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Pensare analogicamente

Nel documento Ana-logica (pagine 119-124)

PARTE PRIMA

CAPITOLO TERZO

1. Pensare analogicamente

A questo punto si può ben affermare che ovunque vi sia una struttura analogica, nel pensiero, nello sviluppo del sapere, nei percorsi ermeneutici, nelle argomentazioni, nelle descrizioni e nelle classificazioni, vi è sempre un contatto fra il singolare e l’universale, contatto che è insito nella struttura stessa del termine ‘analogo’, in particolare nelle possibilità semantiche del prefisso

anà-, come è stato dimostrato. Lo spazio per il contatto si viene a creare in una

dimensione che mette in rapporto il singolo caso o elemento con un livello più astratto, in cui quel precipitato individuale può essere ricompreso, incluso, e spiegato. Ciò non stupisce affatto, considerato che originariamente, è cosa ben nota, l’analogia delinea una proporzione matematica, che è un rapporto fra

rapporti, essendo essa sempre compresa fra identità e differenza: ana-logos è un logos fra logoi, un quasi-logos, fondato su un bilanciamento delle intersezioni fra

uguale e diverso.

143 Y. Thomas, L’extrême et l’ordinaire. Remarques sur le cas médièval de la communauté disparue, in Penser par cas 45- 73 (2005), p. 73.

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Già prefigurata da Parmenide e da Eraclito nel pensiero classico, rielaborata dalla scuola pitagorica, anche Archita da Taranto l’ha descritta nei termini di una dimensione relazionale che mette in rapporto grammatiche o sistemi di riferimento divergenti attraverso una proporzione matemtica (a/b=c/d). Questa forma di proporzionalità è stata usata, come si è detto nel capitolo precedente, durante il Medioevo, per comprendere le relazioni fra il mondo sensibile e mondo divino; nel platonismo, l’analogia si diffuse come metodo di conoscenza di Dio, per definizione sconosciuto ed inconoscibile (o conoscibile solo nella misura della sua inconoscibilità, secondo la dottrina della teologia negativa) e la proporzione fu estesa alla partecipazione, come dinamica attraverso la quale la continuità del reale può essere, su vari livelli, partecipe di ogni dimensione del divino (o del superiore), non significando più soltanto una proporzione, ma anche un rapporto di un termine con altri termini, più generali e più vastamente applicabili, e ancor di più rappresentando una peculiare capacità di recepire che è propria dell’essere che viene partecipato (nel Medioevo, ovviamente, Dio). L’analogia, nella sua dimensione predicativa che si sviluppa nella ricerca dei nomi di Dio (la teonimia), slitta nella partecipazione fra enti, inaugurando un meccanismo che in qualche modo ricorda ciò che Leibniz definirà entr’expression, ovvero la capacità degli enti di definire, definirsi ed essere definiti gli uni in funzione degli altri, attraverso una rete di riferimenti che rendono possibile la costruzione di una dimensione linguistica in cui ogni cosa è definita in relazione a qualcos’altro, ciò che è possibile poiché vi è una tendenziale continuità fra gli enti. Il contatto a cui si è fatto riferimento, quello fra singolare ed universale, che è uno fra gli aspetti fondamentali del pensiero analogico, si ripropone sotto altra forma nella risalita, secondo una forma di generalizzazione, che dal creato tenta di definire il creatore. Per la tradizione teologica ebraica e poi cristiana, la conoscenza di Dio necessita infatti del metodo analogico, nel senso vero e proprio di una dimensione epistemologica in cui le forme di verità vengono ad istituirsi sulla base delle strutture del pensiero analogico, che come si è accennato fa uso, oltre che dell’inferenza analogica in senso stretto, anche di più generici modelli,

standards, esempi.144 Il “metodo analogico” ricomprende tutta una serie di forme

144 Questo riferimento al ruolo degli esempi rimette in circolo la questione aristotelica della delimitazione fra paradigma ed analogia, e dell’uso alternativo che il filosofo greco fra di questi

