255 scelti per indicarla, dei contesti in cui sono elaborati e dei possibili usi.256

La House of Lords decise il caso stabilendo che un fabbricante che venda prodotti sapendo che saranno acquistati dal consumatore finale così come distribuiti dalla fabbrica, senza essere stati controllati seguendo uno standard di diligenza ragionevole nella preparazione e nel confezionamento, è responsabile nei confronti del consumatore, dei suoi danni alla vita o alla proprietà.

Sia che si tratti di decidere sul significato di un vocabolo o di una espressione, per stabilire se esso comprenda o no altri oggetti della realtà, sia che ci si trovi a dover decidere un caso ricostruendo il ragionamento seguito in casi precedenti, si nota dunque che, come ha rilevato Robert Alexy, l’argomentazione nel discorso giuridico si basa principalmente su tre modelli: la sussunzione, il bilanciamento, l’analogia.257 E’ stato recentemente sostenuta la sostanziale riducibilità del ragionamento analogico al processo di bilanciamento tipico della prassi giurisprudenziale. Da questo assunto, si può ricostruire la

254 Wittgenstein avrebbe detto “typisch aufbauend”.

255 Sull’operazione di denominazione come costante della natura umana, Michel Foucault, Les

mots et les choses, Paris, Gallimard, 1966, Iª ed. Fra gli altri un passaggio mostra più di altri il

nesso inscindibile fra la mente, la immaginazione, i processi figurativi, e il rapporto fra segni e designati: “L’esistenza del linguaggio nell’età classica è a un tempo sovrana e discreta. Sovrana, dal momento che le parole hanno ricevuto il compito e il potere di ‘rappresentare il pensiero’”. Sul rapporto fra i nomi e le cose, non si può tralasciare il dialogo platonico dedicato proprio alle origini del linguaggio (Platone, Cratilo, Laterza, Roma- Bari, 2oo8).

256 Sul rapporto fra gli enunciati giuridici e i loro usi, Giovanni Tarello, Diritto, enunciati, usi cfr, infra 9.

257 Robert Alexy Theorie der juristichen Argumentation. Die Theorie des rationalen Diskurses als

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tesi secondo cui il problema originario del linguaggio, ovvero la associazione di termini generali ad oggetti particolari, rende spinoso e necessario il concetto di somiglianza. I livelli di somiglianza, lo si è visto proprio con gli esempi di prassi, spesso sono diversi; ciò a dimostrazione della pluralità di piani inferenziali che nello spazio ermeneutico costruiscono il discorso giuridico. In prima istanza, si possono individuare almeno due livelli di somiglianza: il primo, più centrato su ciò che viene a mostrarsi - sulla fenomenologia più che sull’ontologia, crea nessi a partire dalla presenza di attributi comuni. Nei casi di specie: la funzione del trasporto potrebbe servire da tertium genus fra l’autoveicolo e l’aeroplano, la relazione fra la diligenza di un produttore e le conseguenze sui consumatori è usata come terzo comprensivo nel raffronto fra episodi distanti nel tempo. L’identificazione, a questo livello come pure oltre, è impossibile; solo un’interpretazione su passaggi successivi può riuscire nell’impresa di avvicinare le differenze in modo giuridicamente coerente. Il lavoro dell’interprete si muove gradualmente, mediante passaggi logici consequenziali, verso l’obiettivo finale che è la decisione. Un secondo livello di somiglianza, che di per sé comprende anche il primo appena descritto, è molto più complesso; si tratta infatti del piano delle somiglianze cosiddette rilevanti. Nel caso dell’evoluzione del concetto di negligence in Common law, ad esempio, si nota come la spinta venga dalla necessità di stabilire quale fra le alternative offerte dai precedenti sia simile e quale lo sia in maniera più pregnante, in particolare in funzione della soluzione del caso. In questo delicato processo di descrizione di un tracciato di rilevanza che possa orientare nella scelta della similitudine, i meccanismi e le forme della generalizzazione hanno un ruolo centrale:

“Principle (…) represents an established maxim of the law or an inductive generalisation from a number of contemporary rules or cases.”

Lo sviluppo giudiziale del concetto di negligence procede anzitutto dal tentativo di identificare le caratteristiche rilevanti che accomunano i tipi di condotta e le relazioni fra le parti coinvolte nel caso, questo per arrivare a decidere. Con un processo di costruzione di generalizzazioni congruenti, il diritto trova una via per arginare l’eventuale e lo straordinario pur

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contenendoli all’interno di un ordine. Regola e principio sono concetti relazionali che assumono un ruolo centrale, ma la cui analisi è complessa al punto da dover essere momentaneamente messa da parte, per essere ripresa nell’ultima parte (cap. IX).

L’utilizzo dell’analogia nella logica del diritto,258

o meglio ancora di una “ana- logica” nel diritto, porta dunque con sé le tracce di questioni assai più ampie, che dalla dicotomia connotato - denotato conducono al duplice problema di cosa sia il linguaggio e di cosa esso mostri attraverso l’uso dei termini nei discorsi argomentativi.

Lo studio dei casi mostra un carattere multiforme del campo analogico; l’analogia può interessare aspetti o relazioni differenti, come abbiamo visto il tutto e le sue parti, o il genere e le specie che sono ad esso riconducibili. In ogni caso, l’elemento che accomuna le forme del campo analogico è la dimensione ricomprensiva in un luogo terzo. John Austin ha sostenuto che ci sono diversi tipi di analogia (non facendo riferimento alla dicotomia proporzione/attribuzione già nota ad Aristotele): una generic analogy, basata sulla somiglianza fra specie che appartengono allo stesso genus, e una specific

analogy, fondata sulla somiglianza fra individui che sono parti di una delle

specie. L’uso che Austin fa del termine “parts” rimanda al concetto di “membri” (membri di un insieme). In verità, com’è stato dimostrato dalla descrizione dei casi, il diritto non lavora su schemi troppo rigidi di genere e specie, per cui la distinzione è spesso fumosa e i due concetti possono tendere a confondersi. Anche lo scarto fra le parti e il tutto non è sempre così netto. Oltretutto, l’accostamento fra rapporti giuridici comprende tanto la dimensione parti-tutto quanto quella genere-specie, per cui si può ritenere valida la tesi per cui nel discorso giuridico il campo analogico è attraversato da queste relazioni, e spesso le mette in relazione. Ciò è particolarmente evidente, abbiamo visto, nel processo decisionale, in cui per forza di cose parti, tutto, genere e specie vanno valutati in un contesto d’insieme.

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