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di predicazione fondate sull’analogia e finalizzate alla conoscenza del divino per mezzo della sua descrizione; questo metodo, che conosce più di una declinazione, fa sì che la grandezza, la complessità e la bellezza delle creature facciano contemplare indirettamente, per analogia (con la mediazione del rapporto analogico), il loro autore, che nel caso Medievale è – evidentemente – Dio, il quale, pur essendo invisibile alla natura mondana, si manifesta attraverso le sue opere, la contemplazione delle quali permette di risalire, lungo un percorso di generalizzazione, dalla creazione al creatore della stessa.145

Questa terza sezione della prima parte del lavoro è dedicata all’osservazione critica delle forme di generalizzazione come processo distintivo del lavoro di quelli che, fra gli storici ed i teorici del diritto, si sono più occupati anche della costruzione delle categorie dogmatiche a partire dai dei casi singoli. Questo tipo di tradizione di sapere è stata definita in Francia ‘casuistique’, e recentemente l’attenzione del dibattito in questo contesto si è focalizzata proprio intorno alle forme di generalizzazione come meccanismi di gestione della complessità cognitiva di sistemi riflessivi come il diritto, appunto. In ogni generalizzazione è infatti sempre inclusa la ricerca di un valore ultimo ed assoluto che possa integrare più singoli meccanismi. La generalizzazione inoltre suggerisce una dinamica che da un “basso”, concreto, livello, conduce ad una sovrastruttura segnata da una cifra maggiore di astrattezza, ciò che la rende potenzialmente applicabile a più di un caso.

All’apparenza, ogni caso giuridico, ogni questione da sciogliere, bastano a se stessi: ciascuno andrebbe trattato come episodio a sé, distinto dagli altri a causa di alcuni elementi di differenziazione. Ogni caso è potenzialmente una unità discreta.146 Ciononostante, la storia della riflessione giuridica, si è caratterizzata per una forte tendenza a trovare coerenza fra soluzioni precedenti sue concetti.

145 Come si legge nel Dizionario Critico di Teologia (J. Y. Lacoste, Dizionario critico di teologia,

Dictionnaire critique de théologie, PUF, Parigi, 1998), ed. it. a cura di Pietro Coda, Roma, 2005:

“Spesso accostata ai Padri, l’analogia permette di avere una conoscenza di Dio a partire dalla sua Creazione. Secondo Atanasio (Contro i pagani), il Verbo ‘essendo la guida, il re e l’unione di tutti gli esseri, realizza tutto per la gloria e la conoscenza del Padre, ci istruisce attraverso le sue opere’; a parere di Cirillo di Alessandria (Dialogo sulla Trinità) ‘piuttosto che creare Dio ama vedere le sue opere e la sua gloria, poiché è proprio da esse che noi possiamo capire ciò che è e chi egli è’. (…) Non vi è teologia che non si basi sull’economia divina: essa infatti non è un puro ragionamento sulla natura divina, ma deve avvalersi delle manifestazioni sensibili per risalire al Creatore”.

146 Y. Thomas, L’extrême et l’ordinaire. Remarques sur le cas médièval de la communauté disparue, in

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e soluzioni successive, nel rispetto di una idea di logicità e compatibilità fra soluzioni di casi diversi ma uniti da un qualche tratto comune (senz’altro, va da sé, un tratto di una certa rilevanza). La storia del diritto, intesa come processo sviluppatosi su più livelli, primi fra gli altri quello della ricerca di una soluzione concreta e quello della astrazione teorica per la legittimazione della soluzione concreta, ha conosciuto infatti molte contiguità significative fra casi che, seppur all’apparenza differenti, hanno lasciato indurre che vi fosse sullo sfondo una questione comune da studiare e risolvere. In questa attitudine consiste la cosiddetta casuistique:147

nel considerare casi particolari che toccano questioni di una certa complessità, le quali, nel loro essere straordinarie – rispetto ad un tracciato già presente, quasi “estreme” – inducono a lavorare sulla linea di confine fra soluzioni pratiche e la vocazione naturale del diritto alla generalizzazione. Così facendo, i processi di generalizzazione “scoprono” i fatti complessi nel loro più profondo legame con la “normalità” delle architetture linguistiche del diritto, nelle quali si evolvono i concetti giuridici.

Ci sono diversi livelli di generalizzazione, ciascuno rispondente ad esigenze differenti. Nel metodo stesso della generalizzazione si può riconoscere, da un lato, una lunga serie di modalità operative del generalizzare (prima fra tutte l’uso delle categorie), dall’altro lato c’è la prospettiva dello storico, o della fonte, o dell’autore, che ha elaborato dei discorsi sulle generalizzazioni e si è a sua volta impegnato in operazioni di astrazione dal caso singolo alla soluzione di una più generica fattispecie. Storici e filosofi del diritto hanno lavorato su entrambi i fronti, sia su quello delle forme che su quello dei discorsi sulle stesse. Eppure l’interesse sull’aspetto del discorso sulle generalizzazioni si è intensificato solo di recente, quando i problemi legati alla rappresentazione, alla raffigurazione, al riferimento a descrizioni astratte e generali, sono divenuti rilevanti non soltanto nello studio dei concetti giuridici in una prospettiva storica, ma anche nell’analisi dei processi cognitivi che sono coinvolti nei meccanismi di applicazione, interpretazione e creazione del diritto. Dopo la

147 Dal francese “cas”, “caso”, è lo studio critico dei passaggi che conducono dal caso singolo alla definizione di una fattispecie, che letteralmente è quella dimensione che dal fatto risale al livello più generale della normatività, in cui si dice cosa deve essere, la dimensione della “specie” (che insieme al “genere” è uno dei meccanismi più caratteristici del pensiero umano, a partire da Aristotele e fino al pensiero contemporaneo, sebben con differenti sfumature). Fattispecie, in tedesco Tatbestand, è la realtà che viene messa in forma astratta al fine di poterla comprendere, conoscere, e ri-conoscere in un momento successivo, anche sotto una forma o una declinazione leggermente differenti.

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svolta linguistica, quella antropologica, quella critica e quella pragmatica, vi è stata fra gli storici e i filosofi del diritto una nuova svolta, quella che ha riguardato lo studio dei metodi di generalizzazione.148 La stessa parola ‘generalizzazione’, come ogni derivato di ‘gene’ e ‘genere’ (‘generale’, ‘generalizzato’, ‘generalizzante’) contiene la radice latina di gens e del greco

γένος. Come il greco γένος, così il latino gentes indica associazioni che,

nonostante il loro nome comune, non sono da considerare come famiglie intere, discendenti dagli stessi antenati, ma come l’insieme dei discendenti di quegli individui che, al momento della fondazione dello stato o della comunità, si unirono in una tale corporazione, per cui l’idea di generale non deve necessariamente essere ricondotta ad una dimensione originativa e soltanto a questa, potendo ben intendersi per essa il meccanismo, anche complesso, che ha generato (al di là della sua natura).149 Un’analisi della micro-histoire dei singoli casi concreti suggerisce sempre riflessioni ulteriori sugli equilibri dinamici che si instaurano nel diritto fra teoria e pratica. Lo studio dei casi ha infatti un valore scientifico peculiare, soprattutto se si considerano casi che segnano un cambiamento di tendenza dell’interpretazione, e che si inseriscono in una serie pertinente, sia nel caso in cui la perpetuino sia nel caso in cui la inaugurino. Il singolo caso sta infatti al sistema intero come la parte al tutto, e in questo senso la relazione caso-sistema è simbolica della generale relazione fra parti e tutto che è tipica di un sistema complesso come il diritto. La questione della generalizzazione è un aspetto fondativo del diritto, con il quale ogni ordinamento normativo, che a sua volta si costituisce di sistemi giuridici, deve fare i conti quotidianamente. Mettere all’ordine del giorno la questione della generalizzazione come fenomeno esplicativo della struttura e delle modalità di funzionamento del diritto, significa confrontarsi con alcune fra le alternative tipiche del dibattito epistemologico in ambito filosofico-giuridico, quali la regolarità, il rapporto fra locale e globale, o quello fra eccezione e procedura.

148 Jean- Luis Fabiani, La généralisation dans les sciences historiques. Obstacle épistémologique ou

ambition légitime?, 1 Annales. Histoire, Sciences Sociales, p. 9- 28 (2007).

149 Per una ricostruzione in chiave storica di questo tema, si vedano Humpreys, Sally C., Fustel

de Coulanges and the Greek “genos”, in Sociologia del diritto IX, pp. 35- 44, 3 (1982) e B.G.

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